“Sorgo Rosso” di Mo Yan: il sangue colpisce la terra bruna come fosse pioggia
Il quinto capitolo del terzo libro inizia così: “Quarantasei anni dopo, il luogo era quello dove il nonno, mio padre e mia madre combatterono eroicamente contro i branchi di cani guidati da Nero, Fulvo e Verde, i cani della nostra famiglia, odiosi, rispettabili, spaventosi, patetici. La fossa comune in cui erano stati sepolti i cadaveri di comunisti, nazionalisti, gente comune, militari giapponesi e collaborazionisti fu aperta da un fulmine in una notte di temporale.”

E continua, poco dopo: “Nel sentire che la fossa comune si era aperta andai di corsa a vedere, seguito dal nostro cagnolino blu.”
Interessante commento: “Nessuno avrebbe potuto distinguere i comunisti dai nazionalisti, i collaborazionisti dalla gente comune, neanche il segretario regionale del Partito. I teschi erano tutti uguali, ammucchiati l’uno sull’altro nella fossa, tutti indistintamente lavati dalla stessa pioggia.”
Considerazione finale: “Mia madre disse: – Sono passati quarantasei anni. A quel tempo avevo quindici anni.”
Il romanzo contiene tutti i fatti piccoli e grandi, e a volte enormi, che riguardano tutte le persone piccole e grandi, talvolta, ma di rado, enormi. Trattasi sempre dello stesso uomo e di migliaia, milioni, miliardi di sue ipostasi.
E parla soprattutto di un genere di enti: il sorgo, il cui campo pare una terra di dei, un po’ bianco in cima e verde in basso, che a volte geme all’unisono, che incita alla rivolta i contadini, la cui crescita continua produce una specie tutta sua di rumore, coi suoi due colori prevalenti, il verde e il rosso, le tinte che assume vivendo, i cui semi paiono rossi rubini, le cui foglie frusciando sbattono contro la portantina, e al contatto con l’olio le foglie mezze secche prendono a bruciare un po’ risentite, a volte inumidite dalle secrezione degli afidi, e le cui spoglie ricoprono i campi, a volte così immobili, con le sue linfe odorose, che dà il vino che dà senso alla tua vita, che disinfetta da ogni germe, ma che a volte piange addolorato.
E di infiniti altri enti: luci blu scure, rosate al mattino, cieli blu, terre nere, zuppe di sangue, inondate da piogge autunnali, venti dorati, forti e asciutti, che agitano il sorgo, acque, gelide, limpide, sporche color verde scuro, con le sue smorte piante, gialle e torbide, illuminate di un riflesso bianco come il latte, frotte di granchi, fusti che oscillano, fiumi coi loro argini, buoi, capre, volpi in cerca di un compagno, di un rosso fuoco che sfrecciano furtive, zii, una nonna, il cui sangue sgorga e bagna il collo del nonno, e la cui sincerità muove il cielo, una seconda nonna, una piccola zia, un bisnonno avido, una bisnonna quieta e misera, padri, madri, nebbie ora dense ora rade, rugiade che cadono senza posa, la luna crescente che si alza nel cielo, grande come una macina, col suo azzurro che già fu eterno e infinito, la mezza luna rosso sangue del nono giorno dell’ottavo mese, il sole, rosso come il sorgo, alto come una pertica, il cui nucleo bianco neve è avvolto da un alone rosato, con la sua sfera rosseggiante che si alza a oriente illuminando il cielo che, ora, celato dai fusti del sorgo, è di un patetico rosso, col suo arco fatto di rosso sangue, bruciato di verde e rosso dalle fiamme di un camion, spighe che raccolgono l’essenza del sole e della luna, il delicato aroma della menta, il sangue che affluisce alla sommità del capo, il cui odore si mischia alla puzza di bruciato, e all’aroma del sorgo, le croste che si formeranno, un lungo fucile da caccia con il calcio rosso sangue, l’astuccio della polvere da sparo che pende sul sedere, storie d’amore, enormi rocce bianche a forma di cavallo, grandi muli neri, due vitelli, tre capre e un piccolo asino, e cavalli marroni, legati a decine di pali di legno, sabbie gialle, occhi che si sfregano, simili a sfere di fuoco, dita giallastre, lingue di fuoco color porpora, rulli di pietra, gente che russa, e che piscia nel secchio di ferro che sta nell’angolo, o in piedi sull’argine, buchi di telo incerato attraverso cui spunta qualche stella furtiva, acuti canti di gallo, vanghe di ferro, paure che impediscono di sentirsi liberi, ululati di cani, grida umane, il vecchio ponticello di legno, ora un po’ esausto, ponti di pietra bianca come la neve, la schiuma bianca delle onde, schiuma verde e polverosa, acciarini neri come la pece, pietre focaie rosse come fegato di pollo bollito, fili di fumo bianco, nuvole di fumo marrone che si alzano dai muri, visi sporchi di sangue, con quell’odore che si annusa controvoglia, anatre in volo sopra i campi di sorgo, che volteggiano e poi cadono in picchiata sulla riva erbosa del fiume, con i loro qua qua, lacrime che offuscano la vista ma non riescono a cadere, pelli rosse, versi, blu, giallastre e maculate, giacche di cotone turchese, denti bianchi che mordono la terra bruna inzuppata di pioggia, lingue rosse penzoloni, zappe, strati di fango seccato dal sole, crepato e spaccato, denso e appiccicoso, visi diventati terrei e giallastri, gente che pare ora più piccola del solito, sorgenti gialle, genitali recisi con un sol colpo, pelli scorticate, coi bulbi oculari di color porpora, urla orribili, “Scuoia, per i tuoi maledetti fottuti, scuoia!”, cadaveri che scompaiono, piume smeraldo e marrone che scintillano, ventri riscaldati dal sole, pantaloni di satin verde, tende dal color rosso spento, sbiadito per l’uso, mosche