“Come dura pietra” di Eva Negri: un thriller ambientato nella Torino bene

“Questo breve saggio vuol essere il primo di una serie di studi relativi a un progetto di ricerca volto a dimostrare la seguente tesi: che i tanti romanzi ascrivibili ai generi giallo, thriller e noir[1] sono in realtà finalizzati a esercitazioni letterarie attinenti anche ad altre forme di scrittura.” Si prenda come primo campione il romanzo di Eva Negri[2], alla sua prima prova col romanzo Come dura pietra[3].

Come dura pietra di Eva Negri
Come dura pietra di Eva Negri

Dopo l’ennesimo incontro-scontro con il fatale Ivan, Eleonora (nome caro a E. A. Poe), protagonista e Io-narrante del romanzo Come dura pietra di Eva Negri, si rifugia nel laboratorio di scultura, fa scorrere le dita su un marmo dov’è abbozzata la figura di una donna dormiente, sulla cui superficie “le martellate avevano lasciato segni profondi”.

Maquelle scalfitture in realtà non l’avevano neanche lontanamente sfiorata. Lei non provava dolore o sentimenti, non provava niente. Era così che avrei voluto sentirmi: come dura pietra, candida e insensibile”.

Veramente, all’inizio della storia, Eleonora sembra un po’ così: candida, se non illibata, si dichiara insensibile all’amore, sebbene non sia né inetta, né algida. Ha un doppio lavoro (apprendista scultrice e cameriera in un rinomato locale notturno), se la cava economicamente stando lontano dalla famiglia troppo altolocata e invadente, ha rapporti di complicità, sincera confidenza e cameratesco confronto con colleghe e colleghi, amiche e amici, e soprattutto con le due ragazze con cui divide l’appartamento.

Però… però già la pagina inziale presenta il primo di alcuni lampi di orrore, reportage di un autore onnisciente “dal mondo dei mostri”; poi, nel procedere del racconto di esistenze come tante, sempre più s’inseriscono e s’intensificano accenni agli omicidi di un killer seriale, e poi ancora tante altre brutte cose che chi leggerà vedrà.

Davvero notevole “l’atmosfera” che Eva Negri sa costruire intorno agli eventi narrati. Il contorno, lo sfondo, il contesto spazio-temporale e antropico della storia risultano decisamente funzionale all’immersione del lettore in un verosimigliante continuum narrativo.

Sono o diventano inquietanti gli esterni e gli interni della Torino “bene” della Crocetta e delle ville in collina, che nascondere e rivelano piccole o terribili magagne; e del Carpatia, una discoteca sul Po dal nome vagamente sinistro (sui Carpazi sta il castello di Dracula), un locale frequentato da tanta bella gente ma anche da piccoli o molto grossi delinquenti; della malinconica Torino autunnale, umida e nebbiosa, donde si scorgono le candide Alpi che invitano a vivere intense quanto illusorie parentesi idillica; della Torino magica (il capoluogo piemontese è uno dei vertici del triangolo della magia bianca – assieme alle città di Praga e Lione –, ma pure della magia nera, con Londra e San Francisco), dove un esoterico cagnone (Siva, cioè “grigio”, nella lingua del croato Ivan) guiderà Eleonora nella propria personale discesa agli Inferi. Donde risalirà, qual mitologico epico guerriero, più forte e più consapevole, come si evince già dalla citazione collocata in esergo: The world breaks everyone, and afterward, many are strong in the broken places. (“Il mondo spezza tutti, e dopo, molti sono rafforzati nei punti di rottura”: da Addio alle armi di Ernest Hemingway).

La protagonista del romanzo d’esordio di Eva Negri scenderà nei gironi infernali della malavita e del “mondo dei mostri”, ma soprattutto dovrà passare attraverso la passione amorosa, in un altalenarsi intenso e travolgente di attrazione e repulsione verso il croato Ivan i cui tatuaggi raccontano un passato di violenza subita e un presente in cui la violenza è diventata lavoro e habitus comportamentale. Eleonora vivrà nell’alternanza fra momenti di scontro violento con il partner, generatori di angoscia e smarrimento, e momenti di estasi paradisiaca, di totale fusione d’anime e di corpi. Perché Ivan non è lo stereotipo del “duro” hard-boiled: è un personaggio ricco di sfaccettature, tale da creare intorno alla protagonista femminile un’aura di sospensione, e nel lettore quell’ansiosa complicità che si consolida nel susseguirsi delle sequenze narrative.

Di una doppia tensione vive la protagonista, minacciata da un maniaco e amante riamata da un partner dolcissimo ma possessivo fino ai limiti della violenza. Su questa doppia tensione si gioca il successo della scrittura di Eva Negri, che sa preparare e poi mostrarci un’esperienza orrorosa, ma sa anche creare una dettagliatissima (talora quasi sovrabbondante) e attendibilissima enciclopedia del rapporto amoroso: delle sensazioni, dei pensieri, perfino della fisiologia di un amore tenace quanto fragile, delicato quanto violento.

