“Ritorno a Costantinopoli” di Mark Twain: viaggio verso Oriente a bordo della nave USS Quaker City
“Sono convinto che, confrontate tra loro, la Grecia antica e la Grecia moderna costituiscono il contrasto più stravagante che si possa trovare nella storia.” – Mark Twain
Mark Twain (pseudonimo di Samuel Langhorne Clemens) fu considerato da Hemingway e da Faulkner come “il primo vero scrittore americano”. Non si tratta di una definizione in ordine cronologico, bensì di tipo stilistico.
L’America ha conosciuto infatti già nel XVIII secolo scrittori quali William Austin, David Walker e Francis Hopkinson, i quali si ponevano in una fase di transizione fra le radici culturali europee e il preludio dell’abolizionismo e della Guerra di Secessione Americana che ha caratterizzato il XIX sec. nel Nuovo Continente. Sono gli autori che ispireranno le opere di Poe, Hawthorne e Melville, i primi novellisti del 1800 americano.
La particolare esperienza di vita di Twain ha sicuramente contribuito alla sua formazione letteraria. Figlio di un magistrato della Louisiana, rimane presto orfano, e viene avviato alla carriera di tipografo e cronista. Ha vissuto immerso nella realtà del mondo americano che cominciava a evolversi indipendentemente allontanandosi dai modelli del Vecchio Mondo. Questo permise libertà mai sperimentate prima. Lo sviluppo della rivoluzione industriale creò la possibilità di migliorare la condizione sociale al di fuori dell’aristocrazia. Al termine della Guerra di Secessione, nel 1865, molti dei primi imprenditori statunitensi si diressero a ovest, verso le Montagne Rocciose e la costa californiana durante la corsa all’oro, a cui lo stesso Twain prese parte, assistendo a grandi ondate di immigrazione che caratterizzarono quel secolo e il successivo con gli europei in fuga dalle monarchie. È l’inizio del “sogno americano”: gli Stati Uniti si elevano a modello di ideali, progresso, modernità e libertà, secondo i quali attraverso il duro lavoro, il coraggio, la determinazione sia possibile raggiungere un migliore tenore di vita e la prosperità economica. Questi valori erano condivisi da molti dei primi coloni europei, e sono stati poi trasmessi alle generazioni seguenti.
Nasce una nuova élite americana, composta da giovani benestanti figli della borghesia, o dei self-made-man come nel caso di Twain. Gli americani guardano all’Europa come un luogo in cui riscoprire le origini, in cui trovare una cultura storica del tutto mancante nei loro lidi attraverso la pratica del Gran Tour. L’origine del Gran Tour coincide con il sorgere di movimenti di pensiero illuministici del ‘700 europeo, che ponevano nell’uomo una nuova centralità, così come la conoscenza empirica. La conoscenza non doveva provenire dal solo studio teorico sui libri, ma era necessario fare esperienza, vedere di persona, entrare in contatto con altri modi di vivere e con realtà diverse. Era importante allargare la propria mente per prepararsi alle difficoltà dei ruoli sociali una volta tornati in patria. Nell’800, con l’avvento del romanticismo e con il miglioramento delle condizioni di viaggio troviamo gli ultimi splendori del Gran Tour. Ancora sinonimo di prestigio famigliare e personale, il gran tour continua a condurre i giovani nei luoghi considerati importanti per la formazione. Non solo gli inglesi guardavano al Continente come meta del lungo viaggio. Nell’800 sono molti gli americani abbienti che approdano in Europa, includendo anche l’Inghilterra nel loro personale tour. Le capitali europee continuano ad attirare visitatori, soprattutto Parigi, che diventa grazie a Worth capitale della moda, poi il tour proseguiva in Italia: Milano, Venezia, Roma e Firenze col loro fascino storico e artistico, e dall’Italia si proseguiva in Grecia, specialmente ad Atene coi suoi candidi marmi, e ancora Costantinopoli la Porta d’Oriente, la moderna Odessa e la Terra Santa, luogo natale del Cristo.
Questo è l’humus che la Mattioli 1885 propone nell’Opera Omnia “Gli Innocenti all’estero” di Mark Twain, edita in quattro volumi (“Finalmente Parigi”, “In questa Italia che non capisco”, “Ritorno a Costantinopoli”, “Verso Nazareth”).
Imbarcatosi nella “Nuova Gerusalemme americana” ossia New York nel 1886 a bordo della nave USS Quaker City, riconvertita in nave da crociera dopo la Guerra di Secessione, Twain approda nel Vecchio Continente. Visitata l’Europa, e soffermatosi particolarmente in Francia e in Italia, Twain in questo terzo volume dell’Opera si spinge ancora più a Oriente, verso Atene e Costantinopoli, e poi nel Mar Nero, visitando Odessa, per poi tornare nella costa dell’Egeo, a Smirne, e da lì via treno a Efeso.
