Le métier de la critique: Elio Vittorini, un eccellente rappresentante del mondo letterario del Novecento
“C’è una questione di vita o di morte nel giro del nostro mestiere. Si tratta di non lasciare che la verità appaia morta” – Elio Vittorini, Il garofano rosso

Da ascrivere senza dubbio fra i maggiori rappresentanti della letteratura italiana del Novecento, Elio Vittorini è stato scrittore e traduttore; ma anche e, innanzitutto, un intellettuale che ha avuto a cuore le tematiche sociali e politiche del suo tempo.
Più corretto è dire che è stato un militante culturale il quale ha dedicato la sua attività al fine di raggiungere un obiettivo importante: indagare sull’essenza dell’uomo e, servendosi di tale principio, sviluppare una produzione letteraria di alta levatura. Così, come si evince dai suoi scritti, atti a descrivere la cultura dei decenni al centro del Novecento. Secolo, che con i suoi sconvolgimenti ha cambiato l’assetto della società italiana, proiettandola verso un futuro senza approdare poi a un presente benevolo.
“Non proviamo più a compiere i nostri doveri. Compierli ci è indifferente, perché sono doveri troppo vecchi, troppo vecchi e divenuti troppo facili, senza più significato per la coscienza” – Elio Vittorini, conversazione in Sicilia.
È il 23 luglio 1908 quando Elio Vittorini vede la luce a Siracusa. Dal suo luogo di nascita se ne allontana al seguito del padre, che per motivi di lavoro si trasferisce in diverse località della Sicilia. Fra lui e la sua città d’origine mette una distanza che col tempo non sarà facilmente colmabile. Anche se, custoditi nella sua memoria conserva un legame con i caratteri e i paesaggi della sua terra.
Nel 1927 Vittorini si unisce in matrimonio con Rosa Quasimodo, sorella del poeta Salvatore, e si trasferisce a Gorizia, periodo durante il quale inizia la sua collaborazione con varie riviste letterarie.
A Firenze, città che dopo Gorizia lo ospita come suo residente, Vittorini svolge l’attività di correttore di bozze, mestiere che lo porta a stretto contatto con l’ambiente intellettuale fiorentino. Si lega in particolar modo a Solaria, rivista che per prima pubblica i suoi racconti e, a puntate, il suo romanzo Il garofano rosso.
Inizialmente, Vittorini aderisce al fascismo, trovando nella cosiddetta ala di ‘sinistra’, cioè la frangia che sottolinea la matrice sociale del regime, la componente ribelle e antiborghese. Per allontanarsene e prenderne poi le distanze.
In conseguenza della vittoria del fascismo in Spagna lo scrittore sente di dover riaffermare con forza il valore dell’uomo di fronte alla violenza totalitaria. Ed è perciò che le sue istanze letterarie si declinano in azione attraverso la lotta partigiana. A Milano, dove si trasferisce nel 1938, in Vittorini si rafforza l’idea di dedicarsi all’impegno letterario come attività totalizzante, coniugato con una presa di posizione nettamente politica.

Nel 1941 pubblica Conversazione in Sicilia, il suo romanzo maggiormente significativo, e Americana un’antologia di narratori americani tradotti dallo stesso, la quale amplifica il ‘mito americano’, fatto questo che lo avvicina a Cesare Pavese.
E, nonostante la censura fascista, Vittorini si fa promotore di nuova linfa da immettere nel mondo letterario. Entrato a far parte del Partito comunista diventa redattore presso l’Unità, il giornale del partito.
Ma presto entra in conflitto con i dirigenti del Partito comunista e ne stigmatizza le loro volontà, tanto che decide di uscirne, in quanto rivendica una propria autonomia di pensiero e l’indipendenza dell’intellettuale in quanto coscienza critica della società.
E, per consolidare il principio di autodeterminazione culturale, negli anni che vanno dal ‘45 al ‘47 fonda la rivista ‘Il Politecnico’, strumento divulgativo il cui intento è offrire un orientamento nell’ambito della cultura contemporanea. Ed è a questo punto che Vittorini si afferma come un importante animatore del dibattito culturale italiano, consapevole che l’intellettuale dev’essere esempio di impegno civile.
Dal 1951, per Einaudi, dirige una collana di narrativa e offre ampio spazio ad autori esordienti identificandosi come scopritore di talenti; fra questi figurano due nomi eccellenti: Italo Calvino e Beppe Fenoglio. Nel 1959 Vittorini fonda un nuovo periodico dal titolo Il Menabò, che organizza e dirige con Calvino fino al 1966, anno della sua morte.
Come altri scrittori della sua generazione, Vittorini rifiuta ciò che offre la cultura italiana di quel periodo. Quali le interpretazioni di D’Annunzio, dei Futuristi e di Croce, ma anche dagli aderenti a la Voce; rifiuto che lo porta a rifarsi a modelli di letteratura straniera.
James Joyce, Thomas Stearns Eliot e Marcel Proust fra questi, anche se principalmente sono i narratori americani ad attrarre la sua attenzione, il quale fa sì che con Pavese i due diventino divulgatori della narrativa americana; circostanza che viene accolta dal regime come un manifesto dal disegno eversivo.
Ma, per offrire una visione che sia il più esaustiva possibile, è utile porsi un interrogativo a proposito della prospettiva che anima la produzione letteraria di Elio Vittorini. Occorre innanzitutto ricordare che la sua opera presenta aspetti molto sfaccettati, sia per le tematiche trattate sia per il progetto narrativo con cui le stesse sono elaborate. Lo scrittore non innalza a modello assoluto uno stile definitivo, ma ama sperimentare modi narrativi nuovi ed esplorare performance differenti.

