“Il diario di Bridget Jones” di Helen Fielding: analogie e divergenze con Orgoglio e pregiudizio di Jane Austen

La vita è un’eterna serie di micro-passaggi, di minor azioni possibili, di geodetiche, direbbe un fisico relativistico. Poi, come tutte le cose (in)finite, termina, più o meno (in)gloriosamente. “Tot à fin!” – tutto ha fine, diceva mia madre. Purtroppo anche… ma, bando alle tristezze, che essa (la vita) incombe con le sue adorabili sciocchezze!

Il diario di Bridget Jones
Il diario di Bridget Jones

Lasciamo perdere che “Il diario di Bridget Jones” sia innaturalmente ridondante di situazioni comiche e brillanti, oltre che di noiosissimi misfatti, come l’esistenza comunemente non è, pensiamo piuttosto che quanto narrato è composto sia da fatterelli brevi che da annotazioni di tempi lunghi e quasi immoti (del tipo: “… minuti passati a contare i pensieri negativi 127…”, “…a cercare di programmare il videoregistratore 210…” etc etc).

Da questo si potrebbe dedurre che il Diario non è che un romanzo, né più né meno come “Orgoglio e pregiudizio”, con cui condivide la presenza di un bel giovanotto, un po’ ineffabile, un po’ troppo per bene, che ha l’ambiguo dono di apparire peggio di quello che è, di nome Darcy.

Helen Fielding poi ci mette tanto di quello humour (forse autoironico), più peculiare a una finzione letteraria che a una realtà pluridimensionale. In una vita qualunque la cosa più difficile è di farla sembrare unica mettendoci quel po’ di spirito che, nel libro, è fatto anche di vodka, bloody mary etc etc.

I testi sono stati scritti dapprima per rubriche giornalistiche e solo in seguito, dato il grande successo, sono diventati i capitoli di un libro. Questo poco importa, ma un qualche senso ce l’ha. Scrivere giorno per giorno un diario, anche se finto, è stato sicuramente un atto creativo.

Mi sento di affermare che ognuno di noi potrebbe scrivere, con piccoli contributi giornalieri, un romanzo del genere, col rischio di annoiare o di divertire, a tempi alterni, l’eventuale lettore. Helen è invece maestra nell’arte di non tediare (quasi) mai. Per cui si legge il tutto come si sorseggia un sciardonnè, ma poi al sedicesimo bicchiere finisci per essere abbastanza ebbro, ma soprattutto gonfio, per cui l’unica è andartene a letto e dormire di nuca.

Sabato 12 agosto, ore 8,47:Ne ho appena fumata una. Ma le giornate senza fumare cominciano dopo che una si è vestita. Tutto ad un tratto mi viene da pensare al mio ex fidanzato…

“… Ogni tanto – di solito quando non ha nessuna con cui andare in vacanza – lui cerca di rimettersi con me e dice di volermi sposare…”

“… Trovo il suo numero di telefono, lo chiamo e gli lascio un messaggio sulla segreteria – chiedendogli solo di richiamarmi e tralasciando per il momento il progetto di passare insieme il resto dei nostri giorni.”

“Ore 16,45. La politica antifumo è saltata. Alla fine Peter ha richiamato. ‘Ciao, apina’ (Ci chiamavamo rispettivamente Apina e Vespino). ‘Ti avrei telefonato lo stesso, prima o poi. Ho buone notizie. Mi sposo.’”

Il diario di Bridget Jones” non è un libro perfetto come, ad esempio, il suddetto “Orgoglio e pregiudizio”, perché talvolta cade nell’imprecisione tipica di chi scrive in fretta, forse perché deve andare al lavoro, o dalla parrucchiera, o deve concludere in fretta la puntata quotidiana su ‘The Independent’ o su ‘The Daily Telegraph’.

Ad esempio, alle ore 15,30 di sabato 19 novembre, Bridget dice, anzi, scrive: “Siamo tutti così egoisti e occupati, a Londra. Può essere che uno dei miei amici sia disperato da… Ah! Ecco dove avevo messo il Marie Claire di questo mese. Sul frigo!” i frigoriferi sono altissimi, sul metro e novanta, e Bridget non può scorgere, mentre scrive, un Marie Claire (inteso come rivista) colà, riuscendo addirittura a scorgerne la mensilità.

