“Goethe esoterico” di Valentino Bellucci: segreti iniziatici e loro applicazioni pratiche
Leggendo questa breve, interessantissima opera di Bellucci, salta all’occhio un refuso, ovviamente involontario. Il titolo corretto sarebbe dovuto essere “Goethe essoterico”.

In realtà esoterismo ed essoterismo non sono sinonimi, ma termini complementari. Non c’è esoterismo senza essoterismo e viceversa. Il secondo termine è il collegamento fra un mondo interno e quel che è rimasto al di fuori di esso, a cui, al momento, non è consentito entrare. In futuro, chissà.
Senza il secondo, il primo cesserebbe; senza il primo il secondo non sarebbe mai nato. È un po’ come il mito dei Dioscuri, l’uno si alterna all’altro, per l’eternità (si spera). Wolfgang, per tutta la vita, rilasciò insegnamenti calmi e ricevibili da chiunque lo ascoltasse con la necessaria attenzione. Per quanto concerne i suoi riti esoterici, il libro tace più di quel che dice.
Egli aveva il dono di saper trasformare “le delusioni in capolavori”. La poesia, l’arte in genere, ha questa funzione salvifica, quasi divina. Egli “usò il suo genere poetico e letterario per trasmutare gli eventi negativi della vita in oro.” Condivido, ammiro e forse, solo un po’, invidio ‘sto fatto: lo vedo con malanimo, ma subito mi pento. La religione, come tutte le leggi, questo prevede: il ravvedimento operoso, l’aggiustamento esistenziale della visione etica.
“Non esiste il caso nella vita di chi conosce la scienza sacra.” La religione (utilizzo per capirci qualcosa, quella che conosco di più, quella cattolica) ha sì deciso, ma non ha ancora chiarito se tutto è casuale (dipendendo dal libero arbitrio degli uomini), o se tutto è stato deciso da Qualcuno lassù. Cerco di comprendere il tuo pensiero, Wolfgang, nella tua interpretazione, Valentino.
“Solo per il cieco esiste il caso, solo lo stolto si lascia travolgere dagli eventi.” Amerei sentire a proposito l’opinione di un sopravvissuto alle persecuzioni naziste, magari di un parente di Czeslawa Kwoka, malmenata e uccisa in un lager nazista a soli 14 anni. Oppure di chi ha visto crollare la propria casetta durante un terremoto. Nulla è casuale? Tutto è davvero preordinato? Chissà! La mia impressione, provocatoria senz’altro, è che la casualità non sia equamente distribuita nelle diverse classi sociali (/o umane, tout court).
Tu, caro Valentino, non ignori di certo che esistono nella fisica dei fatti che il fisico Roger Penrose definisce Z misteri, tra cui spicca il tragitto finale del percorso di una particella. La meccanica quantistica riesce soltanto a prevederne un’incerta probabilità, mai una conclamata certezza.
Esiste inoltre l’enigma che si cela all’interno dello spazio di Planck (e che vi sia un interno è soltanto una mia vaga idea), il più breve spazio ipotizzabile, dove non sono possibili previsioni scientifiche. Se Wolfgang fosse vivo, sarebbe anche lui costretto ad attestare tale improbabilità. E la sua stessa ignoranza costituirebbe una forma arcana di assolutezza.
“Goethe rimase in sé, nessuna paura, anche di fronte alle armi puntate. I sigilli degli iniziati lo avevano sempre protetto e la sua opera non poteva ancora essere interrotta.”
Ti faccio una proposta (gratis) riguardante il titolo del tuo libretto: “Goethe mistico” sarebbe più consono al suo contenuto.
La fiducia che egli ebbe della propria opera possiede un che di profondamente religioso, che io, pur ignorante di Dio, so ammirare.
Lo studio dei colori che egli intraprese lo porta a un’interessante considerazione: in natura non sono consentiti salti, per cui “la trasmutazione deve anche tenere conto di questa gradualità.”