Eva Negri
Eva Negri

L’autrice sa evitare le trappole del patetico e del pruriginoso; talvolta, tutta compresa dal tema Eleonora e la sua creatrice troppo insistono nelle analisi di situazioni e stati d’animo, troppo si soffermano nel confronto tra diversi modi di concepire l’amore, la vita, la moralità. Momenti in cui anche il linguaggio dei dialoghi rischia di perdere quella secchezza hemingwayana a cui l’autrice aspira, e si stempera in un registro da monolinguismo saggistico, in cui finiscono per esprimersi personaggi molto diversi, dalla colta Eleonora, a Ivan alla sua amica brasiliana Isabel, a Ivan guardaspalle croato di un mafioso russo.

Lo scontro dialettico tra l’In-Sé femminile e l’Altro-da-Sé maschile non è un tema rinvenibile soltanto nella storia d’amore tra Eleonora e Ivan. Eleonora ha rapporti non facili con parecchi personaggi maschili, a tal punto che non pare incongruo rubricarli come figure di un archetipo junghiano: l’Ombra, cioè gli aspetti oscuri e negati della nostra personalità con cui prima o poi dovremo fare i conti, se vogliamo progredire, perché l’Ombra occultata e allontanata è minacciosa, invece l’Ombra riconosciuta e accettata è positiva, stimolante e fonte di nuova energia psichica.

Nel caso di Eleonora, l’Ombra si concreta nel Maschile,  che in parte esiste in lei, bella virago capace di pilotare auto da rally e moto da cross, ma che per altri aspetti lei detesta e aborre, identificando (non del tutto a torto) il Maschile con la violenza e col cedimento a conformismi alienanti e sporchi compromessi che correderebbero il suo insito e nostalgicamente persistente substrato d’infantile innocenza (ne è segno, alle soglie del testo, la dedica A me, alla bambina di quel pomeriggio d’estate[4]).

È questo il tema profondo che connota il rapporto di Eleonora con altri maschi non proprio innocenti e tutt’altro che amabili, come il padre uomo di successo con pochi scrupoli o il poco simpatico sbirro Pedersoli. Che comunque, a modo loro, aiutano Eleonora a maturare e a trarsi dagli impicci.

Come pure, nella sua storta maniera, l’infelice, fatalissimo Ivan.

 

Written by Vincenzo Moretti

 

Note

[1] Per una classificazione e differenziazione dei tre differenti generi mi rifaccio a Giovanni Munari, Differenza tra giallo e thriller (30 Maggio 2019) clicca QUI.

[2] Eva Negri, classe 1977, si è laureata presso il Politecnico di Torino, città in cui ha vissuto durante il periodo di studio. Ora vive e lavora in Monferrato, dove esercita la professione di architetto.

[3] Eva Negri, Come dura pietra, Bookabook, 2021.

[4] Ha così spiegato l’autrice la propria (auto)dedica: Un pomeriggio d’estate, quando avevo undici anni, camminavo a passo svelto per andare a trovare le mie amiche, prontissima a trascorrere uno di quei pomeriggi governati dalla fantasia che tanto bene hanno fatto al mio cuore. Avevo ancora l’ingenuità dei bambini ma sembravo più grande della mia età e quel giorno mi sentivo bellissima perché indossavo la mia gonna a fiorellini preferita. Ero a metà strada quando un’auto si accostò al mio fianco. Attraverso il finestrino abbassato, l’uomo al volante, allungato completamente verso di me, mi invitava a salire. Ai miei occhi da bambina sembrava gentile ma ringraziai sorridendo e non accettai l’invito. L’uomo cominciò a farsi impaziente ed insistente. Non sorrideva più e a quel punto mi resi conto che qualcosa non andava. Continuavo a camminare e quello non ripartiva, gli avevo detto di no, davvero non capivo perché non se ne andasse.

Poi qualcosa nella sua espressione mutò e lo vidi.

Il panico prese il sopravvento e cominciai a camminare sempre più veloce, ma così facendo mi stavo allontanando dall’abitato. L’uomo mi superò per fermare la macchina poco più avanti e in quel momento, il momento che ha cambiato la piega che stava per prendere la mia vita, un’auto arrivò obbligandolo a proseguire. Credo di aver percorso il chilometro da record. Raggiunsi la casa delle mie amiche e mi nascosi dietro gli arbusti del cortile per riprendere fiato. Guardai passare quella macchina un paio di volte su e giù per la strada finché non sparì.

Dedico questo libro a quella bambina fortunata e alle altre bambine, ragazze, donne di oggi, che vorrei avessero gli strumenti giusti per diventare non solo esseri umani che sanno amare ma anche guerriere capaci di difendersi.

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