che si toccano gli occhi con le zampe a bastoncino, qualche refolo d’aria fresca, scarpe rosse con i fiori ricamati, pesciolini rossi fermi in fondo all’acqua trasparente, uova a colazione, musiche paradisiache, il gracidare melanconico dei rospi, che si rifugiano sotto le radici del sorgo, pezzi di seta rossa, il canto noioso delle cavallette, liquidi bianchi e poi rossi, grandi farfalle rosse, che si posano sul sorgo verde, gocce violente di pioggia che lo fanno tremare, corvi blu scuro posati su un rullo, frustini di crine di cavallo bianco, pollini bianche e polveri rosse, abiti neri puliti, quattro o cinque gocce di sangue scuro che sgorgano dall’orecchio, lepri impaurite dai muli, formiche sulla riva, a colonne rosso scure, che trasportano fango, camion, con le ruote simili a lune, urine rosse come il sorgo, tanto caldo che ustionano l’uccello che le piscia, camicie rosse bagnate dal sudore, cipolle verdi sul tappeto ugualmente verde, due fori lasciati dai proiettili sulla schiena, dai quali proviene il fresco aroma del vino di sorgo, sbuffi di fumo giallo, capelli scarmigliati, labbra tremanti, labbra rosso scuro come il sorgo del dio della morte che sorride, colombi che ti fissano coi loro occhi rossi, beccano e deglutiscono, con il collo che si gonfia, e le piume sono mosse, aperte a ventaglio come stendardi, bianchi come neve che depongono chicchi di sorgo che paiono perle sui denti bianchi di mio padre, il riso che scorre con un fruscio simile alla pioggia, corpi di giapponesi che galleggiano nel fiume, lentamente, verso est, macchiando l’acqua di rosso sangue, feriti che gemono nei campi, il suono rosso cupo di una tromba che colpisce i fusti del sorgo facendoli tremare, un grido disperato che suona, un nuovo guerrigliero che è stato colpito, arnesi di ferro più grandi di me e ricoperti da ruggine rossa, coltelli che servono a tagliare del sorgo per ricoprire il cadavere della nonna, la mano sinistra di papà che chiude gli occhi del nonno, un centinaio di soldati con l’uniforme grigia, che emergono dai campi di sorgo, un cane nero e delle tazze bianche, cadaveri e soldati feriti che giacciono alla rinfusa nei campi, la tromba che suona fino a che il sorgo verde diventa rosso, scritture a forma di girino, insetti autunnali che gemono nascosti nel fango umido, sotto le piante acquatiche, gruppi di locuste che sentono il cambiamento di stagione e s’allontanano dai campi, col ventre rigonfio di semi, e si concentrano lungo la strada, sulla cui dura superficie depositeranno le uova, ferite alla pancia chiuse con un pugno di foglie di sorgo, che risistemano l’intestino bruciante, visi incipriati accarezzati dal vento primaverile, carico dell’aroma freddo, amaro e leggermente dolce del sorgo, tazze rosso scuro, riempite di vino col mestolo, lampade a olio, ovatta imbevuta in olio di soia, olio di pino che brucia la pelle, ruggini di monete che tingono di verde le mani, braghe con una gamba nera e l’altra rossa, strisce di nuvole nere che si stendono in lontananza, le focacce quia, fitti fusti del sorgo che urtano le torce facendo schizzare l’olio ovunque, un’onda con la cresta bianca come la neve, un cappio di corda marrone intorno al collo, gli occhi spalancati e una lingua nera che pende fuori, una carpa con la coda rossa grande come un braccio, zoccoli sporchi di un fango, nero e calpestato, verdi piante che si rialzano lentamente, un mulo desideroso di montare sulla cima del sorgo e volare, roventi raggi di sole, simili a oro, che illuminano le perle d’acqua che si formano sul corpo e vi scorrono sopra, un bandito che emette un gemito, e cade in acqua con la faccia rivolta verso il cielo, coi due grandi piedi che emergono un po’, e poi affonda come un pesce, dollari d’argento estratti dal seno e gettati in aria, che brillano d’argento, alcune centinaia di cartucce per pistola, una lanterna rossa appesa a mezz’aria, fiamme che arrivano al cielo, e tingono di bianco una sua metà, un cavallo rosso precipitato su mio padre terrorizzandolo, grappoli di ciliegie rosse che affiorano e poi scompaiono, il forte odore di urina che esce dalla pancia del cavallo, denti che splendono simili a conchiglie, chicchi di sorgo che cadono a terra privi di guscio, come pioggia rada e gentile, simili a diamanti che brillano, la schiuma rosso sangue che esce dal morso e dai denti nivei, bagnando l’avido labbra inferiore, raggi di luce verde e rossa che illuminano due occhi chiusi, gocce di sangue che colano lungo le sue unghie gialle, occhi rossi e unghie verdi, un liquido verde che esce dalle labbra di papà, un filo di saliva che accompagna un rivolo rosso, un foglio di cartamoneta gialla per gli spiriti, della polvere bianca raschiata dai fusti, visi bronzei a chiazze verdastre, seni giallognoli, morsi con cattiveria, mostrati in segno di sfida, ritratti all’improvviso, gocce di sangue che cadono goccia a goccia da quel seno pendulo, cime di sorgo che si stagliano sull’acqua in lontananza come cortine di rosso oro, una decina di occhi verdi che lampeggiano come fuochi fatui, gruppi di ombre viola che si muovono tutt’intorno, tegole blu che si deformano, una testa sanguinante tra le mani, un raggio rosso che illumina la parete del pozzo, escrescenze nere grandi come fagioli, raggi di sole colorati di giallo spento, poi di rosso scuro, un nugolo di zanzare acquattate, nitriti di cavalli, raggi di sole che si dileguano, nel cielo infiammato di rosso, che