Una costante della sua narrativa è la tendenza a rappresentare la realtà in maniera simbolica. Ma il vero filo conduttore che attraversa la sua produzione è uno e unico, e lo si può riassumere in una sola parola: liricità.
La sua scrittura ha infatti un carattere lirico e, aperta a diverse tendenze stilistiche si adegua ai soggetti letterari trattati. Perché, più che fatti da raccontare lo scrittore ha cose da dire, esplicitate grazie a una sua naturale inclinazione, ovvero la capacità di raffigurare la realtà tramite connotazioni simboliche ed allusive. È dunque una sua esigenza intrinseca quella di tradurre la cronaca in poesia a cui infondere un tono lirico-meditativo.
A proposito dei temi trattati, si rammenta che Vittorini mette in discussione il suo essere letterato fino alla fine dei suoi giorni. Ma i temi ricorrenti della sua narrativa sono una costante di tutta la sua produzione.
Il tema dell’infanzia, intesa non come un ritorno nostalgico all’inconsapevolezza dell’età, ma come una condizione emblema della libertà e dell’avventura umana. Non è fonte di evasione, o recupero di un tempo perduto, ma presupposto per incarnare l’essenza della libertà. Concetto questo, che porta Elio Vittorini a intraprendere un’operazione di scavo per avvicinarsi alla verità, così come si evince da Conversazione in Sicilia.
Anche il viaggio, dotato di una componente mitica, per lo scrittore ha funzione conoscitiva. Che non è una forma di involuzione intesa come un ritorno alle origini; al contrario, è un’evoluzione la quale rappresenta un percorso interiore arricchito anche dalle suggestioni suscitate dal paesaggio che accompagna il protagonista nel suo viaggio.
Quindi, la memoria, non come evasione lirica, ma come via per ricercare la verità.
Ed è ciò che differenzia il pensiero di Vittorini da quello di alcuni rappresentanti dell’Ermetismo, per esempio, in cui la memoria è vissuta come una condizione alternativa alla realtà.
L’umanità, altro espediente narrativo considerato da Vittorini che meglio esprime il suo sentire; la si può cogliere attraverso la sua narrazione, nella misura in cui lo sguardo dello scrittore si posa sull’umanità da cui è circondato. I suoi simili gli appaiono accomunati da un unico destino, che non è benevolo, ma i cui confini sono disegnati in una netta linea che li incanala in un mondo alienato a causa dell’ingiustizia e dell’oppressione, oltre che dall’incomunicabilità.
“Non bisogna piangere per nessuna delle cose che accadono… Se piangiamo e accettiamo. Non bisogna accettare” – Elio Vittorini, Uomini e no
Infine, per apprezzare nella sua interezza la poetica di un uomo votato a un continuo ed enorme impegno civile, una breve speculazione a proposito delle sue opere. Quelle più sintomatiche.