Ricordati, Valentino, che un giorno forse ti presenterò mio cognato e poi ne parleremo a lungo. Vorrei tanto farlo conoscere anche a Wolfgang, ma è troppo tardi, mannaggia.
“L’amore è quello che mi dà tutto e se non c’è amore non vengo a capo di niente…” Kam’a: passione, da cui: amore e amicizia, due sentimenti profondamente goethiani.
“Ma come applicare questo segreto iniziatico? Intanto occorre saper scremare, chiudere le porte al nostro cuore a chi non può comprenderlo.” È un discreto consiglio, il cui valore pratico è indubbio.
“Senza una adeguata compagnia la nostra psiche non può trovare la corretta dimensione, la serenità per potersi innalzare e purificare.” Occorre quindi un filtro per difenderci dagli indesiderabili, dai folli, da “coloro che non cercano di innalzarsi oltre la sfera animale.” Esistono pertanto due tipi di esseri umani, gli uomini propriamente detti, assai pochi; e gli uomini bestia, fin troppi.
“Goethe osservava il mondo, ma non lasciava che il mondo potesse travolgerlo; era lo sguardo olimpico dell’iniziato che comprende ogni realtà umana senza divenirne schiavo.” Quest’olimpicità di Wolfgang è ormai leggendaria.
Egli “curò con estrema cura ogni cerchio della sua vita; la cerchia degli affetti, la cerchia dei collaboratori fidati, la cerchia degli ammiratori.”
Era solo una questione di raggio? No! “La vita di Goethe è sempre stato un cerchio in espansione, espansione lenta, graduale, ma consapevole.” Qui ti sfugge, caro Valentino, un cogente aggancio con la teoria della relatività e con la sua concezione curvacea del cosmo. La geodetica è lo spazio (curvo) più breve fra due punti. E ogni corpo, anche quello di Wolfgang, non può che scegliere la sua.
Una teoria di Wolfgang è: “Noi dobbiamo perciò limitare nella nostra anima ogni esistenza e perfezione cosicché queste siano adeguate alla nostra natura e al nostro modo di pensare e sentire. Solo allora diciamo di comprendere e di godere di una cosa.” L’importante è non esagerare. Di non uscire Altrove.
“Goethe fuggì in Italia nel 1796” il suo scopo era “di guarire dai malanni fisici e morali che mi tormentavo in Germania…” A volte ex-agerare è salvifico. “Goethe fuggì anche da una parte di se stesso che lo stava divorando.” Strano. Ma vero. Quindi anche Wolfgang non è nato se stesso, come capita anche all’ultimo dei disgraziati.
Roma rimarrà per sempre, per Wolfgang, la sua città salvifica. Il suo rifugio, la sua Patria idealizzata. Valentino mio, ora citi tre numi ex-agerati: D’Annunzio, Henry Miller e Rilke. Ognuno con la sua città. Ignoro se questi tre personaggi sarebbero mai entrati nella cerchia degli amici di Goethe. Credo di no, ma non c’è la controprova. Si tratta di una mia teoria religiosa, non falsificabile.
Schiller era una specie di primo lettore di Wolfgang. Leggendo un saggio di Stephen King ho compreso che questo è un carisma, elargito dal fato, che ogni scrittore dovrebbe avere. Nulla da eccepire. Friedrich, per Wolfgang, lo fu sempre, anche dopo la sua prematura scomparsa.
Lo studio è “un totale pragmatismo”, in cui la quantità è vacua in assenza di qualità. Poco oltre, caro mio, deduci una teoria discutibile, che prende spunto da una brillante idea di Wolfgang a proposito dell’elettricità, che “si può tranquillamente immaginare come l’anima del mondo.”
Tu, però, dici di peggio: “Oggi la fisica sub-atomica dà ragione a Goethe e ogni elettrone è animato da un’intelligenza.” Che io sappia, ognuna di quelle impalpabili particelle zompetta da un livello all’altro, liberando o perdendo un elettrone, a seconda che vada su oppure giù. Il perché lo faccia fa parte dei già citati Z misteri del cosmo.
“Nessuna opera va lasciata a metà ma va portata a compimento, ad un livello di pura perfezione. Perché? Perché lo sguardo divino è ovunque, soprattutto nei dettagli.” Stavo pensando all’Eneide. Ai tre romanzi di Kafka. Ai Racconti di Canterbury. Mi scoccia cercare nella memoria altre immense opere incompiute.
Rudolf Steiner afferma: “Il Faust di Goethe è l’espressione dello sforzo di Goethe stesso per penetrare nel mondo spirituale.”

Lo sai, Valentino, che pur cercando di stroncare (si fa per dire) con ogni mezzo il tuo scritto, mi hai fatto venire una gran voglia di leggere il monumento numero uno di Wolfgang. Giace all’in piedi, come fanno gli equini, da anni, su uno scaffale della sala. Ti prometto che il 1° gennaio 2021 cambierò vita, iniziando a leggere quei due (bei) tomi (mannaggia, sono due, ora che mi ricordo!).
“L’uomo è da vedere piuttosto come uno strumento di un alto governo del mondo, come un eletto vaso riconosciuto degno d’accogliere l’influsso divino.” Non ho compreso granché, ma sento di essere d’accordo al 67%. È purtroppo la mia innata ignoranza di Dio che m’impedisce di addivenire a una piena condivisione di quanto scrisse Wolfgang.
Discuto, caro Valentino, su quanto dici a proposito della “degradazione che avrebbe colpito le arti verso la fine dell’800”. In quell’età visse il genio, a mio parere, che più di tutti seppe innestarsi nella mia anima gemente: Arthur Rimbaud, “L’artista maledetto che fa uso di droghe”, che “ha devastato in modo quasi irrimediabile la coscienza sociale, mettendo in primo piano un mito fasullo, auto-distruttivo.”
Mi oppongo, Vostro Onore, anche al ragionamento successivo: “L’artista deve sapere alternare produzione e sapiente riposo.” L’uomo di genio produce quando non può evitarlo e fa quel che gli suggerisce il mostro che è in lui. È l’uomo di talento che, secondo Carmelo Bene, scrive e fa quello che vuole. Wolfgang era entrambe le fattispecie. E la mia opposizione perde quindi valore.
Bisogna essere se stessi, al di là dell’opinione altrui: “meglio esprimere male il proprio impulso che essere perfetti nell’imitare impulsi altrui. Ogni scienza sacra lo afferma.”
Non ne sono certo, ma penso che le cose siano davvero così.
Bene cari amici… ci risentiamo l’anno prossimo!
Written by Stefano Pioli
Info
Bibliografia
Valentino Bellucci, Goethe esoterico, Fontana editore, 2019