presto diventa grigio scuro, foglie di sorgo secche e appassite, un millepiedi rosso dalle zampette appiattite, un grappolo di piccoli funghi color bianco latte, una pozzanghera di acqua fetida su cui si bagna il rospo, il riflesso del sole rosso porpora che tramonta, una pozzanghera dal color verde giada, gli occhi del nonno rossi, e i suoi capelli bianchi, il dolore e la solennità che permeano l’atmosfera, dei denti neri, alcuni proiettili che salgono in cielo, il fiume Giallo che ruggisce, il sorgo che è maturo a sud e a nord del fiume, il vento che ulula, un viso pallido e butterato che arrossisce improvvisamente, germogli verdi e delicati che riempiono spazi grigio blu e rosso cupo delle piante marci, plumbee nuvole nere cariche d’acqua che si allontanano fluttuando veloci, cumuli di ombre scure che scivolano sui campi, gocce di pioggia fredda e dura che colpiscono i fusti, stormi di corvi che, a fatica, con ali bagnate, volteggiano sul villaggio, sentieri tutto tornanti di un colore grigiastro, cani ribelli e traditori, che si nutrono della carne degli antichi padroni, col manto luccicante nella leggera nebbia bianca, sotto il sole rosso sangue, la testa esplosa di un cane chiazzato di bianco, che cade in avanti con in bocca un pezzo di intestini neri, alcuni di loro rosicchiano il terreno lucente e duro che aderisce alle zampe, altri pisciano alzando una zampa, altri leccano l’acqua fangosa della riva e, sazi di carne umana, mollano scoregge marroni, coprendo l’erba di escrementi rossi e bianchi, granate lanciate con allegria, schegge grandi quanto fagioli neri, sangue e carne di cane che volano per aria, i peli canini che fluttuano come onde, la testa di una lepre che, spaventata, scivola via furtiva, una pistola giapponese da cui esce un filo di fumo blu, il nonno è curvo, pallido e coi capelli imbiancati, Fulvo, il bastardo ribelle, che continua a respirare e a scalciare indomito con le zampe posteriori, col cuore che batte ancora, e il manto che brilla sfavillante come fiamme, una tunica blu scuro, un colorito olivastro, un corpo tanto magro che il vento potrebbe trascinarlo via, un viso coperto da una garza bianca, da cui escono due occhi furbi, germogli di sorgo gialli e verdi, appassiti sotto la brina, finestre bianche coperte per l’occasione dalle fantasiose carte ritagliate dalla nonna, e cinque giorni dopo la guerra, che trasformerà ogni cosa, riducendola in cenere, un piccolo involto di cotone rosso, una stele di pietra candida alta come due uomini, alberi che frusciano anche in assenza di vento, la tomba circondata dal sorgo rosso sangue che pare un’isola nera e solitaria, deboli raggi di sole, aria sporca, un’uniforme nera, una lanterna rossa, una grossa nube di fumo nero, due labbra rosso marcio, due file di denti bianchi, il viso sorridente incorniciato da capelli corvini, una raffica di spari, che risuona come un vento infuriato, proiettili come locuste sui campi di sorgo, il sangue sparso ovunque, che tinge di rosso mezzo cielo, sangue ovunque, col suo odore dolce e rancido, i giapponesi penetrati dentro al villaggio, il sole sanguigno che tramonta sui monti, la luna rosso sangue d’autunno che sorge dal folto del sorgo, il feretro rosso cupo della nonna, la fiamma dei ceri che lo tinge di una luce dorata, figure di pini e salici innevati fatte con carta bianca, un ragazzo di carta verde e una ragazza di carta rossa, un incensiere marrone, una brace rosso scuro, nei verdi che paiono foglie attorno all’occhio, due rivoli di sangue rosso vivo che stillano dai baffi neri, due biglie di vetro, una rossa come il sangue e l’altra verde giada, un mulo impaurito che scoreggia addosso alla bara della nonna, un fascio di luce verde e fredda che finisce sul collo del nonno, un liquido bianco e rosso che esce dal ginocchio spezzato, una tenda incendiata che brilla come una nuvola rossa, fiammelle verdi che costellano la bara, un fumo di quel colore che si sprigiona dalle bruciature, lo strato color porpora che avvolge la bara, mangiato dalle fiamme, lo strato di garza sottile e vernice nera, scoppiato, il vecchio quasi centenario con la piccola treccia bianca, i suoi ciuffetti di peli bianchi che gli escono dalle narici, i radi peli che gli crescono sul mento sporgente, una benda di cotone nero avvolge il braccio del nonno, le chiazze bianche dei tronchi contorti dei salici, suonatori vestiti di nero con appuntiti cappelli rossi in testa, minacciata dai soldati la folla indietreggia, gli ultimi avanzano, e vengono sollevati tutto a un tratto in alto, come la gobba formata da un bruco nero quando avanza, due soldati con sciarpe bianche, un baldacchino azzurro con un puntale rosso scuro grande quanto come un cocomero montato sulla cima, dai colori armoniosi, il blu della volta e il rosso delle aste, il suono accorato dei tamburi e dei gong, un uomo cammina coi colori rossi e neri dei condannati, i raggi dorati e roventi del sole, una tunica di cotone bianco, la polvere di mattoni rossi, i fusti imputriditi del sorgo, un velo grigio scende sul volto dei suonatori, il colorito rosa è ora violaceo, e cinereo spento, come urina di maiale scolorita, la schiena, le spalle, la gamba e il collo diventati come se appartenessero a uno spettro, mentre il velo diventa nero, sui cui sono sparse crepitando scintille dorate, la bara fatta passare per le sette porte e posta sotto il grande baldacchino blu, e il sangue scarlatto che scaturisce come una