Meditazioni Metafisiche #24: le verità relative e l’armonia con l’universo
Campbell: “Al fondo di tutte le filosofie orientali vi è il l’idea che la verità assoluta, quella che tutti noi inseguiamo, sfugga a ogni definizione. Non c’è forma di pensiero o slancio di immaginazione che possa afferrarla. Interrogarsi sulla bontà, la misericordia e la giustizia di Dio, invocare il suo amore e dividere gli uomini tra eletti e dannati significa, dal punto di vista orientale, trastullarsi con questioni puerili e tradurre in illusorie forme antropomorfiche un mistero che trascende ogni categoria, comprese quelle dell’essere e del non essere. I costrutti logici, i modi di appercezione del tempo e dello spazio non sono che funzioni della mente umana; il mistero cui mirano riposa altrove. La convinzione è totale: l’assoluto trascende ogni facoltà intellettiva”[1].
Gli esseri umani hanno soltanto verità relative, cioè che dipendono dal contesto storico e culturale. Anche l’Occidente ha da tempo riconosciuto questa impostazione.
Facciamo questo esempio. Oggi un contadino trova in un campo vicino Roma una stele di pietra con sopra la iscrizione: Caesar. Questo è un dato percettivo. Ma il dato da solo non dice nulla in quanto la iscrizione potrebbe essere un falso recente oppure una stele commemorativa rinascimentale di un tizio che si chiamava Cesare. Noi possiamo sospettare la destinazione di quella stele solo dal collegamento con altri dati. La fattura, il tipo di scrittura e altri indizi possono farci dire o meno se si tratta di una iscrizione risalente al mondo romano.
Ora, il collegamento tra dati altro non è che una ipotesi, una interpretazione, un prodotto della nostra mente. È una verità relativa, cioè dipendente dal contesto nel quale siamo inseriti. Se il contesto cambia e acquisiamo più indizi, possiamo fare una ipotesi più accurata. Se nel Settecento un contadino trovava una mummia sepolta in Egitto, gli studiosi non sapevano dire molto. Dopo la riscoperta ottocentesca dell’antico Egitto e il fiorire della egittologia, gli studiosi hanno a disposizione molti dati tali da far inquadrare meglio l’età della mummia. Oggi conoscenze superiori ci possono far pensare a una datazione migliore mediante il radiocarbonio. Se nel futuro acquisiremo ulteriori dati, cambierà di nuovo la nostra interpretazione.
Il modo di interpretare i dati mediante collegamenti tra di essi cambia al cambiare del tempo. Foucault in un’opera memorabile che ha introdotto la concezione attuale della critica al sapere umano, cioè Le parole e le cose, sostiene questo. Non esiste oggettività, il modo con il quale guardiamo al mondo dipende dai nostri schemi mentali, i quali variano nel tempo. Un antico o un rinascimentale o un uomo moderno non ragionano alla stessa maniera, si approcciano al mondo in maniera del tutto diversa.
Se a Roma un uomo vede un lucertolone lungo mezzo metro, ciò che crede di vedere dipende dal collegamento tra dati, cioè dalla interpretazione del tempo. Nel Medioevo avrebbe pensato che si trattasse del basilisco, Freud avrebbe pensato a una allucinazione dipendente da dinamiche inconsce legate al complesso edipico, oggi i teorici del complotto penserebbero a un rettiliano che tiene schiava l’umanità.
Ma la relatività del nostro sapere non si ferma qui. Non esiste il dato oggettivo anche per una ragione neurobiologica. Sulla base dei dati provenienti dalle neuroscienze, sappiamo che non esiste una vera distinzione tra oggettivo e soggettivo, tra mondo esterno e mondo interno. La sensazione avviene quando il cosiddetto mondo esterno sollecita i nostri recettori sensoriali, mettiamo che i fotoni vengono riflessi da un oggetto esterno e colpiscono i recettori della retina. Il singolo fotone innesca reazioni chimiche nel recettore della retina: queste reazioni si convertono in un impulso elettrico nervoso. Tale impulso nervoso viaggia dai neuroni periferici fino a quelli centrali della corteccia cerebrale, dove avviene la percezione, cioè la consapevolezza che vediamo qualcosa.