L’assonanza citata fra il capolavoro della Austen e quello della Fielding non è poca cosa, perché in ambedue quel giovane che di cognome fa Darcy rivela alla fine di valere più degli altri e di meritare la mano della protagonista. Col suo comportamento dispendioso e disinteressato, egli tira in entrambe le opere (momentaneamente) fuori dai guai una congiunta della donna amata: nella prima, si tratta della sorellina, frivola e sciocca; nella seconda, della mamma, terribile e sognatrice.

La differenza è che, nel suo diario, Bridget annota un pensiero che mai Elisabetta avrebbe né pensato né tanto meno scritto:È talmente una brava persona. Evidentemente troppo brava per me.”

Helen Fielding - Jane Austen
Helen Fielding – Jane Austen

Questo è un lavoro su committenza, in quanto la lettura della Fielding (“Scusa, cara, posso d’ora in poi chiamarti semplicemente Helen?”, Helen annuì, “Oh, grazie cara!”), è nata perché stavo leggendo “Orgoglio e pregiudizio” e mia figlia Anna insisteva nel dire che ne “Il diario di Bridget Jones” c’erano tanti riferimenti al romanzo di Jane (Austen). (“L’hai letto vero”, “Sì, mi pare…”, “E non te lo ricordi?”, “Eh… lo sai… leggo tanti libri…!”, beh, poi scopro che non l’avevo mai letto, anche se era in lista d’attesa da tempo. Per cui, dopo che Elizabeth e Darcy sono giunti al sospirato matrimonio, ho scritto una reazione al libro e poi ho deciso di dedicarmi, annema e core, a Bridget, cioè a te, cara Helen).

Finito il primo libro ero già sazio. Qualcosa avevo capito ma, avendo saputo che in casa c’era pure “Che pasticcio, Bridget Jones!”, il fato (c’è chi lo chiama entanglement) mi ha condotto a leggerlo. Ieri sera mia figlia, con cui ho continui colloqui telefonici, mi ha avvertito che in giro ce n’è un terzo e forse anche un quarto. Se per caso ti capita, non è che potresti… Vedremo, le dissi, sapendo già che un vedremo sussurrato a una figlia lontana 658,5 chilometri significa: è ovvio, amore.

Dalle prime pagine noto le differenze fra i due volumi. Innanzi tutto il diario comincia il 27 gennaio. S’ignora se Bridget, travolta dalla passione per Mark Darcy, si sia accontentata di scopare tutto il tempo o se sia stata tu, Helen, a giudicare inutili e francamente stucchevoli i resoconti dei primi 26 giorni. Per curiosità corro a vedere l’ultima pagina, come se si trattasse di un thriller, e scopro che l’ultimo giorno trascritto nel libro è il 19 dicembre. Il tutto, noto, è narrato in 15 capitoli (lunghetti).

Leggo il primo, “E vissero felici e contenti”, che si protrae fino a pagina 30 e narra di un’unica giornata.

Tutti sanno che tu, Helen, ti sei basata anche su delle tue esperienze personali, stravolgendole un po’ per motivi letterari, ma che non si tratta della tua vita. Il diario è quindi una finzione letteraria, anche se verosimile nella stragrande varietà dei casi.

Il secondo libro non assomiglia però per nulla a un diario, anche se apparentemente lo è. Se ben ricordo (anch’io ne scrivevo uno quando avevo sedici anni), chi scrive un diario è perché si pone domande urgenti, narra fatti imprevisti che l’hanno colpito, vuole annotare particolari che avranno degli sviluppi e perché, soprattutto, è un essere molto solo.

Il diario è pertanto un registro giornaliero di una bestia che soffre, in cui sono fissati i punti principali di una vita, solitamente abbastanza fiacca e solinga. Chi vive intensamente non scrive diari, a meno che non sia impegnato in un viaggio presso gli antropofagi Korovai della Nuova Guinea, per cui non si può mai sapere se l’ultimo pasto sarà in grado di saziare l’autore, oppure sarà lui a satollare lo stomaco del suo prossimo venturo.

Non credo di avere ancora assaggiato (consapevolmente) né la carne, né lo spirito  di nessuno (a proposito, pochi sanno che, presso la tribù indiana, dell’India!, degli Aghori, si pratica ancora il cannibalismo a scopo rituale, con preferenza per il cervello della vittima sacrificale, per poterne assorbirne lo shakti, lo spirito vitale: forse è quello che ora io sto facendo con te, Helen cara, così come mi capita di fare con qualunque altro scrittore; per cui io sarei, secondo la filosofia aghora, uno che cerca la luce, A negazioneghora: buio, per cui qualche motivo per essere così penetrante nell’anima di chi ha scritto ce l’avrei, eccome!).