freccia dalla bocca e dal naso, grosse zolle di terra nera, gettate da una parte, fusti del sorgo che stridono quando vengono lambiti dalla punta dei picconi, e che marcendo prendono un colore rosso vivo e divengono lisci come giada, il puzzo diventa sempre più forti, i soldati piangono, sbattendo le palpebre, mentre scavano, quattro topi marroni salgono in superficie, un topo bianco candido resta acquattato, fiero con i suoi occhi neri, ossa bianche come la neve, i sette soldati che vomitano bile verde scuro nel fiume verde scuro, papà muove il collo come un giovane gallo che vuole cantare, poi gli salgono i conati, non vuole toccare le pallide ossa della nonna, gelide come il ghiaccio, e il teschio con i lunghi capelli neri gli finisce sul piede, due formiche rosse che dimorano nelle fosse oculari, vengono fuori muovendo le antenne, un monaco grasso con la veste gialla, che gli lascia scoperta la spalla sinistra, uno stendardo costituito da 32 strisce di carta bianca intrecciate insieme, corrispondenti all’età della nonna, con iscrizioni onorifiche di stoffa, baionette lucenti che lanciano nell’aria riflessi blu, una decina di granate che vola tra la gente ai due lati della strada e cade ai piedi dei soldati con sbuffi di fumo bianco, con l’impugnatura bianca che vibra e sibila nell’aria diffondendo il terrore blu scuro della morte, alzando nel cielo esplosioni dorate a forma di ventaglio, Occhio Nero che riporta un foro sul sedere, da cui esce sangue a fiotti, una biglia rossa e una bianca estratte dalla bisaccia, il maestro di cerimonia colpito all’arteria giugulare da una scheggia grande quanto un fagiolo di soia, sangue rosso vivo che schizza fuori, il collo che si piega da una parte, il tripode che cade, e il vino che si sparge sulla terra nera, trasformandosi in foschia leggera, il sangue che colpisce la terra bruna come fosse pioggia, producendo una buca grande come un pugno, il baldacchino che s’inclina rivelando la bara nera della nonna, un viso orgoglioso che pare una lunga strada ricoperta di cenere ocra, due bulbi oculari verdi simili a uova di libellula, che schizzano dalle fosse, un fiotto di sangue che esce appiccicoso, come quando si viene morsi da un cane rabbioso, il cavallo pezzato che nitrendo salta per aria, che si accascia al suolo come un muro che crolla, e dal buco del suo ventre, grande come un pugno, fuoriescono sangue e intestini, pupille nere che ruotano e poi scompaiono dentro le palpebre, le lunghe ciglia che coprono gli occhi grigi, baionette estratte che grondano sangue, il sole che illumina di bianco gli occhi, simile a porcellana, mentre riflette due raggi di debole luce, gente che corre sulla terra bruna, su cui esplodono sbuffi di fumo, un viso giallo che gronda sudore, un soldato che si arrende, e dice di voler tornare a casa, a coltivare il sorgo, tre soldati che vengono feriti, uno che muore, corvi che beccano con i becchi color porpora i corpi duri, sentieri grigi tracciati dai branchi, la natura umana che prevale su quella canina, e ammazza e divora quelle novelle fiere, gemme grandi come chicchi di riso sui salici piangenti, boccioli rosa sui peschi, rondine rincasate in anticipo, lepri in calore che si inseguono, l’erba che torna verde, dal cuore trafitto gocciola un liquido simile a resina di pino, il sangue che sgorga dallo stomaco, per le tante pene d’amore, attraversa gli intestini e sgorga dal culo sotto forma di feci nere come la pece, e questo è l’amore ardente, gli amanti adorano scorticarsi sul piano fisico, psicologico, spirituale e materiale, strappandosi a vicenda vene, muscoli, organi e il cuore nero e rosso, sbattendolo sul grugno dell’amato, e questo è l’amore crudele, i lunghi silenzi, che trasformano gli amanti in ghiaccioli, perciò chi ama davvero ha il colorito bianco come brina, e la temperatura di 25 gradi, gente che batte i denti, incapace di parlare, perché l’ha scordato, denti bianchi e labbra rosse, denti candidi, labbra carnose, capelli neri sciolti, un mulo di quel colore negato, il sorgo è stato raccolto, e rimangono solo le stoppie, il vento spazza la polvere e livella i campi, indurendo la terra, mare sconfinato di sorgo grigio-verde, banco di nubi distese sulla marea di sorgo, un fascio di luce colorata che illumina la stanza buia, e che presto ripiomba nell’oscurità, mentre fuori dalla ginestra la cortina della pioggia è sempre più grigia, un velo di nebbia blu sceso su quegli occhi umani di donna, fiamme dorate che paiono ardere nella stanza, le sue labbra carnose si gonfiano, ne escono fili di sangue che scivolano tra in bocca, tra i denti, baciandola il nonno sente l’odore acre del sangue, che lo fa impazzire, piove per tre giorni e per tre notti, e quando il giallo dorato e l’azzurro lasciano la stanza, il nonno avverte l’arrivo del sorgo grigioverde, il gracidare dei piccoli rospi e il rosicchiare delle lepri, e nell’aria fresca e rancida si mescolano mille odori, una rana verde smeraldo è sulla stuoia che ricopre il kang, dai campi di sorgo spuntano i raggi insanguinati del sole, il corpo di lei è lucido come quello di un mulo nero, scintille dorate baluginano crepitando davanti ai suoi occhi, inghiottite dai raggi del sole che entrano dalla finestra, negli occhi della ragazza si accendono fiamme blu, il sole è grande, rotondo, umido di sangue come un neonato, l’acqua delle pozzanghere è rossa e scorre scrosciando verso i prati, i fusti del sorgo sono immersi a mezza