A questo punto abbiamo un oggetto nel mondo esterno, ma noi non attingiamo l’oggetto ma solo la luce che innesca reazioni chimiche, tradotte poi in impulso elettrico che passa per i neuroni del sistema nervoso periferico fino a quelli del sistema nervoso centrale ove abbiamo la consapevolezza di percepire qualcosa. Quindi possiamo concludere che quello che vediamo non è un dato oggettivo assoluto, cioè il mondo esterno, ma una costruzione neurale, cioè soggettiva.
Certamente esiste un collegamento tra l’esterno e l’interno. L’intensità di ciò che sta fuori, cioè una luminosità più intensa, viene tradotta nel nostro cervello da più impulsi nervosi in una unità di tempo. La qualità, cioè il tipo di colore, dovrebbe dipendere da differenti tipi di neuroni. Ma ciò che esattamente sta fuori di noi, sfugge a noi, ci è ignoto, è sepolto nel mistero. Credere che l’oggetto che vediamo sia reale è una “patologia dell’epistemologia”, a detta del celebre psicologo Bateson. In realtà vediamo il nostro mondo interno.
Se è misterioso ciò che sta oltre i sensi, è misteriosa anche la intersoggettività, cioè perché sembra che le persone abbiano stesse percezioni, se vedo un leone lo vede anche il mio prossimo. In merito vi sono solo ipotesi: filosofiche, epistemologiche, scientifiche.
Nel passato ci sono state grandi idee che hanno illuminato gli uomini, e la cosa sembra continuare fino ad oggi. Ma non si tratta di verità assolute, ma sempre di modi di interpretare la realtà che variano con il variare dei tempi. L’idea gnostica che bisogna conoscere noi stessi, nasce nell’antichità, ove le persone avevano una idea di loro stessi molto diversa da quella dell’uomo moderno. Per esempio gli antichi greci non conoscevano l’idea di volontà, cosa che oggi tutti proclamano. Quindi applicare in toto la concezione antica della conoscenza di sé, all’uomo d’oggi è una specie di errore. Il passato è irraggiungibile perché le persone sono cambiate e quelle antiche idee si sono trasformate. Loro dicevano una cosa e noi oggi la intendiamo un’altra.
C’è anche da dire che tutte le conoscenze scientifiche che oggi stiamo acquisendo potrebbero essere falsificate nel futuro, quando emergeranno altri dati, i quali cambieranno del tutto o rettificheranno ciò che noi oggi crediamo di sapere con certezza. Nessuno sa le conseguenze degli esperimenti di fisica che si compiono nei grandi laboratori del mondo in quanto manipoliamo energie che non conosciamo del tutto, ma delle quali sappiamo solo qualche effetto. Agli inizi del Novecento si facevano dentifrici con sostanze radioattive che rendevano brillanti i denti e la cosa sembrava innocua e bella esteticamente. Si stavano usando energie che nessuno conosceva bene, ma delle quali si manipolava qualche effetto. Solo dopo si capì che le sostanze radioattive provocano danni terribili all’organismo e cessò il loro impiego disinvolto.
Inoltre, tutte le informazioni che abbiamo acquisito sul versante scientifico non danno una conoscenza importante del problema dell’uomo. Anche se sappiamo dell’esistenza di particelle elementari, delle quali descriviamo qualche effetto senza conoscerne la natura e la portata esatte, queste non ci dicono nulla su chi è l’uomo, da dove viene, dove va e perché sta su questa dimensione terrena. Pertanto non è errato dire che il mondo e l’esistenza dell’uomo siano un mistero. Conosciamo solo qualche dato, senza sapere tutto il resto, che resta solo una interpretazione che varia con il variare del mondo. Non bisogna pensare che informazione sia uguale a conoscenza. Ai primi del Novecento si aveva una informazione su qualche effetto delle sostanze radioattive (fanno brillare i denti), ma non se ne aveva una conoscenza sostanziale, infatti poco dopo si capì che hanno anche effetti deleteri sull’organismo umano. Nemmeno oggi abbiamo una conoscenza sostanziale delle sostanze radioattive: l’atomo resta un mistero, si accavallano solo teorie su di esso che cercano di interpretare i dati ottenuti da qualche suo effetto.