C’è qualcosa che devo ribadire… ah sì… chi scrive un diario è perché vive poco e male. Il racconto della giornata del 27 gennaio è ricchissima di particolari, di dialoghi, di sceneggiate, più degne di un romanziere che di una donna che cerca di capire se è uno zero virgola zero, oppure se è una piccola dea, qual è, o forse qual dovrebbe essere, almeno per qualcuno, Bridget Jones.

Continuo nella mia disamina: anche i giorni successivi, ad esempio giovedì 19 gennaio, sono pienissimi di cose raccontate, più tipiche di un racconto che di un diario. Ad esempio (parla il padre, che dice che non andrà in Kenya con la madre): “‘No, no’”, ha gridato papà. “Non mi va di starmene in un buco del mondo a prendermi un cancro alla pelle sorseggiando piña colada e guardando una tribù di danzatori nudi prostituirsi davanti a degli snob lascivi alle prese con il buffet della colazione’”

La serie di battute è molto inglese, per cui la mia osservazione potrebbe essere sbagliata. Dubito però che sia materiale da diario anche presso la gelida Albione. In tutti questi primi due giorni dell’anno ci sono più cose che in metà del primo diario di Bridget. Vedremo più avanti, se queste mie impressioni saranno confermate.

Nella sesta pagina del giorno successivo, tre capoversi sono dedicati alla videocassetta di “Orgoglio e Pregiudizio”, alla ricerca del brano in cui Colin Firth-Darcy si tuffa nel lago, con successiva e deliziosa maglietta bagnata. Sempre meno diario, sempre più romanzo.

A mezzanotte del 31 gennaio, Bridget racconta con la consueta ampollosità la sua giornata che culmina, dopo 11 pagine, con un tremendo colpo di scena…

Che pasticcio Bridget Jones
Che pasticcio Bridget Jones

Il terzo capitolo “Maledizioooone!” inizia dopo un quarto d’ora dopo (certo che Bridget, o sei stata tu, Helen?!, ha scritto in maniera vertiginosamente rapida!), inaugurando il mese di febbraio. In due misere paginette, si assiste allo scioglimento del mistero: tutto un equivoco, forse, si spera… Ma, alle 9,00, 930, 11,15, 11,16, 11,18 e a mezzogiorno, Bridget descrive un turbinio di dubbi e di situazioni che sono sue tipiche. Mah!

All’inizio del capitolo intitolato (toh!) “Persuasione” si torna a parlare della videocassetta di “Orgoglio e Pregiudizio” e ancora una volta al passo in cui Colin Firth-Darcy si imbibisce la maglietta d’acqua lacustre. A volte le situazioni descritte sono così deprecabili da parere estremamente realistiche. Questo, finora, è il più grande pregio della serie.

Il capitolo “Signor Darcy, signor Darcy” inizia con la solita baraonda che rende il diario apparentemente intimo di Bridget un vero romanzo corale, tanto che la protagonista, sfinita dai troppi interventi vissuti e poi trascritti, dichiara: “Blabla. E ancora blabla. Mi sono sentita come un paziente in coma che tutti credono non riesca a sentire.”

Questo ritmo mirabolante del racconto veniva un po’ fuori anche nel primo libro, ma nel secondo è necessità narrativa. C’è ancora tanto spazio per l’io di Bridget, ma esso è continuamente sballottato fra diversi agenti interagenti fra loro, prima ancora che con lei. Lei è spesso soltanto una semplice spettatrice delle (sapide e insipide al contempo) disquisizioni altrui, ma ancor di più ne è il quasi nefando oggetto.

Il diario non è più un rifugio dell’io, bensì un registro di voci altrui. Il capitolo finisce con a) citazione ennesima della videocassetta citata, con 15 attenti riesami della scena di Colin Firth-Darcy che si tuffa nel lago; b) attesa spasmodica di signor Darcy 1 (Mark), c) attesa spasmodica di signor Darcy 2 (Colin Firth), d) chiamata sulla segreteria telefonica di quest’ultimo, purtroppo subito cancellata e) chiamata del signor Darcy 1 (che è in partenza per due settimane negli U.S.A.): non pervenuta.

