“Camminare. Un gesto sovversivo” di Erling Kagge: l’idea che la vita sia una lunga camminata
“Camminando, mi lascio alle spalle i problemi” – Erling Kagge

Un anno fa (era il 4 agosto 2019) iniziavo la mia collaborazione con Oubliette Magazine. In uno dei miei primi contributi affrontavo il tema del camminare nella Letteratura.
E citavo il titolo di un libretto che avevo visto in libreria e che mi aveva incuriosita. Si trattava di Camminare. Un gesto sovversivo di Erling Kagge.
Qualche giorno fa ho riaperto questo libro e vi ho trovato ancora lo scontrino dell’acquisto: presso la Feltrinelli di Milano, sede di Via Ugo Foscolo (nei pressi di Piazza Duomo) il 14.08.2018 alle 18.08, al prezzo di 13 euro.
Ricordo ancora il contesto: in controtendenza con tutto e tutti mi trovavo nel capoluogo meneghino alla vigilia di Ferragosto, quando tutti scappano altrove. Ma ero andata a trovare una persona a me cara che lavora lì. E ho passato giorni bellissimi, come sempre quando la vado a trovare. E a Milano quante camminate ogni volta, giusto per restare in tema!
Nella mia vita amo passeggiare e ho letto altri libri in proposito.
Eppure fino a qualche giorno fa il volumetto di Kagge mi mancava e così ne ho approfittato: è stato un piacere!
Ebbene il libro è di quelli che ho nelle corde, in quanto è tra quelli che raccontano, ma al tempo stesso aprono riflessioni citando qua e là delle massime. Amo la brevitas, ovvero la capacità di condensare tutto in poche parole. E in questo testo vi è infatti anche quella. Mi piacciono le storie circolari: incipit e conclusione chiudono, di fatto, ad anello il grazioso volumetto.
Il narratore divide la materia del racconto in due parti asimmetriche per corposità. Seguono delle annotazioni in cui vengono citate le fonti usate, infine i ringraziamenti e la bibliografia.
Se nelle due parti vere e proprie narratore e autore si intrecciano (il racconto avviene in prima persona), nelle sezioni dedicate alle fonti, ai ringraziamenti e ai riferimenti bibliografici emerge più l’autore. Da italiana faccio notare che fa piacere, in un libro straniero (Kagge è norvegese), trovare citato Paolo Cognetti, vincitore con Le otto montagne del Premio Strega 2016.
La prima parte (intitolata Uno) presenta un incipit in medias res. Interpretando il camminare come una sorta di testimone che collega il suo passato (la sua famiglia d’origine) con il suo futuro (le sue figlie), e ricostruendo poi l’etimologia delle parole indicanti il passeggiare stesso (nelle lingue indoeuropee si rispecchierebbe “l’idea che la vita sia una lunga camminata”), il narratore-protagonista fornisce alcune rapide spiegazioni sulle motivazioni che lo spingono ad andare a piedi.
Queste le trova in realtà nella seconda pare (intitolata Due), nella quale dà conto delle sue camminate più famose, da quelle fatte in città, nella sua Oslo, a quelle fatte nel mondo, talora davvero particolari, spesso non esattamente piacevoli, in alcuni casi pericolose o condotte nei luoghi più impensabili (e oserei dire più schifosi, ma non voglio fare spoiler!).
Sicuramente tra le imprese memorabili del nostro narratore-autore vanno annoverate quelle che lo hanno condotto al Polo Nord, al Polo Sud e, infine, sulla vetta dell’Everest. In tutte le sue avventure egli ha imparato a provare, contestualmente, il dolore della fatica e il piacere dell’arrivo, sperimentando l’assoluta caducità della felicità, come accade nella vita in genere.
Ha imparato che, spesso, allontanarsi dai problemi del quotidiano, visti come insormontabili, aiuta invece a ridimensionarne la portata o anche a trovare la chiave di volta per risolverli.

Camminare spesso gli ha consentito di superare i propri limiti e di trovare una maggiore consapevolezza della propria forza. Per trarre il massimo da tale attività, il protagonista l’ha dovuto portare fino in fondo rinunciando alle comodità della vita, nonostante nessuno glielo avesse mai imposto. Perché il camminare rimane, comunque un gesto di libertà. E perciò, credo, “sovversivo”, come si legge nel sottotitolo del libriccino. Perché scardina le nostre abitudini, ma rimane una scelta nostra. In compenso muoverci con i nostri arti inferiori, ci permette una maggiore conoscenza del mondo, che passa per i nostri piedi, infatti “Non è stato l’Homo sapiens a creare il bipedismo, bensì il contrario”. In virtù del camminare l’uomo ha potuto mettere letteralmente piede sulla luna (riferimento questo quanto mai azzeccato a cinquant’anni da quel 20 luglio 1969, in cui avvenne l’impresa epocale).
Questo perché la nozione del passeggiare, sempre nelle lingue indoeuropee, sarebbe connessa non solo con quella della vita che trascorre, ma anche con quella della conoscenza: “In sanscrito camminare non è solo una metafora del tempo, ma anche del «sapere»: gati. La metafora resiste anche in norvegese, in cui passare […] per qualcosa significa conoscerla”.
Dopo aver ripreso dall’incipit la spiegazione etimologica dei termini indicanti il muoversi a piedi, il narratore chiude ciclicamente il suo racconto riprendendo un episodio dalla storia della sua famiglia d’origine. Non vi avevo detto, infatti, che il libretto di Kagge ha un andamento circolare?
Del resto il passare attraverso qualcosa ha un inizio e una fine e, giunti al termine, è come ricominciare da capo, ma con una consapevolezza maggiore. Anche perché di camminare e di conoscere l’uomo non smette mai, se non quando muore.
All’interno di tale percorso egli passa attraverso un passato, un presente e un futuro. Siffatto percorso, in realtà, è la vita stessa.
Buon passeggio e buona conoscenza a tutti!
Ad maiora!
Written by Filomena Gagliardi
Bibliografia
Erling Kagge, Camminare. Un gesto sovversivo, tr.it. di S. Cadeddu, Einaudi, Torino 2018, 129 pp. 13 euro
Info
Articolo Le métier de la critique: il tema del camminare nella letteratura