Intervista di Rebecca Mais a Dario Levantino e al suo bellissimo e toccante “Cuorebomba”
“C’ho sedici anni, un papà che mi odia e tutta una vita indietro. E una storia assurda. C’ho una storia assurda, io.”
Siamo a Palermo, più precisamente nel tristemente noto quartiere di Brancaccio. Lì vive Rosario un ragazzo che frequenta con insofferenza il liceo classico e con lo stesso sentimento tenta di affrontare le giornate, con un padre che si è fatto un’altra famiglia e una madre depressa che non riesce a farsi una ragione dell’abbandono da parte del marito.
Rosario, che ha un cuore grande, deve sbrigarsi a crescere ma per fortuna c’è il calcio, ci sono libri e soprattutto c’è Anna, il suo faro in mezzo alla nebbia.
Ma “Cuorebomba” (Fazi Editore, 2019) non è solo questo: ci sono le case famiglia, ci sono le strade dimenticate, c’è la spiaggia e c’è la mafia con i suoi orrori.
Dario Levantino, classe 1986, ci regala una storia incredibile, cruda, ricca di pathos, di sentimenti, di amore e di sofferenza.
Una storia che appassiona, resta nel cuore, sdegna, commuove e fa riflettere.
Ma ora lascio parlare l’autore, che ringrazio per la disponibilità, che ci racconta, un po’ come se ne leggessimo una parte aggiuntiva, la genesi del suo secondo romanzo, cosa questo rappresenta per lui e tanto altro.
R.M.: Benvenuto su Oubliette, Dario. Come, quando e perché è nato “Cuorebomba”?
Dario Levantino: Era l’estate del 2018. Mia madre cucinava, mio padre apparecchiava la tavola, io guardavo la tv con l’indolenza di tutti i miei agosto, quando i tg regionali e nazionali batterono una notizia che mi indignò e mi fece passare la fame: sgominata a Brancaccio, quartiere malfamato di Palermo, un’equipe dell’orrore che racimolava dalla strada dei poveracci, che venivano menomati per inscenare degli incidenti mai avvenuti e riscuotere così gli assegni di invalidità, che in gran parte venivano trattenuti da questi “spaccatori di ossa” e soltanto in minima parte elargiti alle vittime. I giornalisti più coraggiosi diedero i particolari più minuti e crudi di quella vicenda; altri intervistarono le vittime, alcune delle quali chiaramente affette da gravi ritardi mentali. In quell’istante pensai che al mondo il male non aveva fine e che si ingegnava per essere sempre più imprevedibile. Allo stesso modo pensai che quella notizia dovesse essere rilanciata, per accendere i riflettori sulla condizione di miseria e povertà delle nostre periferie.
Così ho deciso di scrivere Cuorebomba, un romanzo in cui un ragazzino, da solo come gli eroi, prova ad opporsi alla follia umana.
R.M.: In quanto tempo è stato scritto “Cuorebomba”? Da lettrice ho avuto l’impressione che fosse stato scritto tutto d’un fiato e che solo una volta terminato tu avessi ripreso a respirare.
Dario Levantino: L’impressione è corretta, è stato un romanzo di pancia. Ho ruminato la storia in mente giusto il tempo di capire le dinamiche tra i personaggi; ho fatto un giro nel quartiere per lasciarmi suggestionare dai dettagli; l’ho masticato in sogno e anche durante il giorno, poi, quando ho avvertito che tutto era chiaro, mi sono seduto e ho cominciato a sferruzzare sulla tastiera. C’ho messo un mese e mezzo.
R.M.: “Cuorebomba” è un vero e proprio colpo al cuore. Quanto c’è di autobiografico o del tuo vissuto?
Dario Levantino: Nel romanzo c’è poco e tanto di autobiografico. C’è poco perché racconto una drammatica vicenda familiare, mentre la mia, di famiglia, è la più bella che potessi chiedere al fato. C’è tanto perché la sensibilità del protagonista è la mia. Per questo motivo scrivere Cuorebomba è stata un’operazione in un certo senso naturale, priva di qualsiasi forzatura linguistica e concettuale. Il protagonista parla e pensa come me.
R.M.: Per quale motivo hai deciso di ambientare la storia a Palermo?
Dario Levantino: Sono nato a Palermo, ho vissuto in questa città fino ai miei ventisei anni. Lì ho imparato a camminare, ad andare in bicicletta, a parlare, a fare l’amore, a litigare per bene, a leggere e a scrivere. Per me non esiste altro luogo mentale e del cuore. È un filtro, la città di Palermo, che io adopero per vedere e considerare tutto. Non sarei in grado di ambientare una storia in un’altra città, benché io adesso viva in un altro posto.
Esiste poi un secondo motivo, legato alla denuncia della povertà e dell’incuria della mia città. Così raccontando una storia ambientata a Brancaccio, nella mia Palermo, mi pareva di potere portare all’attenzione dell’opinione pubblica la condizione delle periferie.
Per Rosario i libri rappresentano la realtà nella quale rifugiarsi quando ha bisogno di andare via, anche se solo con la mente. Per te quanto sono importanti i libri?
Io in realtà non sono un lettore forte, perché ho problemi a concentrarmi; tornassi a scuola, mi farebbero un PDP, immagino. Questo è il mio peggior difetto ma anche il mio miglior pregio, perché in virtù di questa attenzione ballerina, io sono un lettore maniacale: leggo solo quello che mi piace, e se in un romanzo c’è anche un aspetto che non mi piace, tempo cinquanta pagine e lo abbandono, con buona pace di tutti. Così mi nutro solo di roba buona.
Allo stesso tempo i libri per me sono importanti, li amo perché mi insegnano la necessità della sfumatura, che nella vita volgare e quotidiana vedo difficilmente. Per questo motivo amo gli autori capaci di descrivere storie cogliendo solo le sfumature, i contorni: Moravia, De Carlo, Steinbeck; dei tempi più contemporanei, Vasta, Balzano, Hornby, De Silva.
R.M.: Un aggettivo per descrivere “Cuorebomba”?
Dario Levantino: È un romanzo crudo e pieno di speranza.
R.M.: Chi vorresti leggesse “Cuorebomba” e quali emozioni vorresti suscitasse?
Dario Levantino: I ragazzini di periferia. Vorrei che imparassero la dimensione del riscatto, che esiste sempre e che dipende solo dalla nostra grande forza di volontà.
R.M.: Oltre che scrittore sei Professore in un liceo. Ti capita mai di pensare a Rosario, alla sua storia, al suo essere studente incompreso, quando hai a che fare con i tuoi studenti?
Dario Levantino: Sì, continuamente. Rosario era un cattivo studente, come me, d’altronde (mi sono diplomato con un misero 76, grande vergogna per la mia famiglia). I cattivi studenti mi piacciono perché spesso nascondo un vissuto difficile, un’insofferenza eroica, e una capacità di disobbedire che a volte dà i frutti migliori.
R.M.: Progetti per il futuro? Sono previste nuove presentazioni del tuo libro?
Dario Levantino: Sì, presto sarò al TedX di Reggio Emilia, e poi ancora a Parigi, a Tolosa, e in tante altre piccole ma preziose librerie in Italia.
R.M.: Grazie Dario, alla prossima e invito tutti a seguire il suo profilo Facebook nel quale parla, in maniera molto interessante, dei suoi romanzi e di altri libri da lui letti.
Written by Rebecca Mais