Selfie & Told: l’one woman band Elli de Mon racconta “Songs of Mercy and Desire”

“We grew up down by the riverside/ now I’ll take the time to look inside/ inside the water so deep and wide/ I’ll flow slowly with the tide” ‒ “Riverside”

Elli de Mon

Elli de Mon è one woman band. È chitarre, grancassa, rullante, sonagli, suoni saturi e psichedelia indiana. Combatte i suoi demoni con lo strumento a lei più congeniale: la musica. Attinge a piene mani dalla tradizione sciamanica di leggende come Bessie Smith, Fred McDowell e Son House. Un blues nuovo, fatto di slide selvaggi e contaminato da influenze punk (Elli militava anche negli Almandino Quite Deluxe), e dalla musica indiana, grande amore di Elli.

Elli ha suonato ovunque, dividendo il palco con artisti come The Jon Spencer Blues Explosion, Afterhours, Reverend Beat-Man, The Monsters, Molly Gene onewomanband, Big John Bates, Chuck Ragan, Larry and His Flask, Cedric Burnside, Bror Gunnar Jansson, Carmen Consoli .

Ha partecipato a numerosi festival nazionali, come Radio Onda D’Urto, Sherwood Festival, Mojostation Blues Festival, To.t.em. Festival, Musicaw Festival, Nistoc, Salone del Libro di Torino (Radio Tre) ed internazionali come il festival blues di Lugano, di Cognac e il Berlin Fest. Elisa ha portato il suo album in tour anche in Spagna, Francia, Germania, Belgio e Svizzera.

Il 16 novembre 2018 è uscito il suo quinto lavoro e terzo full length, intitolato Songs of Mercy and Desire, che segna il suo ritorno a canzoni più folk.

Ed ora beccatevi la sua Selfie & Told!

 

E.d.M.: Sei una onewomanband. In giro non ce ne sono tante. Cosa spinge una persona a fare tutto da sé?

Elli de Mon: Cominciano ad esserci molte donne nella musica, finalmente. E anche onewomanband. Senza andare all’estero, mi vengono in mente più nomi italiani: Alos, R.Y.F, Anna Mancini, Dagger Moth, solo per citarne alcuni. Basta solo guardarsi intorno per scoprirle. Piuttosto il problema è questo: poche persone sono disposte a cercare cose che non vengono proposte dai media, troppi sono assuefatti e poco curiosi. Quello che mi spinge a girare da sola è un bisogno di libertà: il poter decidere in completa autonomia, senza dover rendere conto a nessuno. Certo non è affatto facile, la fatica, anche fisica, si fa sentire più di qualche volta. Ma poi sali in macchina e ti fai il tuo film. E questo non ha prezzo.

 

E.d.M.: Quinto lavoro in sei anni. Non ti prendi mai una pausa?

Songs of Mercy and Desire – Elli de Mon

Elli de Mon: No. mai. È un mio limite. La pausa forzata l’ho fatta l’ultimo mese di gravidanza. Ma ho ripreso a suonare subito, a un mese dal parto. La mia è sicuramente una necessità, ma credo di essere purtroppo influenzata anche dal precariato che stiamo vivendo sotto tutti i fronti, non solo quello musicale. Nel mio ambiente se una band si ferma per un paio di anni rischia di perdere il giro. Le cose si muovono in modo così veloce che un disco suona vecchio già solo dopo un anno dall’uscita. Dovrei imparare a subire meno la velocità imposta di questi tempi, ma cerco di fare di necessità virtù: tengo gli occhi bene aperti e resto vigile, trasformando gli stimoli che mi arrivano e cercando di migliorarmi ogni giorno.

 

E.d.M.: Come è stato scrivere e registrare durante la gravidanza?