Per il lettore moderno e amante del romanticismo di viaggio, Twain è un duro colpo allo stomaco se non si analizza con attenzione il contesto storico e sociologico della giovane élite americana. Catapultato in un mondo lontano anni luce dalla nascente America moderna, Twain vive una profonda disillusione data dal confronto fra le guide turistiche e la realtà dell’esperienza diretta sui posti che sistematicamente delude le aspettative sue e dei suoi compagni di viaggio, al punto tale dal non lasciarsi incantare dai monumenti storici e artistici, culturalmente lontani dalla sua esperienza di cronista del West americano.
Il diario di viaggio sfocia in un racconto critico, di taglio spiccatamente giornalistico spesso condito da un duro sarcasmo e dalla colloquialità americana tipica della stampa giornalistica dell’epoca.
Dopo l’entusiasmo per la Belle Époque parigina, e lo sconcertante viaggio nel neocostituito Regno d’Italia Twain arriva ad Atene sotto il regno di Vilhelm di Danimarca (Giorgio I di Grecia), trovando un paese in stato di abbandono, caratterizzato da una forte povertà, una demografia ai minimi termini, e una fortissima corruzione unita a spese pubbliche esorbitanti e tassazioni sul commercio e sulle proprietà a lui incomprensibili.
“A quanto pare la Grecia è un deserto tetro e arcigno, dove non esiste l’agricoltura, non esistono fabbriche né commerci […] quel popolo virile che eseguì tali miracoli, oggi non è altro che un popolo di schiavi ignorati da tutti […] La flotta, una delle meraviglie del mondo intero quando il Partenone era stato appena costruito, ormai non è altro che una manciata di miserabili pescherecci malandati […] una popolazione di ingegnose canaglie […]”
Eppure, Twain e la sua combriccola non son da meno. La Quaker City non poté approdare ad Atene senza passare un periodo di 11 giorni di quarantena fuori del porto del Pireo, e il comandante ha deciso di ripartire entro 48 ore. Le pene per la violazione della quarantena in Grecia erano severissime, ma nonostante ciò continua Twain: “Alle undici di sera, quando la maggior parte dei passeggeri era già a letto, siamo andati di nascosto a terra […] con l’intenzione di aggirare il Pireo fuori dal raggio di azione della polizia.”
L’avventura si dipana tra campi abbandonati e vigneti in cui la banda di clandestini americani si destreggia tra guardiani delle vigne e cani randagi, con furtarelli di uva sino a giungere all’Acropoli, dove vengono scoperti dai guardiani, che si lasciano corrompere facilmente. L’accesso all’Acropoli e un piccolo saccheggio di frammenti marmorei son compiuti, e poco prima dell’alba, ancora più baldanzoso per la riuscita dell’impresa, il gruppetto torna a bordo della Quaker City, che fa rotta verso Istanbul.
La disillusione di Twain qui si trasforma in una feroce critica di questa sorta di “culto” del Vecchio Continente, e racconta la città da cronista irriverente.
“Quando penso a quanto sia stato truffato dai libri di viaggio in Oriente, beh… Divorerei un turista a colazione. Per anni e anni son stato lì a sognare, a fantasticare sulle meraviglie del bagno turco […] Respirando la stordente fragranza di spezie d’Oriente tra ricchi tendaggi, soffici tappeti, mobili sontuosi […] Quella era l’immagine che avevo in testa, così come me l’ero fatta leggendo incendiari libri di viaggio, ma si tratta solo di una povera e miserabile impostura, mentre la realtà è ben diversa […]”
Ancora una volta Twain si risveglia dalla favola de “Le Mille e una Notte” che aveva immaginato, e si ritrova nella realtà di un bagno pubblico semibuio e dagli arredi cadenti, in cui gli inservienti sono dei poveri scheletrici e in cui il tanfo di innumerevoli corpi sudati aleggia imperioso.