altezza, come le canne di un lago, chi guarda fuori a guardare il sole ha un velo di ruggine verde sul viso, l’acqua caduta è assorbita dal terreno, e lascia uno strato di fango lucido e molle come lardo, la nonna ha gli occhi gonfi e rossi e puzza di muffa, la vescica biliare è grande come un uovo di gallina, le acque del fiume e i raggi del sole che sembrano fatti di verde smerigliato grigio e irradiano una luce opaca, le sue onde blu si inseguono veloci, l’asino giovane ha la testa coperta di peli soffici color porpora e allunga il muso verso il secchio dell’acqua, il gallo rosso fuoco canta felice, un treno nero si avvicina, e le rotaie si torcono rosse o nere, il fischio acuto sembra pender forma nelle foglie accartocciate dei cereali o nei nugoli di polvere che si alzano, l’odore rancido di sangue che esala dal suolo, il corpo bianco come neve della nonna, il noto odore di mosto di vino che permea l’oscurità della notte, il cuore dolorante come se qualcuno gli avesse dato un pugno, il sangue rosso che esce dalla bocca, la fiamma dorata che le cinge il corpo e le scintille blu che le sprizzano dagli occhi, il bandito metà uomo e metà demone, un grande tino rosso scuro pieno di sorgo, il sorgo bianco striato di rosso, banditi che mangiano il sorgo crudo, i chicchi crudi masticati rumorosamente, sul ventre del mezzo demone dei grandi segni bianchi, mezzogiorno di fuoco nel campo di sorgo verde smeraldo, una luce blu negli occhi assassini, il viso cereo, un grosso grumo di sangue che esce dalla bocca assassina, il sorgo crudo lavato con l’acqua di pozzo, il sangue rosso dei soldati, quello verde dei loro antagonisti, il terreno che si nutre di essi, vivi e morti rotolano giù insieme, un rasoio nero in mano al capo dei banditi, denti gialli assai ben individuabili, il sole, dopo aver brillato, s’oscura, la luna piena comincia a declinare, un recipiente pieno prima o poi si capovolge, alla prosperità segue la decadenza, un minuto soldato, sanguinante, striscia a fatica sull’argine, come un baco, un lombrico, una lumaca, mentre il sangue gli esce come acqua di sorgente, un buco nero su un’altra tempia, un filo di liquido bianco gli scende sul viso mezzo bruciato dallo sparo, occhi rossi e denti stretti, il sole tramonta, illuminando le nuvole della sera e tingendo la terra di nera sofferenza, e giacciono i figli del sorgo rosso, che di esso si sono nutriti, e il loro sangue formano dei rivoli che confluiscono nel fiume, mentre la bara della nonna resta coperta da tacche bianche, i segni dei proiettili, del colore dei guanti del comandante, foglie nuove, grandi come un pugno, che galleggiano in superficie, nel folto delle lenticchie d’acqua color giallo pallido nuotano i rospi, nell’aria fredda fluttua il rancido odore del sangue, che richiamano i verdi tafani, l’ampia natura di terra bruna è avvolta dalla nebbia bianca come latte e, dopo l’esplosione, la carne di cavallo e il vino di sorgo si spargono a terra, labbra carnose, rosse come l’uva, sabbia umida e gialla, un volto pieno come un baccello, dei vivaci occhi blu, una bara sottile di legno di salice, dipinta con una vernice marrone rossiccio che non ce la fa a coprire i buchi delle tarme, il corpo scuro e lucido inghiottito dalla sabbia dorata, labbra sensuali che sporgono da essa, la tomba è inghiottita dalla terra bruna del villaggio e, intorno a essa, si erge solo una barriera di sorgo rosso, il viso si solleva, come se fosse un girasole, a mirare lo splendore azzurro terso del cielo, e il sole non è ancora spuntato, la linea indistinta dell’orizzonte è orlata da un filo abbagliante color rosso scuro, c’è chi spara a una volpe rossa dalla coda simile a una fiaccola, a donnole gialle, a lepri, a oche selvatiche, ad anatre e, se non c’è di meglio, a passeri, un’enorme nuvola marrone scivola veloce sui campi sterminati, e i passeri si posano sui rami giallastri e spogli, coi neri occhi che brillano sui rami come scintille dorate, non appena il sole del tramonto tinge di rosso le nubi, alcuni spari e i passeri dorati cadono come grandine, mentre i pallini volano fra i rami, e chi può si salva, lanciandosi come schegge verso l’alto, nel cielo indifferente, le prime guardie rosse si ritirano, scure in volto, i germogli giallastri tremano nell’aria fredda del mattino, a oriente il cielo si fa luminoso, e le canne e il ghiaccio si tingono di una fredda luce color sangue, come se il ghiaccio avesse preso fuoco, il fumo verde scuro dello sparo si dirada nell’aria tersa, il corpo enorme dell’uomo si taglia nella luce argentea del cielo, il cacciatore sente un freddo tagliente che gli attanaglia lo stomaco e poi sale verso l’alto, mentre si avvicinano dieci giapponesi in uniforme gialla e con fucili dotati di baionette lucenti, il pelo della volpe brilla, i suoi occhi sono leggermente strabici, e paiono due smeraldi, e poi tira fuori la lingua fredda, leccandogli le ferite, il cielo a oriente si tinge di rosso, il cesto del letame è pieno fino all’orlo, si schiarisce la voce e intona un canto forte rivolto alle nuvole rosse, infila le mani nei pantaloni e la estrae tremante di paura, non è insanguinata, ma giallognola, strofina il palmo della mano contro la terra del canale, ma resta gialla, solleva la testa e vede l’uomo che urla, e decine di gambe divaricate in braghe ocra, sotto le nuvole scarlatte del crepuscolo sventola un bandiera quadrata con il sole al centro, le baionette mandano un bagliore