“Harry Potter e il Principe Mezzosangue” di J. K. Rowling: un conflitto eterno
Solo ora che ho finito il sesto libro di Harry Potter (… e il Principe Mezzosangue) sento il bisogno di scriverne.
Pochi autori sono educativi come la Rowling: la dignità, il senso dell’onore, l’onestà intellettuale e il coraggio sono indicati come valori assoluti e imprescindibili. Ma non è di questo che voglio parlare.
Della Rowling io amo la capacità descrittiva tanto delle azioni, come in vari altri autori di romanzi di avventura, quanto dei personaggi, come in pochi, forse pochissimi, o forse nessuno.
Ogni essere umano si trasforma nel corso della sua vita. Così accade per i personaggi dei romanzi.
La cosa non è facile da trattare. Ognuno di loro è un se stesso, un ‘non altri che lui’, ma è anche un fenomeno in evoluzione. Essere se stessi e, al contempo, un altro da se stesso è il dramma di ciascuno di noi che, nel corso della sua esistenza, sente a volte di non essere più quello di una volta.
La rabbia e l’insofferenza che si aveva da giovani ora si è mutata in capacità di sopportazione e anche, talvolta, in rassegnazione. Ma il me stesso che a vent’anni coltivava sogni impossibili è il me stesso che ora attesta che gli stessi si sono infranti.
La Rowling ha chiari tutti i se stessi che compongono la variegata fauna dei suoi personaggi.
Prendiamo Ginny, la sorella piccola di Ron, l’amico più caro di Harry. A fine libro si scopre che… ma non voglio fare spoiling, come dice mia figlia… Nei primissimi libri era un personaggio di scarso spessore, ma già allora era se stessa, la Ginny che, a fine libro, rivela di essere… Non posso dirlo…
Ginny è una ragazzina carina, magrolina e coi capelli rossi, un peperino, diciamo, che dice quello che pensa e soprattutto pensa quello che dice. Non sa simulare perché non ama farlo. Se qualcuno le dà fastidio, lei si ribella e glielo fa notare.
La fidanzata del fratello non le piace, lei fa il gesto di vomitare mentre sorbisce la colazione; un suo fidanzatino sembra spingerla, guidarla, e lei si secca: “Lo fai sempre, so camminare benissimo da sola…”; il mangiamorte goffo Amycus la bersaglia di malvagi incantesimi e lei, con la sua più unica che rara agilità, le scansa “Harry vide una massa di capelli rossi che danzava come una fiamma davanti a lui”; Harry deve parlare a Ginny, alla fine del libro, e lei sa che il momento è importante: “Incrociò gli occhi di Harry con la stessa espressione dura e ardente di quanto lo aveva abbracciato dopo aver vinto la Coppa di Quidditch senza di lui.”
La Ginny che esce in questo sesto libro come personaggio centrale della saga è la Ginny di sempre. Il lettore non può fare a meno di ammirare questa giovane eroina, capace di lottare con naturalezza e disinvoltura contro il Male Assoluto, ma in cuor suo si chiede: “È la stessa Ginny che fino a qualche centinaia di pagine fa si limitava a pomiciare con tutta una serie di ragazzi?” Sì, lo è.
O meglio, la vispa ragazzina è cresciuta, ma è sempre lei, esattamente come l’abbiamo conosciuta sei libri fa. La Rowling non differenzia mai i personaggi diversi da quello che sono. Sto parlando della loro anima, della loro essenza. La sua grande tecnica gli permette di descrivere ognuno di loro come è giusto che sia, senza sfasature e ripensamenti, facendoli “sviluppare” secondo il progetto originario. La Rowling è una grande romanziera che fa della coerenza descrittiva la sua principale qualità.
Altri esempi: Hermione, la babbana (figlia di non maghi) che con tenacia e talento è diventata la prima della classe, ragazzina con un altissimo senso di sé, il cui caratterino non è semplice. Vedendo Ron malridotto dopo avere ingurgitato un liquore avvelenato, tenendo presente che fino a poco prima lei era in disaccordo con lo stesso, interviene “… con la voce di chi è molto raffreddato…”. Hermione non è raffreddata ma, nell’avvicinarsi al suo amico, usa un tono dimesso che in genere non ha. Hermione è una cara ragazza, ma difficilmente ammette di aver torto e soffre a volte di invidia, volendo sempre eccellere ed avere l’ultima parola.
