“Ebbrezza mistica”, poesia di Gialâl ad-Dîn Rûmî
“Ebbrezza mistica”
O cammelliere, guarda ai cammelli! Da un capo all’altro della carovana sono ebbri,
ebbro il padrone, ebbra la guida, ebbri gli estranei, ebbri gli amici!
O giardiniere! Il Tuono fa da menestrello, la Nube da coppiere, e ormai
è ebbro il giardino, ebro il prato, ebbro il bocciolo, ebbra la spina!
Fin quando te ne starai a girare, o cielo? Guarda al girare degli elementi:
ebbra l’Acqua, ebbra l’Aria, ebbra la Terra, ebbro il Fuoco!
Così si presentan le forme, quanto all’intimo senso non chieder neppure:
ebro è lo Spirito, ebbra la Mente, ebbra la Fantasia, ebbri i Cuori!
E tu, o tiranno, lascia la tua crudele superbia, fatti terra, a vedrai
la polvere tutta, atomo ad atomo, ebbra di Dio sublime Tiranno Creatore!
E non dir che d’inverno più non resta ebbrezza al giardino:
nascosto a sguardi furtivi s’è ancora per un tempo inebriato.
Le radici degli alberi s’imbevono di vino segreto:
aspetta qualche giorno, e vedrai gli alberi di nuovo svegli e inebriati!
Se ti arriva un colpo pel disorientato inceder degli ebbri, non ‘irritare:
con tale coppiere e tal menestrello, come un ebbro camminerebbe diritto?
O coppiere! Distribuisci il vino in modo uniforme e smetti questi giochi:
ebbri sono gli amici perché lo concedi, ebbri i nemici pel diniego!
Aumenta ancora il vino, o coppiere, che sciolga ogni nodo;
finché non dà alla testa il vino, come l’ebbro scioglierebbe il turbante?
È per avarizia di coppiere o per vino cattivo: se questo non è
come potrebbe il viandante incedere in preda all’ebbrezza?
Guarda i volti sì pallidi e dona vino rosato,
perché i volti degli ebbri e le guance non hanno, mi pare, quel rosa.
Un vino hai divino, leggero al sorso e sottile,
che, se vuole, ne beve l’ebbro cento kharvâr[1] al giorno!
O Sole divino di Tabrîz! Nessuno è sobrio, quando tu sei;
atei e credenti sono ubriachi, asceti e libertini sono ebbri!
Jalāl ad-Dīn Muḥammad Balkhī, anche conosciuto come Jalāl ad-Dīn Moḥammad Rūmī, conosciuto come Mevlānā in Turchia e come Mowlānā (persiano: مولانا [moulɒːnɒː]) in Iran e Afghanistan (Balkh, 30 settembre 1207 – Konya, 17 dicembre 1273) è stato un ʿālim, teologo musulmano sunnita, e poeta mistico di origine persiana. Nasce da genitori di lingua persiana a Balkh, nella regione del Khorasan, odierno Afghanistan, o forse nella più piccola città di Wakhsh, nell’odierno Tagikistan. A dieci anni, nel 1217, compie il pellegrinaggio alla Mecca, partendo dal Khorasan, in compagnia della sua famiglia. Nel 1219, su iniziativa del padre, il teologo, mistico e giurista musulmano Bahā ud-Dīn Walad, l’intera famiglia ripara nel nordest dell’Iran, a causa dell’invasione mongola.
Secondo la tradizione, passò con la sua famiglia anche attraverso Neishabur e lì incontrò il vecchio poeta Farid al-Din ‘Attar. Il poeta avrebbe profetizzato un futuro splendente al giovane Rumi e gli avrebbe donato un esemplare del suo poema epico, Il libro dei segreti, nominando al contempo il ragazzo come il continuatore ideale della sua opera.
Due eventi spirituali furono determinanti nella vita di Rūmī. Uno fu l’incontro, nel 1244, con il misterioso personaggio noto come Shams-i Tabrīzī (“il sole di Tabrīz”), suo maestro spirituale a sua volta profondo studioso delle scienze teologiche e giuridiche islamiche, particolarmente sapiente nei riguardi della scuola di Shāfiʿī, lo sciafeismo. Il loro legame fu tanto stretto da destare un notevole scandalo e da portare alla scomparsa di Shams in misteriose condizioni. In seguito alla morte dell’amato maestro, Jalāl al-Dīn ebbe un momento di particolare capacità creativa che lo portò a comporre una raccolta di poesie comprendenti ben trentamila versi.
Il secondo evento fu la conoscenza, a Damasco, di Ibn Arabi, grande mistico islamico, tra i più grandi teorizzatori della waḥdat al-wujūd o “unità dell’essere”. Rūmī riuscì a fondere in modo perfetto l’entusiasmo inebriato di Dio di Shams-i Tabrīz con le sottili elucubrazioni e le visioni di Ibn al-‘Arabi. La realtà terrena, sostiene esplicitamente Rūmī, non è che un riflesso della realtà simbolica che è la vera realtà.
Fondatore della confraternita sufi dei “dervisci rotanti” (Mevlevi), è considerato il massimo poeta mistico della letteratura persiana. In seguito alla sua dipartita i suoi seguaci si organizzarono nell’ordine Mevlevi, con i cui riti tentavano di raggiungere stati meditativi per mezzo di danze rituali e musica (nella quale predominante era il suono del flauto ney, da Rumi esaltato nel proemio del suo Masnavī).
Note
[1] Misura di vario valore ma molto grossa, perché approssimativamente corrisponde a una soma d’asino.
Fonte biografia
Bibliografia
Poesie mistiche di Gialâl ad-Dîn Rûmî, a cura di Alessandro Bausani, Fabbri Editori, 1997
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