Sabato, 26 aprile:19.00. Londra in primavera è piena di coppie che si tengono per mano, che si coccolano, scopano, scopano, scopano e progettano deliziose mini-fughe. Io resterò sola per il resto dei miei giorni. Sola!”. Questo mi pare il succo di entrambi i Diari di B.J.

Dal capitolo 13 “Aaagh!”, venerdì 5 settembre, ancora (infatti il diario di quel giorno era iniziato nel capitolo precedente), “‘Cos’è questo buco nel muro, signorina?’, ha chiesto un poliziotto, mentre impolveravano tutto.

Il buco data da oltre sette mesi, ed è stato aperto e mai chiuso da un muratore che dovrebbe sistemare la casa, ma non si decide a finire il lavoro, per cui sono in corso anche procedimenti legali da parte del legale di Bridget.

Più sotto: “…ve poi ho un dispositivo di allarme tutto per me. È carino. Penso proprio che se lo premessi un agile giovane poliziotto arriverebbe in uniforme a salvarmi!!! Mmm. Pensiero delizioso… m. assonnata…”

Da vari giorni, Bridget, oltre ai propri chili, le sigarette fumate e le calorie ingerite, indica i secondi da quando non fa sesso (Sabato, 6 settembre sono già 16.005.124… (conteggio che sarà azzerato verso il… leggi il libro e lo saprai).

La mamma di B.J., che di solito è svampita, due giorni dopo l’ammonisce che “Gli uomini non vogliono essere comandati a bacchetta… Vogliono che ti faccia desiderare, così possono corteggiarti…Il discorso, apparentemente casuale, funge da catalizzatore nella storia…

Bridget si sente al momento sola, stanca, spaventata, triste, confusa ed estremamente frustrata a livello sessuale, perché non ha idea se a Mark piace ancora e ha paura di chiederglielo, innamorata dello stesso, stanca di andare a letto e affrontare la vita da sola, allarmata dallo spaventoso pensiero di non aver fatto sesso da svariate decine di milioni di secondi. Così dice nell’elenco solito che ci prospetta (in 6 frastagliatissimi punti che ho qui sintetizzato).

Conclusione: i due diari di Bridget sono finzioni letterarie, ma nel primo, cara Helen, fingevi meglio. Ma poco importa, anche questa mia reazione è finta, mediata e artefatta.

Il buco di cui sopra è simbolico: rappresenta un buco emotivo che data… da chissà quanto tempo! Chissà, mio Dio!, anzi Aggghhhhhh!, dovrò leggere il quarto libro, che ripercorre la giovinezza della nostra eroina, per saperlo. E per farlo, dovrò leggere anche il terzo! Aggghhhhhh!, Aggghhhhhh!, Aggghhhhhh!, Aggghhhhhh!. Per fortuna due Aggghhhhhh! li ho già superati!

Bridget ha tanto bisogno di affetto (tanto che persino la carezza di una lesbica le ha dato, a un certo punto, se ben ricordi, Helen, un piccolo brivido) e soprattutto di qualcuno che la tenga un po’ in considerazione. Quello che non si capisce bene è com’è che lei e Darcy in tutto il secondo libro non riescano a comunicare fra di loro, pur vedendosi talvolta, o per caso o per fatalità, che poi è la stessa cosa. Anche se, per motivi cogenti, convivono per vari giorni sotto lo stesso tetto, non riescono a esprimersi vicendevolmente quella affezione che risulta lampante per il lettore che è impossibilitato a comunicare loro l’informazione, che però esiste dentro ciascuno di loro, ma che sembra non poter venir fuori.

Helen Fielding
Helen Fielding

Mi sa, perfidissima Helen, che il fatto, altrimenti quasi inspiegabile, abbia origine da una necessità drammatica di cui tu ti servi, callidissima come sei, senza alcun scrupolo.

In definitiva, però, questa Bridget è davvero un’incapace sentimentale, una persona che pare destinata a essere rottamata dalla vita, spersonalizzata, avvilita e anche un po’ abbruttita dal lavoro, bistrattata e poco compresa, una confusionaria, un’arruffona, una semi demente, anzi, per usare un’espressione icastica: una sfigata esagerata. Insomma, alla fine del secondo tomo, non ce la faccio proprio a trattenermi dall’esclamare, in modo quasi catartico: “Bridget Jones c’est moi!”

Grazie, cara Helen, di avermela fatta (ri)conoscere!

 

Written by Stefano Pioli

 

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