La città e il Kapalıçarşı, ossia il gran bazar coperto, non vengono risparmiati: “Nelle stradine di Costantinopoli la gente brulica come api, con gli uomini abbigliati con gli indumenti più oltraggiosi, bizzarri, strampalati, diabolici, stravaganti […] Le botteghe non sono altro che anguste stamberghe, solo delle scatole, dei cessi, o armadi al piano della strada. E ovunque una folla brulicante di mendicanti, e storpi stupefacenti […] A Costantinopoli ogni strada è uno spettacolo che merita d’essere veduto almeno una volta, ma per carità, non di più. […] Dappertutto lerciume, polvere, tetraggine, e buio; dappertutto segni di una remota antichità, senza però nulla che colpisca per la bellezza. […] Coloro che vanno in visibilio davanti a Santa Sofia lo fanno solo per quello che hanno letto sulle loro guide. Oppure si tratta di quei vecchi conoscitori provenienti dalle terre selvagge del New Jersey, che a stento imparano a distinguere la differenza tra un affresco e una pompa antincendio, e da quel momento in poi si sentono in diritto di sputare sentenze di alta critica sulla pittura, la scultura e l’architettura.”
Se la descrizione della città e dei costumi turchi è drammatica, la frecciata ai sedicenti esperti d’arte americani è addirittura caustica, e denota in Twain un fondo di pessimismo ironico e di misantropia anche verso i suoi stessi compatrioti. Del resto, Twain più volte rimpiange la sua stessa ignoranza nella storia dell’arte, della quale si vergogna e dichiara: “da noi non si insegna”.
Solo nell’arrivo a Odessa Twain ritrova sollievo nel vedere un porto moderno, strade dritte, larghe e rettilinee, e ovunque “[…] la gente cammina veloce; e dunque un’aria nuova e familiare”. Finalmente Twain e i suoi compagni trovano dei punti in comune con l’America, quasi a ricevere “un messaggio dalla nostra amata terra natale […]”
Twain guarda all’Europa e alla sua civiltà con sentimenti contraddittori: a momenti è attratto dal contesto paesaggistico e urbano che incontra lungo il viaggio, ma sente che queste nazioni e città sprofondano di giorno in giorno in un immobile passato mentre l’America cresce. Rimane sgomento per lo spettacolo di decadenza, la diffusa miseria, l’alterigia delle classi dirigenti divise dal popolo e chiuse nel loro privilegio. Un senso d’angoscia lo pervade, e solo la vista della “nuova” città di Odessa, appena ricostruita dopo la Guerra di Crimea e dichiarata porto franco, in piena crescita come importante centro di scambi commerciali (specialmente per il commercio cerealicolo) e zona di transito tra Europa e Asia, dal carattere cosmopolita e vivace, unitamente all’incontro informale con lo Zar Nicola di Russia riesce a dargli sollievo.
“Guardando su per una strada o giù per un’altra non abbiamo veduto altro che America! […] L’Imperatore indossava un berretto, e capi d’una sorta di lino grezzo o cotone, non esibiva alcun gioiello, nessuna decorazione e nessuna mostrina che ne identificasse il rango.”
Da Odessa il gruppo di americani sbarca infine a Smirne, sulla costa egea dell’Anatolia, e da lì prosegue in treno sino all’antica Efeso, i cui resti sorgevano solitari in un deserto brullo e disabitato, e nel grande Teatro ormai abbandonato, Twain si perde in una lunga critica alle interpretazioni del culto cattolico sulle profezie delle Sacre Scritture, prima di proseguire verso la Terra Santa.
I racconti di questo viaggio si alternano tra l’umorismo americano dell’“autore incolto” misto al giornalismo provinciale e a profonde e sensibili riflessioni che tuttavia nella loro crudezza mettono a nudo le debolezze tanto del decadente Vecchio Continente quanto la coscienza di appartenere a un popolo giovane e senza storia: quello americano. Un racconto che può risultare a tratti addirittura urticante per il lettore, ma che da sicuramente un interessante punto di vista “esterno” in grado di stimolare riflessioni e approfondimenti sugli aspetti politici e socio-economici relativi al complesso periodo storico in cui l’autore ha viaggiato.
“Attraversando i Dardanelli, con il cannocchiale avevamo veduto sulla terraferma carovane di cammelli, ma solo a Smirne abbiamo potuto avvicinarne uno […] Osservare una carovana di cammelli carichi di spezie d’Arabia o di rari tessuti persiani che arriva marciando attraverso gli angusti vicoli del bazar, in mezzo a una folla di facchini con i loro fagotti, di mercanti di lampade, di corpulenti turchi che a gambe incrociate fumano il narghilè; e la gente che s’accalca andando avanti e indietro con indosso fantasiosi abiti orientali, ebbene, ecco l’autentica rivelazione dell’Oriente. Il quadro è completo. Non manca nulla. Immediatamente fa ritornare di colpo alla propria infanzia dimenticata, e di nuovo si sognano le meraviglie de Le Mille e una Notte.” – Mark Twain