color verde cipolla, gli occhi gli si ingrigiscono, il giapponese urla una frase lunga come un grappolo d’uva, il sangue caldo gli esce dal petto e gli cola dalla pancia, una baionetta lucente come neve brilla accanto alla sua guancia, dal tetto spuntano ciuffi di erba bianca, del fumo blu esce dal solitario camino, è quasi dissanguato, d’un tratto gli appaiono delle stelle verdi, la finestra è illuminata dai deboli raggi del sole del mattino, la seconda nonna prende la giacchetta rossa, il fuoco si spegne con la stessa velocità con cui si è acceso, i fili di paglia bruciano mantenendo la loro forma, poi si accartocciano e si spengono, la bambina è seduta sulla coperta, la sua pelle bianca risalta sull’imbottita color porpora, le esplosioni fanno tremare la carta bianca delle finestre, i brillanti raggi del sole illuminano il vetro, la brina si scioglie condensandosi in due grosse gocce d’acqua lucente, che scivolano giù, ovunque nel villaggio risuonano gli spari e le grida delle donne, i battenti del portone, verniciati rosso ocra, stanno per cedere, le palpebre prendono a sbattere nervosamente, sugli stipiti è accumulata polvere grigia, il paletto bianco è macchiato di sangue scuro, che appartiene alla donnola gialla, la nonna ricorda quel lamento acuto di quando le fracassa la testa, lo stesso rumore che fanno le bucce secche delle arachidi quando le si calpestano, nei campi avvolti dalla luce rosso sangue delle nuvole crepuscolari, la donnola è su un tumulo coperto di erba gialla, il pelo dorato e il muso nero come l’inchiostro, la seconda nonna la vede mentre fa i suoi bisogni, accucciata in cima al tumulo, che agita le zampe anteriori verso di lei, sul campo di sorgo è sceso il buio e nel cielo scuro si muovono misteriose e frenetiche le stelle, l’immagine della donnola le appare e scompare di continuo davanti agli occhi, la bestia la controlla al buio, in un pantano rosso cupo dove combatte tra l’istinto sessuale e l’istinto di morte, l’immagine della donnola dal muso nero che ghigna malvagia, spolverando il terreno con la sua coda dura, la nonna sviene, cadendo a terra, le labbra schiumanti di bava, il corpo madido di sudore, il viso simile a carta dorata, l’uomo brucia gli incensi e accende le candele, con un pennello intinto di inchiostro rosso disegna degli strani simboli su carta gialla per gli spiriti, mescolando la cenere con il sangue di un cane nero, da quel giorno la nonna comincia a ristabilirsi, la donnola torna a rubare le galline e si scontra con il grande gallo rosso e dalle zampe gialle, che l’acceca a un occhio, la nonna la colpisce con forza sul muso affilato con un paletto di legno bianco, che le sporca le mani di sangue, e riduce la donnola a una poltiglia di sangue, e poi fissa quel sangue seccato sul paletto, e i suoi bulbi oculari cominciano a ruotare come impazziti, e inizia a urlare, il soldato prende le fattezze di una donnola dal muso nero, il mento a punta, i baffetti neri, il suo corpo è più grande, il suo pelo più chiaro, lo sguardo più perfido, le lucenti baionette sono innestate, i sorrisi stupidi paiono quelli di donnole, sembrano frittelle di sorgo appena sfornate, lacrime copiose scendono lungo il viso sporco di fuliggine, rivelando la pelle scura e lucida, un disgusto profondo, come se un rospo le fosse entrato nei pantaloni, il soldato estrae un fazzoletto nero e si tampona il naso, tiene il fucile con una mano, con l’altra, scura e ossuta, afferra i capelli della giovane zia, come se fossero ciuffi di carote, le guance di lui fremono come quelle di un piccolo topo, e sui occhi cala un velo blu, che pare essersi condensato in una nube gonfia di pioggia, fulmini e lampi, il corpo della seconda nonna, scuro e odoroso come sorgo tostato, giace sul kang, come un enorme luccio che si riscalda sotto i deboli raggi del sole, schiaccia il corpo di lei col suo, ansimando come un gallo, e alitandole in faccia il suo fiato che puzza di merda di cavallo, il diavolo caldo ti morde il viso, per vendicarsi del morso al naso, il viso di lei è sporco di lacrime, di sangue, e di saliva di quel soldato calvo, simile a un enorme uccello che spalanca le ali, la giovane zia viene sollevata dalla baionetta e lanciata con forza, e plana a terra, vicino al kang, spalancando le braccia, i capelli ritti come gli aculei di un riccio, la sua giacchetta rossa si apre sotto i raggi del sole come un drappo di seta rossa, morbida e leggera come un’onda nella stanza, lacrime blu scendono dagli occhi del giovane soldato, col fucile in mano, la seconda nonna grida, cerca di alzarmi, ma il corpo non le risponde più, un fascio di luce gialla lampeggia davanti ai suoi occhi, seguito da una luce verde, una marea nera la inghiotte, duri rivoli di lacrime calde bagnano il viso rinsecchito, il nonno dà un ceffone alla nonna, colpendola al naso, da cui prese a colare sangue scuro, sull’ampia campagna si stende un velo di polvere, e nel cielo sono sospese nuvole nere simili a tortuosi corsi d’acqua, la groppa del mulo nero è coperta da tumefazioni grandi come uova di gallina e di fili di sangue scuro e, in quel momento, dal rosso orizzonte giunge al trotto l’altro mulo nero, la cui lucida pelle sembra essere sfregata con polvere d’oro, il nonno ricaccia indietro le lacrime e tossisce violentemente, assalito dalla nausea si appoggia alla stanga del carro, alza il viso e scorge a oriente un enorme sole ottagonale color smeraldo che gira come una