Allora, a cosa serve l’attività intellettuale? Non certo per scoprire verità assolute, definitive. Chi inizia con la presunzione di dire la verità assoluta e incontrovertibile si preclude da principio la via, in quanto solo stando aperti a tutto si può fare ricerca. La ricerca non deve servire a confermare la tesi di chi crede di dire la verità assoluta, ma di scoprire cose nuove che aprano nuove vie.
Pur con il pensiero che non siano dati assoluti, il ricercatore deve trovare quelle verità relative che aiutino l’umanità, fin quando sembra che siano ancora valide. Nessuno sa da cosa dipenda l’ipertensione arteriosa essenziale, ma sapere di non assumere sale nell’alimentazione, aiuta nel mantenerla sotto controllo. È una verità relativa che è utile conoscere.
Dal punto di vista delle scienze umane, riflettere sulla propria condizione umana, pur con il pensiero di non trovare verità assolute né valide sempre e per tutti, serve per essere meglio in armonia con l’universo. Pensiamo alla psicoanalisi: l’inconscio non si dimostra né, in quanto tale, siamo certi di conoscerlo poiché è inconscio, ma la psicoanalisi è una scienza imperfetta che ci migliora l’anima. Così come tutte le psicoterapie. Quando una persona è schiacciata dal dolore o sopraffatta dalla mancanza di senso, tende a strutturare relazioni interpersonali disfunzionali, quindi se nel terapeuta trova una persona con la quale imparare di nuovo a relazionarsi nel modo giusto, applica quanto appreso in seduta nella vita di tutti i giorni, trovandone un giovamento spesso evidente.
Pensiamo a un depresso che vede tutto nero: proietta questa luce oscura su tutte le persone che incontra, ogni essere umano gli appare negativo, insoddisfacente, malvagio, quindi egli non si fida e si chiude sempre in se stesso facendo aumentare i sintomi depressivi come la sfiducia e la mancanza di senso nella vita quotidiana. Ma se nel terapeuta il depresso riscopre che le persone possono donare affetto e amore, comincerà a vedere il mondo con occhi nuovi e quindi a non fare realizzare la profezia negativa che si è costruito.
Secondo una interessante interpretazione, la cultura è l’amore per il Bene, un po’ sulla falsariga del platonismo. Quindi cercando la verità, pur senza mai raggiungerla del tutto, l’uomo fa entrare in lui, attraverso i pensieri, la luce del Bene, la quale lo trasforma in una persona migliore. Tutto ciò che esiste sarebbe in fondo Uno, allora le differenze sarebbero solo apparenti.
Nell’Atharva-Veda (IX.74.4) si trova scritto: “Burro chiarificato e latte sono munti dall’animato cielo”. Vi è la concezione per cui il mondo cosmico e il mondo umano coincidano perfettamente. Questo perché la differenza tra i due è solo illusoria. Atharva-Veda (XV.6.6): “Colui che ha questa conoscenza, diventa il centro dell’Ordine Cosmico”. Questo centro cui allude il passo vedico è il punto di contatto tra mondo esterno e uomo, tra Macrocosmo e Microcosmo. L’uomo è quindi il centro dell’Universo, che è etimologicamente rivolto verso un unico verso (uni-verso), un unico progetto perché è sostanzialmente Uno.
Written by Marco Calzoli
Note
[1] J. Campbell, Miti di luce. Metafore dell’eterno in Oriente, Roma 2018.
Info
Rubrica Meditazioni Metafisiche
Le interpretazioni dei fenomeni, che si possono definire verità, sono relative perché correlate l’una all’altra. La gravitazione non unisce due corpi, ma tutti i corpi. Una domanda interessante sarebbe se la somma di tutte le verità contenga tutta la Verità. O se sia necessaria anche una sua contro-Verità, una sua endiadi, che a prima vista potrebbe apparire l’Opposto. Luce Vs Gravità? Oppure Luce & Gravità?