Che dire di Conversazione in Sicilia, opera altamente innovativa e di profondo spessore?
Innanzitutto rappresenta un viaggio. Che è simbolico ed è al contempo specchio della crisi ideologica dello scrittore. Romanzo innovativo per la soluzione tecnica usata, e presa in prestito dai romanzieri americani. Ovvero, la narrazione si sviluppa tramite azioni, delineando pensieri e opinioni espresse dai personaggi tramite i loro comportamenti ed evidenziando i dialoghi.
Capolavoro per definizione, Conversazione in Sicilia è romanzo da prima pubblicato a puntate, e poi in un unico volume. La presentazione narrativa avviene tramite un ‘io narrante’, il quale incarna un uomo indignato per il ‘mondo offeso’, quello che riconosce intorno a sé.
Per tornare in Sicilia il protagonista compie un viaggio, che non è solo fisico, ma soprattutto è metaforico. Un viaggio all’interno di se stesso, durante il quale stabilisce con la vecchia madre e altri personaggi che incontra durante il viaggio, una conversazione che gli dà occasione di approfondire il dramma dei perseguitati, degli oppressi, dei poveri, la cui miseria offende la dignità umana.
È un viaggio che mette a nudo una dura realtà, ed è una ferma opposizione al fascismo, sotto forma di simbolo e allusione. Anche il paesaggio ha funzione evocativa, diversi scorci della Sicilia ne fanno un luogo mitico che si fa metafora di tutte le ‘terre offese’.
Strutturato in brevi capitoli, il registro narrativo di Conversazione in Sicilia è molto prossimo alla composizione poetica, sia per le scelte linguistiche come per l’espressività: frasi ripetute con tono lapidario, dove ogni parola ha un suo preciso significato e offre una visione inedita della vita.
Con i suoi mutamenti di stile Vittorini intende conformarsi non solo ai soggetti trattati, ma alla società in continua evoluzione di cui coglie e interpreta gli umori.
Anche in questo caso, come in altre sue opere, il suo obiettivo è fare della letteratura uno strumento di conoscenza di una società che si sta sempre più orientando verso lo sviluppo tecnologico. Ma l’autore s’impegna, non solo a descriverne l’aspetto evolutivo, in quanto il suo intento prioritario è indagare sulla reazione di causa effetto che, a cascata, si viene a creare. Indagando di conseguenza dell’alienazione della condizione umana determinata dagli eventi.
Partendo da questa prospettiva, Vittorini si può considerare quale promotore e anticipatore di correnti successive, oltre che un attento e sollecito scopritore di giovani autori.
«Così si è formata l’educazione politica degli italiani che ora hanno battuto il fascismo e vogliono costruire un paese nuovo non per trasmissione di esperienza da padri a figli e da vecchi a giovani, ma per dure, brutali lezioni avute direttamente dalle cose e dentro le cose, per lente maturazioni individuali, per faticose scoperte di verità, tutta auto-educazione e tutta tra il luglio del 1936 e il maggio del 1939. Il vecchio antifascismo italiano non lo trovammo, infatti, che dopo… Fu per la guerra civile di Spagna che lo trovammo» – Elio Vittorini
Ne Il Garofano rosso l’esposizione si sviluppa su tre diversi interventi narrativi: il diario, il dialogo e la lettera, mezzi attraverso i quali è il protagonista a svelarsi. Anche in questo caso, è romanzo uscito a puntate su “Solaria”, e il contesto storico nel quale è inserito sono gli anni dell’ascesa del fascismo.
La narrazione è incentrata sullo sviluppo di uno studente della borghesia siciliana, delle sue esperienze amorose e del suo rifiuto alle convenzioni borghesi. Ambientato nel 1924, anno in cui il deputato socialista Giacomo Matteotti, dopo un drammatico discorso alla Camera in cui aveva denunciato le violenze e i brogli elettorali compiuti dal regime, viene rapito da una squadra di fascisti e assassinato.
Ovviamente, l’episodio provoca scalpore e indignazione, soprattutto nel movimento operaio che si mobilita tramite lo sciopero. Il protagonista è dalla parte della cosiddetta ‘rivoluzione’ fascista, ed è contestatore di un atteggiamento tipicamente borghese, ma al tempo stesso prende coscienza di una realtà che non aveva mai considerato: quella di un’umanità dolente e offesa, fatta di lavoratori che si barcamenano alla ricerca di un destino migliore.
Il tema del mondo “offeso” ritorna in Uomini e no, opera ispirata dalle esperienze personali della lotta partigiana. Il protagonista del romanzo, il cui nome di battaglia è Enne 2, appartiene a un gruppo armato di partigiani, presenti in maniera clandestina nelle città occupate.
Il loro scopo è ostacolare le forze nazifasciste con azioni di guerriglia che vadano a colpire i loro obiettivi strategici. Ambientato nella Milano dell’inverno del 1944, è scritto quasi contemporaneamente ai fatti narrati, ed è occasione per riflettere sui dubbi e sulle incertezze della lotta contro il nazifascismo.

Il progetto narrativo traspone la concezione della letteratura di Vittorini, per il quale l’abilità creativa consiste nel saper esprimere le esigenze e le dimensioni dello spirito umano.
La narrazione si articola su due piani: l’uso della terza persona, che conferisce agli eventi un tono realistico, e riguarda le diverse azioni dei partigiani, e la lotta di Enne 2 contro la sopraffazione e il suo impegno per il benessere comune. Così come scrive Vittorini nella nota conclusiva alla prima edizione del romanzo:
«Non perché sono, come tutti sanno, un militante comunista si deve credere che questo sia un libro comunista. Cercare in arte il progresso dell’umanità è tutt’altro che lottare per tale progresso sul terreno politico e sociale. In arte non conta la volontà, non conta la coscienza astratta, non contano le persuasioni razionali; tutto è legato al mondo psicologico dell’uomo, e nulla vi si può affermare di nuovo che non sia pura e semplice scoperta umana» – Elio Vittorini
Written by Carolina Colombi
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