Elli de Mon: Ho cercato di vivere nel modo più naturale possibile questa grande esperienza. E quindi è stato normale continuare a suonare. Sono stata fortunata, ho avuto una gravidanza tranquilla e questo mi ha permesso anche di registrare il disco. Certo in studio ho dovuto usare alcune accortezze, come non spingere troppo con la voce e fare pause lunghe. Non ho fatto la classica tirata dello registrare in presa diretta per quattro giorni di fila… riascoltando il disco mi rendo conto che alcune parti vocali forse mancano di una certa spinta, ma mi piacciono proprio per quello: andavano fatte così. Inoltre ho ripreso in mano la weissenborn, strumento che non suonavo da un po’ di tempo. Con la panciona, soprattutto negli ultimi mesi, è diventata la mia chitarra preferita, perché era l’unica che riuscivo a prendere come si deve! Questo mi ha permesso di esplorare il mio lato più acustico e di ascoltare di più me stessa e la mia bimba.

 

E.d.M.: C’è un elemento che ritorna nei pezzi?

Elli de Mon: L’elemento cardine sono le radici. Parla del posto dove sono cresciuta e nel quale sono ritornata a vivere, delle persone che hanno fatto e fanno parte della mia vita. I nomi che ci sono in scaletta sono di uomini e donne reali, a me molto vicini. È un disco che parla di accettazione, del fare pace con se stessi. Parla di madri, padri, violenza e resilienza. E a posteriori ho notato che molti pezzi hanno come argomento l’acqua, direttamente o indirettamente. Credo di aver toccato questo elemento senza esserne completamente consapevole, probabilmente perché ero incinta e perché c’è un fiume che scorre dietro casa mia…

 

E.d.M.: Hai lasciato spazio a brani più intimi, troveranno spazio dal vivo?

Elli de Mon: Se la situazione lo permette sì! Diciamo che i brani acustici richiedono maggiore attenzione, più ascolto.

 

E.d.M.: Come trovi la scena dal vivo italiana?

Elli de Mon

Elli de Mon: Invecchiata. Il pubblico è composto principalmente da over 30. Certo il mio non è un genere che attira i ventenni, ma noto in generale che anche quando vado a vedere i concerti delle altre band, siamo tutti piuttosto cresciutelli. Sembra che la musica dal vivo non interessi più. Credo sia una questione culturale, perché all’estero noto meno questa problematica. In Italia manca completamente una sensibilità verso la cultura, che è paradossale vista la ricchezza del paese in cui viviamo. E non c’è nessun investimento nell’educazione, fatto gravissimo. La musica nelle scuole non entra manco per sbaglio. È normale che poi la gente cresca credendo che fare il musicista sia partecipare ad un talent. Non viene stimolata a pensare, a cercare una propria identità, a vivere curiosando di qua e di là, anche in ambienti diversi dal proprio. Questo tipo di atteggiamento, di esplorazione e di interesse, credo sia fondamentale non solo in musica, ma nella vita di tutti i giorni. Altrimenti si rischia l’appiattimento e le brutture che stiamo sperimentando proprio in questi tempi.

 

E.d.M.: Non ti piacerebbe collaborare con qualcuno?

Elli de Mon: Sì. Purtroppo ho pochissimo tempo e devo dosare quello che faccio. Ho altre due band oltre al mio progetto solista, un gruppo con il quale faccio jazz anni 20 e le Kalahysteri, trio femminile che esplora sonorità legate al country e al folk appalacchiano. Siamo tre isteriche che si divertono un sacco! Tempo ne rimane veramente poco, ma se dovesse arrivare una collaborazione interessante non mi tirerei indietro.

 

E.d.M.: Il tour in Italia è partito. Ritornerai anche all’estero? Trovi delle differenze sostanziali tra l’Italia e altri paesi?

Elli de Mon: Senza voler fare l’esterofila, sì, noto delle differenze. Amo suonare in Italia, devo dire tuttavia che all’estero è più facile avere un pubblico interessato, aperto all’ascolto, capita veramente di rado di fare da tappezzeria. Se tutto va bene ritornerò in Europa nell’estate 2019.

 

Tell me shall I run?/ away from here/ and leave this house/ and all I know/ I see the devil/ he has come/ he’s got your face/ he’s got your name‒ “Tony”

 

Written by Elli de Mon

 

 

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