ruota, sul punto di schiacciarlo, e sale al cielo l’aroma di vino di sorgo, la seconda nonna continua nel sonno a tenere spalancati i suoi occhi blu, il nonno ha l’impressione che il mondo sia verde, il mulo avanza triste, il muso chino, con un’espressione seria, non si capisce se indignato, vergognoso o abbattuto, il forte vento di nord-ovest solleva nubi di polvere sulla strada, facendo frusciare le foglie degli alberi, il nonno è tornato, coi due cadaveri, la terra nera si è accumulata tra le pieghe dell’imbottita, che pare nascondere un rigonfiamento, la nonna solleva un lembo e ritrae subito la mano, come se si fosse scottata, papà, con il suo occhio acuto, intravede il viso della seconda nonna, pesto come una melanzana, e la bocca impietrita e spalancata della zia, una bocca dolce come il miele, quando scandisce la parola fratello, adora quella sorellina scura, la morbida e trasparente peluria che le ricopre il viso, i suoi occhi lucenti come bottoni di bronzo, il vento di sud-est fruscia nei campi tra le ampie foglie del sorgo verde, e l’odore del fiume giunge da lontano, le barbe rosso sangue che crescono a ciuffi sul tronco del salice, il verso del gufo che risuona nella notte, facendo vibrare l’aria tesa come la membrana delle canne sottili e trasparenti, nella strada grigio-marrone, con i fusti del sorgo alti fino alla vita, gli occhi verdi di un uccello vibrano tra le foglie, papà comincia a battere i denti, e un brivido di freddo gli sale dalla punta dei piedi fino alla testa, come un serpente, le orecchie iniziano a ronzargli, rade gocce di pioggia, grandi come monete di bronzo, cadono a terra volando nell’aria e rompendo quel buio impenetrabile, l’erba cresce rigogliosa nella fossa, i fili appuntiti gli pungono il mento, turbando la serenità del suo animo, sente freddo alle spalle, come se innumerevoli occhi di bambini morti gli stessero fissando la schiena, deboli scintille rosse illuminano le mani tremanti della nonna, una tenue fiammella tremolante illumina la fossa, appare una luce rossa grande come una palla, simile a uno spettro solitario, i gufi tacciono, i bimbi morti circondano papà, la nonna e il piccolo lume rosso, una decina di falene vanno a sbattere contro la lampada di carta, l’erba continua a crescere rigogliosa sul terreno molle, la nonna si muove con difficoltà lasciando orme rotonde su di esso, i cadaveri martoriati dei bambini giacciono scomposti, nel folto dei fusti e delle grosse foglie è adagiata una stuoia arrotolata, sotto la luce del lume, le dita della nonna paiono ascaridi rosa in movimento, la luce rosso fuoco illumina la bilancia, un pezzo di stoffa rosso copre il volto spaventoso della piccola zia, il raglio dei muli ricorda il verso dei gufi, e anche il corpo della piccola zia sarà presto cibo di gufi e di cani randagi, vorrebbe sollevare il drappo rosso e guardarle per l’ultima volte il viso, si gettano i loro vestiti sul pavimento, i pantaloni fradici cadono pesantemente a terra, c’è un odore nauseante di sangue, la seconda nonna dibatte violentemente le braccia ed emette un grido simile a quello dei gufi, piangendo la nonna strofina il sangue rappreso sul corpo della giovane zia, lo zio si occupa di tutto, il nonno rimane a gemere a casa, nello scuro focolare si accendono delle fiammelle rosse, un uomo si avvicina per riscaldarsi la pancia gelida, mentre le spalle gli restano fredde, butta un pugno di paglia nel fuoco, e si mette di schiena, ha fame, la volpe che lecca le sue diciotto ferite è sempre lì, nella sua testa, che lo fa, afferra la tavoletta dello spirito volpe a cui fa offerte da trentasei anni, fiamme affamate la lambiscono crepitando, dalla tavoletta esce un liquido rosso, come se stesse bruciando il corpo della volpe, nessuno gli crede mai quando lo racconta, ne ricorda ancora la lingua fredda, ma ha fame, attraverso le sbarre vede che la neve accumulata è nera, sporca, ci sono uomini vestiti a festa con cappelli nuovi, con orecchie e teste grandi e labbra tumide e lucide, con in mano teste di maiale ripulite dalle setole e dalle orecchie rosso sangue, altri pesci argentei, altri ancora polli o anatre, tutti molto indaffarati, lui muore di fame, un ragazzo con tre penne infilate nella tasca della giacca lo avvicina con aria indifferente, e gli chiede cosa vuole, lui si inchina e chiede, umilmente, e continua a battere contro il cancello di ferro, ma nessuno si cura più di lui, i vetri delle finestre riflettono nel cortile una tiepida luce gialla, fiocchi di neve volano silenziosi come piume d’oca contro le finestre lucenti, il vecchio ha il viso violaceo, gli arti distesi, gli occhi spalancati che fissano il cortile della comune, è difficile credere che sia morto di fame, il giovane conta le cicatrici su quel corpo, sono proprio diciotto, né una di più, né una di meno, l’uomo annuisce e, inchinandosi, indietreggia di alcuni passi, la ferita sul petto gli brucia, i pantaloni sporchi del suo escremento sono diventati freddi e appiccicosi, si appoggia a un albero per riprendere fiato, ode i lamenti e i pianti che giungono dalle case del villaggio, le gambe gli cedono e scivola a terra strusciando la schiena contro la corteccia secca del salice, il villaggio è avvolto dalle nuvole di fumo denso prodotte dalle esplosioni delle granate, i giapponesi sono lì perché lui li ha portati, nel cielo rosato fluttuano grandi banchi di nuvole rosse, la moglie, la figlia e altri uomini, donne, vecchi e