“Meglio sole che nuvole. Leggere Ovidio a Miami” di Jane Alison: la solitudine e la poesia come cura
“Vedo ed approvo le cose migliori, ma seguo le peggiori” – Ovidio
Si intitola (in inglese) Nine Island, ma si traduce e si legge, in italiano, Meglio sole che nuvole, titolo da interpretare sia alla lettera (il sole è sempre meglio delle nuvole!), sia oltre la lettera, cogliendo il gioco di parole cui rimanda la scelta arguta della traduttrice intendendo sole non come sostantivo maschile singolare, ma come aggettivo femminile plurale.
Allora il titolo non è una frase fatta, ma una massima, un aforisma che emerge dalla lettura in lingua originale e dalla sua traduzione ed interpretazione. E di questo bisogna ringraziare la traduttrice.
In effetti spesso capita che i libri tradotti dalle lingue straniere all’italiano abbiano titoli completamente diversi da quelli originari. A volte la cosa può dar fastidio, altre volte no; può anzi costituire la chiave per una comprensione più autentica del libro in oggetto. Si tratta, quest’ultima, di una constatazione non mia, ma di studiosi di ben più alta caratura che si adatta ad hoc nel caso specifico di cui sto parlando.
In effetti è proprio questo che impara la narratrice-protagonista della storia: è meglio stare da sole piuttosto che avere nuvole attorno. E la forza del titolo tradotto sta proprio nel marcare che l’unica alternativa alla condanna all’inferno della vita di coppia (di cui le nuvole sono chiara metafora) consista drammaticamente nella singletudine.
La protagonista del racconto, infatti, dopo un matrimonio fallito e un vano tentativo di stabilire una relazione seria con una delle sue ex fiamme, decide di congedarsi dall’Amore, quindi di restare da sola. Si rifugia definitivamente a Miami, location ideale per vivere il mare, l’evasione, la solitudine.
In un certo senso ci riesce perché qui, in un appartamento all’interno di un condominio dotato di piscina, conduce una vita tranquilla, troppo tranquilla, dedita alla cura del suo gatto Buster (che vive con lei) e di un’anatra che si aggira attorno al Miami Beach, nonché alla cura della madre, malata e lontana. L’unica vita sociale che si concede è quella con una coppia di vicini, anch’essa in realtà segnata dal dolore.
La narratrice è una studiosa di letteratura antica e passa il suo tempo, quando non deve prendersi cura dei personaggi sopra citati, traducendo le storie raccontate da Ovidio e riscrivendole in modo libero.
Ovidio è il grande poeta latino vissuto tra il I sec. a.C. e il I sec. d.C. (morto nel 17 o nel 18 d.C.) che ha celebrato la potenza di Eros, quale forza (spesso violenta), che domina il Tutto.
Il libro, pertanto, scritto in lingua originale da Jane Alison (autrice di origini australiane e cresciuta negli USA) nel 2016 e tradotto in italiano nel 2018 dalla brava Laura Noulian per NNE (una casa editrice ultimamente molto valorizzata, e la cosa ci fa piacere), si colloca nell’ambito delle celebrazioni ovidiane cui ha preso parte anche l’Italia fra la fine dello scorso anno e l’inizio di quello in corso con una mostra dedicata allo scrittore di Sulmona e allestita alle Scuderie del Quirinale.
Per una sorta di contrappasso che agisce per somiglianza proprio la protagonista (J. Sta per Jane?), ben consapevole della vis anche distruttrice dell’Amore, si ritrova, per lavoro, a contatto con l’autore che più di ogni altro ha cantato l’Eros come un Principio spesso più catastrofico che romantico perché le narrazioni erotiche del sulmonense parlano spesso di fanciulle stuprate in vista di un progetto superiore. Ed è giusto, allora, provare a riscriverle, come J. fa.
Ma J. riesce a riscrivere la propria storia?
Parzialmente. Nel senso che all’inizio delle vicende, J. spesso ricade vittima dei suoi ex amori, non riuscendo a non rispondere quando loro, dopo secoli e chissà per quale motivo (forse per semplice noia, o per esaurimento della fonte di approvvigionamento narcistico del momento) la ricontattano con la pigrizia di chi scrive una mail.
E devo dire che sulle prime il personaggio mi dava quasi sui nervi perché sembrava una donna stupida, ingenua, che anzi si compiaceva del suo vittimismo, quando invece avrebbe dovuto tirare fuori “gli attributi” per dire definitivamente no ad amori sbagliati (uomini già sposati o impegnati o che la considerano di fatto solo un ripiego).
Pian piano, invece, J. si evolve e assume un’aura diversa. Perché, anche se la rinuncia ad amare per paura di soffrire la porta a limitare la sua vita sociale e i suoi impegni, è proprio questa, a mio avviso, la cura: distaccarsi, costi quel che costi, dalla necessità di doversi sentire cercata da chi in realtà non la vuole, dal bisogno di andare a letto con un uomo solo perché è una donna e ha una libido da sfogare ogni tanto, dipendere dall’approvazione (e poi dalla fuga) degli stronzi. E nella sua disperazione morbosa rientra, a mio avviso, il fatto di far rientrare l’autoerotismo nel conto, davvero magro, dei suoi rapporti sessuali.
E anche se alla fine del romanzo la protagonista si rende conto della propria solitudine e del fatto che si è costruita intorno a sé una corazza per non soffrire, resta comunque, uno spiraglio di immaginazione in cui a J. è ancora concesso di sognare, di emozionarsi, di vivere: esso si colloca nell’orizzonte stesso delle narrazioni ovidiane in cui vale ancora la pena immergersi se non altro per godere della bellezza estetica e musicale di quei versi che ancora oggi sono la voce di chiunque soffra perché Eros, lo sperimentiamo tutti, è fonte inesauribile di dolore.
Non si tratta assolutamente di passività perché nessuno ci crede davvero quando Jane, rimasta alla fine completamente sola, dice che le basta Ovidio per essere felice, senza voler togliere nulla ad Ovidio.
Ma è universale il tentativo, di ciascuno di noi, di fare qualsiasi cosa pur di non soffrire per Amore. Anche convincersi che vivere di eterna Nostalgia costituisca davvero la Pace assoluta.
Ma forse la Nostalgia dei classici ha una marcia in più tanto che l’eco di un autore antico come Ovidio può fare perfettamente da sfondo al posto più mondano in assoluto, Miami Beach.
Del resto «leggere Ovidio a Miami» è il sottotitolo del libro translated by L. Noulinian. Per questo si può ancora invocare il Poeta così, come fa J. prima di congedarsi da noi: «Ovidio, sei ancora qui? Mi piace pensare di vedere i tuoi occhi. Mi piace pensare di udire la tua voce. Sento le tue frasi che nuotano dentro di me, i tuoi personaggi che percorrono le lande selvagge dei boschi, l’aria, e le lettere, e il tempo. L’idea che le tue parole possano essere morte, che il passato non sia sempre il presente. Ma prova a dire questo alla sabbia, al mare».
Written by Filomena Gagliardi
Bibliografia
Jane Alison, Meglio sole che nuvole. Leggere Ovidio a Miami, tr. it. L. Noulian, NNE, Milano 2018, 268 pp, 18 euro.