“Danza o muori” di Ahmad Joudeh: un uomo senza status con un grande sogno che diventa realtà
“Vita. Forse non è la parola giusta, ma è l’unica che ho. In realtà tutto quello che vedo, sotto questo cielo invernale di un azzurro tagliente, sono le macerie. Cumuli di pietra, cavi spezzati, pali di metallo sporgenti. Polvere, ancora. E devastazione. Ecco il mio presente, quello che resta del mio mondo: una testimonianza muta e in frantumi, incapace di raccontare la mia storia”.
E invece quella devastazione, quelle macerie, quella polvere e tutto quel dolore saranno gli ingredienti essenziali del racconto di Ahmad Joudeh, danzatore e coreografo siriano, che nel libro “Danza o muori” ci rende partecipi di una vita straordinaria ma soprattutto di una forza e di una tenacia tali da trasformare i suoi sogni in realtà, anche nel bel mezzo di una delle più crudeli, violente e durature guerre dell’epoca contemporanea.
È un libro autobiografico che Ahmad ha voluto scrivere per raccontare al mondo la sua difficile vita di uomo senza nazionalità, costretto a vivere in un paese in guerra, ma malgrado ciò in grado di coltivare il suo sogno fino a trasformarlo nella più reale delle esistenze.
Una storia che parte da quel terribile 1948 in Palestina, quella nakba (catastrofe) che porta molti palestinesi ad abbandonare la propria terra per sfuggire all’invasore israeliano. È quello che fa il nonno di Ahmad, di cui lui porta il nome.
Damasco e la Siria diventano la nuova casa della sua famiglia. Nel quartiere damasceno di Yarmouk il giovane Ahmad nasce e vive la sua infanzia, la sua adolescenza, in un rapporto difficile con il padre e simbiotico con la madre.
Ed è proprio negli anni dell’adolescenza che nasce in lui la passione per la danza. Una passione che Ahmad è costretto a coltivare di nascosto dal padre, ballando in solitaria di notte nella sua stanza o sul tetto della sua casa. Una passione alla quale però non rinuncia nemmeno quando il genitore scopre questa sua attività clandestina, che lo ha addirittura portato a fare degli show televisivi in Libano.
“Voglio scappare di qua e andare incontro alla mia natura, a ciò che sono veramente, senza più dovermi nascondere o vergognarmi. Ho fatto tutto quello che potevo per rimanere, ma è venuto il momento di andarmene. Me lo merito: devo farlo per me”.
La gioia di coltivare la propria passione, appoggiato dalla madre, non riesce tuttavia a placare i sensi di colpa nei confronti di un padre sordo e cieco anche di fronte all’affermazione che il talento del figlio gli assicura. Ai tormenti interiori legati alle relazioni familiari si sommano le difficoltà burocratiche che impediscono o rendono particolarmente difficile per Ahmad lasciare la Siria.
“Sono nato in Siria, a Damasco, ma la mia famiglia paterna è di origine palestinese; per lo stato siriano sono di conseguenza palestinese e non mi ha accordato la nazionalità siriana alla nascita, ma non ho nemmeno potuto ottenere quella palestinese in quanto tecnicamente nato in Siria. Ho quindi uno statuto di apolide e non posseggo un passaporto”.
Una situazione che oltre a determinare difficoltà concrete negli spostamenti, genera profondi conflitti identitari. Ma questo, unitamente alle bombe, ai cecchini, alla distruzione e alla morte che presto dilagheranno per le vie di Yormouk per mano dell’ISIS, dei ribelli, dell’esercito siriano, non fermeranno la corsa di Ahmad verso la realizzazione del proprio sogno.
Continuerà a ballare, a frequentare le lezioni, a dimostrare a se stesso, alla sua famiglia, ai suoi amici e al paese intero che può farcela, che varcherà quella soglia della fama, che arriverà al successo, inseguendo il suo sogno e impegnandosi alacremente, con incessante spirito di sacrificio.
Le sue apparizioni televisive in Libano infatti non passeranno inosservate. Il suo talento diventerà notizia diffusa e la sua storia porterà un reporter olandese a girare un documentario sulla sua vita proprio nei luoghi a lui cari.
Scortati dai militari Ahmad e il reporter si inoltreranno nelle pericolose strade di Yormouk, perché è lì che Ahmad vuole danzare, sfidando i cecchini e le mine. E sarà poi a Palmira, prima che venisse totalmente distrutta dall’ISIS, che il ballerino e il giornalista filmeranno le evoluzioni e le piroette.
“Danzo per sfuggire agli orrori della vita e ritrovare la sua dolcezza. Danzo per non finire anch’io sotto quelle macerie. Perché la guerra mi ha portato via tutto, meno che me stesso. Io ci sono ancora, e per questo danzo”.
Il documentario, imprudente e coraggioso insieme, sarà la cassa di risonanza che permetterà finalmente a Ahmad di lasciare la Siria e trasferirsi in Europa, per iniziare una nuova vita, un’esistenza normale, fatta di giornate trascorse a danzare, a studiare, e poi a vedere amici, a divertirsi.
Normale esistenza. Quella che per molti anni Ahmad non ha potuto vivere, schiacciato dall’oppressione paterna prima e dall’orrore della guerra poi, anni in cui il suo primo impegno era sopravvivere più che vivere.
La storia che Ahmad Joudeh ci racconta potrebbe apparire come una moderna favola, nella quale il protagonista riesce a sottrarsi alle grinfie dell’orco cattivo e a vivere per sempre felice e contento.
In realtà quello che ci insegna è l’importanza di credere in se stessi, nelle proprie forze e possibilità. Non rinunciare di fronte agli ostacoli per quanto enormi essi possano apparire.
E proprio nell’ultimo capitolo l’autore ce lo spiega bene, utilizzando la metafora della bicicletta, un mezzo che ad Amsterdam (città nella quale si trasferisce) è molto usato “Ora ho anche una bicicletta, un mezzo a cui sono affezionato perché in sella ho imparato un sacco di cose: ho imparato che se si vuole raggiungere la vetta la salita sarà lunga e faticosa, ma che se non si continua a pedalare si ricade all’indietro, e la discesa finisce in un batter d’occhio e cancella ogni sforzo fatto fino a quel momento; ho imparato a cogliere ogni buona occasione che mi si presenta davanti senza esitare, come quando si apre un varco fra due macchine e va preso subito, altrimenti si rimane bloccati nel traffico; ho imparato a osservare cosa si trova dietro, davanti e intorno a me, sulla strada come sul palco, chiedendomi se posso frenare in tempo prima di accelerare o fermarmi dopo un grand jeté”.
“Danza o muori”, edito in Italia da DeA Planeta Libri, si apre con la prefazione di Roberto Bolle che era sempre stato un idolo per Ahmad e che poi è diventato suo amico e consigliere. E come dice Bolle “quella di Ahmad Joudeh è una storia che fa comprendere l’importanza di avere un sogno, di crederci fermamente e lottare affinché questo sogno diventi realtà”.
Written by Beatrice Tauro