bambini sono lassù sulle nuvole, e gli sputi cadono dal cielo come gocce di pioggia, cerca il figlio di otto anni, lo trova con la testa nel tino dell’acqua, il corpo rigido come un bastone, il cielo è pieno di stelle fredde e la terra coperta di brina, una debole luce brilla sulla terra, la caserma è illuminata da una decina di lanterne, la porta centrale è sorvegliata da due esseri simili a spettri, le cui lunghe ombre si proiettano nel cortile, un cane nero balza fuori correndo dal mucchio di mattoni, seguito da un cane bianco e da uno pezzato, e lui lancia venti granate attraverso una finestra, si impicca a un salice all’entrata del villaggio, senza togliersi la pelle di cane, sembra un cane impiccato a un albero, solo di fronte si vede che è un uomo, la stanza è impregnata da un forte odore di sangue, la seconda nonna è quasi del tutto dissanguata, il medico ha un’ottantina d’anni, la barbetta argentea, la testa calva dalla pelle grassa, le unghie lunghe, e non dà alcuna speranza, alla seconda nonna fanno indossare calze di seta rossa, pantaloni di satin blu, una gonna di seta verde e scarpe rosse ricamate, papà vede un gatto nero come l’inchiostro camminare sul tetto di casa, la bestia manda miagolii acuti che lo fanno rabbrividire, la nonna accende tre stoppini della lampada a olio, da cui si sprigiona un fumo che odora di montone arrostito, la seconda nonna continua a sbattere le palpebre veloce come un lampo, a urlare come una pazza e a imprecare, prefigurando allo zio la sua prossima morte, senza risparmiargli i particolari del martirio, chiamano un taoista che, riluttante, danza e versa la medicina nella ciotola, mescola veloce con la spada recitando gli incantesimi, l’acqua a poco a poco diventa rossa come il sangue, e la seconda nonna, il suo demone, che vuole mangiare un gallo con le zampe gialle, termina di imprecare, e dalla finestra viene la puzza di decomposizione del cadavere e l’odore di sangue marcio, nei miei occhi vedo la stessa luce intelligente e furba che vedo negli occhi dei conigli, la seconda nonna rientra velocemente nella tomba, ora il sorgo non è più rosso, è meticcio, viene da altrove, il sorgo rosso come un mare di sangue non è più, quest’ibrido ha i fusti bassi e tozzi, il fogliame è fitto ed è coperto di polvere bianca, le cime sono lunghe come code di cani, ha un sapore allappante a amaro e provoca la costipazione, quest’odiosa varietà pare non debba mai maturare, manca dello spirito e dell’aspetto del sorgo, tiene sempre chiusi i suoi occhi grigioverdi, ma il cielo è alto, l’aria è pungente, i campi coperti di sorgo diventano un mare di sangue, e se le piogge autunnali sono copiose, i campi si trasformano in una sconfinata distesa d’acqua, le cime rosso cupo si ergono sull’acqua gialla e torbida, rivolta verso il cielo blu, quando sorge il sole, il cielo e la terra si tingono di colori di straordinaria bellezza, “Questo è l’estremo confine del genere umano e della bellezza che ho sempre desiderato e che sempre desiderò.”
“Il sorgo è rosso, il sorgo è rosso, i giapponesi sono arrivati, i giapponesi sono arrivati.”

Di questo e di tanto altro si parla in questo libro unico, che è stato scritto a tavolino.
Anche la mia reazione lo è.
Questo libro unico pare scritto senza pausa, in un impeto irrefrenabile.
Anche la mia reazione lo è.
La traduzione di Rosa Lombardi è eccezionale.
Ho cercato di tradurla. Sono il traduttore della traduttrice di Mo Yan.
Nel commento di Renata Pisu, posta dopo la fine del romanzo, si paragona il romanzo a Cent’anni di solitudine di Marques. Non si può che concordare con tale osservazione. Anche nel Il sorgo rosso, non si riesce a separare il realismo dalla magia. L’infame realtà è sempre un po’ magica.
C’è un altro autore e un altro romanzo unico e immenso che mi viene in mente, e che io paragono a questo: Ulisse di Joyce.
Tutta la narrazione mi è parsa un infinito e impetuoso fiume di coscienza, che scorre senza fine e senza pace.
I fiori del tempo, color rosso, porpora, blu, rosa, nero e bianco, prima o poi danno i loro frutti, mentre il sorgo e i suoi uomini aspettano rassegnati e intrepidi.
Di questo e di tant’altro trabocca l’opera diacronica di Mo.
Se il tempo è un’illusione, non è forse ancor più elettrizzante fingere di passarci nel mezzo?
Il fisico britannico Julian Barbour definisce il cosmo come un insieme di attimi perennemente appesi a dei ciapètt, quando sei a Reggio Emilia, cannucciedde, quando sei a Pixuntum, mollette, quando sei ad Amalfi.
Tutti gli attimi sono, collegati al medesimo filo, senza esistere, in maniera sempre devastante. Sono lì, ognora, pronti all’uso.
Lo stesso concetto è espresso da Billy Pigrim che, in Mattatoio n. 5, di Kurt Monnegut, visse avanti e indietro nello spazio-tempo per tutta la vita, che vide la sua morte e che poi visse a lungo, un po’ felice, e quasi contento.
Un concetto analogo lo esprime Ford Prefect, uno dei personaggi di Guida galattica per gli autostoppisti, di Douglas Adams, quando afferma: “Il tempo è un’illusione. L’ora di pranzo è una doppia illusione.”
Nel romanzo di Mo Yan i brandelli del tempo paiono ricucirsi l’uno nell’altro, intersecandosi, rimanendo però mirabilmente separati, e miseramente appesi, per l’eternità.
Per cui il tempo appare per quello che è, una sacra rappresentazione, la più originale e stimolante fra quelle umanamente immaginabili.
Written by Stefano Pioli
Bibliografia
Mo Yan, Sorgo Rosso, Einaudi, 2017