“La paranza dei bambini” di Roberto Saviano: il peso specifico della scrittura

Caro Roberto, recentemente ho iniziato la tua prima “Paranza”, libro che ho aspettato un po’ a leggere, per vari motivi. L’ho tolto dallo scaffale solo pochi giorni fa, dopo l’emozione di averti salutato a Salerno, alla Feltrinelli.

La paranza dei bambini
La paranza dei bambini

Esulo al momento dal contenuto. Mi interessa ora discutere sulla forma, e il conseguente lato veristico e vernacolare.

Qualche giorno fa lessi un noir scritto da un ex collega ambientato all’INPS, siracusano, avvezzo da circa vent’anni al dialetto arsan, reggiano, ma nato siculo, e non praticissimo del mio idioma.

A lui feci l’osservazione che era (simpaticamente) criticabile nell’uso del nostro dialetto. Nessuno mescola, come faceva lui, reggiano e italiano nella frase, né l’italianizza, né inizia o finisce una frase in italiano con un epiteto o un motteggio in dialetto, del tipo: “Non hai capito nulla, cuioun!”, ma “An te mia capii gninto, cuioun!”.

Apro a caso il tuo libro, a pagina 108: “- Statte zitto. Se ottieni quello che sto pensando, il nuovo Mharaja lo debbo proteggere io. Tu al massimo può trasì a stipendio, a percentuale.”

L’unica cosa che può succedere è che s’infili una parola in vernacolo, quando non viene a mente l’equivalente in italiano. Ma non viceversa.

Il testo a cui farei sempre riferimento, se mi accingessi a scrivere un romanzo realista, è “I Malavoglia”. Quando lo leggi, noti che anche i proverbi siculi sono tradotti in italiano, e che di vernacolare c’è poco o nulla. Il bello è che, alla fine, a te pare di aver letto un libro scritto in catanese! Verga ti ha illuso di pensare come se tu fossi un personaggio del suo capolavoro.

Un altro maestro, molto bravo e assai furbo, è Camilleri, il quale, ogni tanto, quando pare a lui, quando ci sta, infila una parola alla volta (quasi mai più d’una), non solo a mo’ di condimento, ma come per dire che solo con questo vocabolo che ho rispolverato per voi (e che a volte è anche un po’ mutato rispetto al più noto originale e che fa magari riferimento ad una lezione di qualche sperduta località sicula), solo con ‘sto vocabolo riesco a darvi l’idea. Molto furbo. Noi, che ignoravamo il termine, gli crediamo.

La mia è solo una personalissima opinione e lascia il tempo che trova.

Se vuoi, prova però a scrivere, per esperimento, tutti i dialoghi in dialetto, la “lingua” della Paranza reale, dimenticando sia gli esempi siculi che ti ho fatto. Noterai, come già feci su uno scritto mio, che il libro calerà da 345 pagine a 278, così, ad occhio…

Come anche il reggiano, il dialetto napoletano restringe, essendo un po’ come l’inglese (lo diceva sempre il Pino di “I Say i’ sto ccà!”). Il dialetto era parlato dalla povera gente che doveva fatica’ e non teneva troppo tempo per sta’ in giro a parla’!

In reggiano si dice gichegni gnangninian: dite che venite e neanche poi venite; in reggiano, ma anche in napoletano, e lo so perché bazzico la Campania da 26 anni, essendomi sposato colà, si tende ad eliminare le consonanti e a volte le vocali inutili: pcher, macellaio deriva dall’anglo-celta butcher, che deriva dal franco buck. Vuoi mettere con l’italiano e interminabile ma-cel-la-io?!?

Roberto Saviano
Roberto Saviano

L’operazione recherà una gravosa conseguenza: l’italiano del testo rimanente, il tuo italiano, da perfetto che era, parrà all’improvviso ridondante. Sempre a caso, piglio questo capoverso dalla pagina dopo: “Per due giorni Nicolas non uscì dalla sua cameretta e non rivolse la parola al fratello. Rispondeva alle chiamate di Letizia con semplici messaggi, brevi: ‘Scusami amò, ma non sto bene. Ti chiamo presto.’”

Il testo, ineccepibile e ben formulato, diventa però (sembra un’equazione ridotta ai minimi termini!): “Per due giorni Nicolas non uscì di stanza, non parlò con nessuno. Così rispondeva ai messaggi di Letizia: ‘Non me firo, t’aggio a chiama’ dimane.” Sono caduti vocativi, frasi di cortesie, congiunzioni, ma anche frasi intere, perché risultano pesanti e in fondo inutili. E l’italiano si è dovuto adeguare e un po’ ridurre.

Questo è il rischio, e a volte il guadagno: ti cala la massa della scrittura. Ma forse non il peso!

Per quanto riguarda la storia che hai narrato: è terribile. Ha però un enorme difetto: non esiste un personaggio in cui il tuo affezionato e attento lettore sia riuscito a identificarsi.

Ma solo a provare un’immensa pietà.

Con affetto, Stefano.

 

Written by Stefano Pioli

 

 

 

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