Qui la Rowling indica una parte del suo carattere che il lettore conosce bene, una leggerissima, quasi impalpabile ipocrisia, e lo fa con una finezza come raramente si incontra. E lo fa anche quando la “becca”, in modo molto autoreferenziale, a infilare, come ingrediente di un antidoto, anche una ciocca dei propri capelli.
Ginny mostra il suo carattere sbarazzino anche quando, dopo la tragedia, dà una gomitata ad Harry, assorto com’è in mille pensieri atroci. E quando, poco dopo, gli dà “un altro colpetto”, quando lo vedo sempre un po’ assente. Poi, durante le esequie, sia lei, piccolo terremoto vivente che Hermione, ragazzina sempre a modo, si ritrovano a piangere sommessamente la dipartita del loro grandissimo Maestro.
Ron è figlio di una coppia di maghi. Suo padre lavora al Ministero, ma non si dà arie. È sempre sé stesso (anche perché ci pensa la Rowling a farlo essere tale). Harry beve un sorso di una pozione che dovrebbe garantirgli fortuna. E decide di andare da Hagrid, il gigante buono. Una scelta che pare assurda ai suoi amici.
Hermione si chiede: “Siamo sicuri che questa sia la Felix Felicia?… Non è che un’altra boccetta piena di… non so…” – “Essenza di idiozia?” suggerisce Ron, mentre Harry si getta il Mantello sulle spalle. Questa battuta di Ron fotografa il personaggio. È il Ron di sempre, colui che sdrammatizza gli eventi con la sua carica di umorismo semplice ma efficace.
Nella miriade di personaggi minori ma non troppo della saga spiccano i fantasmi che vivono nei quadri appesi alla parete.
Ognuno di loro è dotato di una sua personalità, tanto estinta quanto vigente, ancora preda delle passioni ed emozioni umane: Harry era orripilato all’ascoltare una rivelazione atroce, e “… parecchi ritratti sulle pareti manifestavano pari spavento e indignazione”.
Quando avviene la più grande delle tragedie, anche loro sono annichiliti: quando Harry conferma alla “Signora grassa” la tragedia avvenuta, “Lei gemette e senza aspettare la parola d’ordine scattò in avanti per lasciarlo passare”. In genere quella simpaticona non lascia passare nessuno se non pronuncia la password, ma in quel momento tragico è umano che anche lei, assai morta ma ben viva, abbia un terribile momento di debolezza!
Quest’ultimo fatto, mi fa venire in mente quello che il lettore scopre dalla prima pagina della Saga, cioè che per la Rowling qualsiasi oggetto che è stato “vissuto” da un umano rimarrà sempre dotato di una sua esistenzialità. In questo mi pare si possa parlare di un suo formidabile animismo letterario.
Quello di cui non volevo parlare all’inizio, ora, all’improvviso, diventa cogente. La Rowling ha una grandissima capacità di costruire una morale, senza che questo suo intento possa sembrare opprimente.
Un esempio lo traggo nel XXIII capitolo: “Voldemort ha creato il suo peggior nemico, come fanno ovunque i tiranni! Hai idea di quanto i tiranni temano coloro che opprimono? Sanno benissimo che un giorno tra quelle molte vittime ce ne sarà certamente una che si leverà contro di loro e reagirà!”
Avessi tu scritto soltanto queste poche righe, carissima Joanne Kathleen, te ne sarei grato per tutta la vita. Ma, avendo tu… ehm… esagerato un po’ e, avendomi accalappiato per mesi nella lettura della tua grande Saga, complice mia figlia Anna che di fatto mi ha obbligato a farlo, ed impedito di leggere altri immensi capolavori, beh, fa lo stesso, ti perdono… perché anche tu ne hai scritti almeno sette! Del settimo, lo dico per fiducia.
Written by Stefano Pioli
Bibliografia
J.K. Rowling, Harry Potter e il Principe Mezzosangue, Salani editore