“Il mistero del tempio”, saggio di Livia Capponi: la rivoluzione degli ebrei sotto il regno di Traiano

“Un lupo, avendo inghiottito un osso, andava in giro cercando colui che lo avrebbe curato. Ed essendosi imbattuto in un airone lo pregò di togliere l’osso dietro compenso. E quello avendo spinto la propria testa nella gola di lui estrasse l’osso e chiese il compenso concordato. Ma quello rispondendo disse: “Ehi tu, non ti accontenti di riportare sana la testa fuori dalla bocca di un lupo, ma addirittura pretendi un compenso?” Esopo

Il mistero del tempio

Con ogni probabilità non c’è mai stata una questione più enigmatica, problematica e controversa di quella che ha scatenato la rivolta giudaica, come etnia, negli anni che vanno dal 116 d.C al 117 d.C.

Le motivazioni che portarono alla battaglia avevano radici più antiche della terra o, di certo, più antiche di quello che Roma potesse concepire. Possiamo affermare che i rapporti complicati, nelle loro prime battute, fossero, in parte, ostacolati dalla diversa matrice della religione: da un lato il monoteismo ebraico mentre dall’alta il politeismo romano.

Livia Capponi, l’autrice de “Il mistero del tempio” edito per Salerno editrice nel 2018, si è sempre chiesta quali fossero i motivi e la dinamica effettiva di una ribellione, che recava in sé una vena di iconoclastia, così vasta della popolazione degli ebrei sotto il regno di Traiano.

Livia Capponi insegna Storia romana all’Università di Pavia. Si occupa principalmente di papiri greci documentari, Egitto ellenistico e romano, e storia romana di età imperiale. Tra le sue pubblicazioni, Il tempio di Leontopoli in Egitto. Identità politica e religiosa dei Giudei di Onia (Pisa 2007), Il ritorno della fenice. Intellettuali e potere nell’Egitto romano (Pisa 2017).

Il Tempio di Gerusalemme è sempre stato un mistero: sia per coloro che tentavano di sottometterlo o annetterlo ad un pantheon molto più ampio sia per coloro che non potendo spiegarne la sua importanza intrinseca agli stranieri romani si batterono per difenderlo, anche se di esso non rimaneva altro che pietre.

La guerra che coinvolse le popolazioni della diaspora ebraica fu una delle più cruente non solo del regno di Traiano ma di tutta l’era imperiale ma le di cui esatte dinamiche sono sempre apparse alquanto lacunose. Ciò è, senza dubbio, da imputare alla lacunosità delle fonti o alla loro eccessiva sintetizzazione.

Cosa portò a questa rivolta?

Cosa portò alla repressione?

Ci fu un famoso antefatto: l’incendio del Tempio di Gerusalemme nel 70 d.C. ad opera di Tito. A cui, forse, per comprendere tutta l’intera vicenda c’è da aggiungere un piccolo aneddoto accaduto ai tempi di Antioco IV Epifane, re di Siria, che fu acerrimo nemico dei Maccabei ed autore de “l’abominio della desolazione” in cui il Tempio fu profanato.

Sembrerebbe, quest’ultimo, un evento di poco conto ma avrà un piccolo ruolo nella faccenda, perché se i romani avevano considerato il fatto non di loro competenza, di sicuro, i giudei non avevano dimenticato di aver subito quell’affronto.

Il problema non era chi lo avesse fatto ma che fosse accaduto.

Poi, era arrivato Tito e l’assedio a Gerusalemme. Tutti sappiamo cosa capitò dopo: le fiamme, il saccheggio e la distruzione. Fu un trauma duro che ebbe la conseguenza di provocare divisioni anche all’interno degli ebrei: da un lato i rabbi che continuarono a credere di poter vivere sotto il dominio Romano convivendo con la loro religione, dall’altro coloro che non potevano più tollerare i soprusi a danno della loro etnia o coloro che iniziavano ad essere attratti dall’ideologia messianica.

Oltre a questo alcuni dei giudei dell’epoca erano stati costretti all’esilio, parte della popolazione spostate in altre province e Gerusalemme rimessa in sicurezza. Inoltre, l’imperatore Vespasiano aveva promosso il Fidus Iudaicus, che obbligava i giudei a pagare una pesante tassa e che, anche tramite il sistema delle delazioni, condannava chiunque fosse scoperto ad avere una vita “giudaica”. Soprattutto sotto Domiziano, questo, provocò persecuzioni e violenze di ogni genere.

Questa, del 117, non fu la rivolta della provincia della Giudea. Questa guerra coinvolse molte province in cui i giudei erano aggregati e esuli: Egitto, Cirenaica, Cipro, Mesopotamia ed infine la Giudea.

Scoppiò tutto ad un tratto, senza che, all’inizio, attirasse la attenzione dell’imperatore ma si espanse fino ad infuocare i territori che erano appena stati conquistati. Questo, è probabile, fece infuriare l’uomo, malato e convinto di ritornare vittorioso, che fino a quel momento era stato benevolente.

“Da giudice imparziale e optimus princeps Traiano si tramutò rapidamente in sterminatore dei giudei, mentre Lusio Quieto fu visto come reincarnazione di Lisia, il generale di Antioco IV Epifane.”

Ma come si è arrivati ai fatti che scatenarono la guerra della diaspora?

Bisogna immaginare che, tra i fatti accaduti sotto Vespasiano e le campagne in oriente di Traiano, i rapporti tra Roma e i giudei non furono idilliaci e si erano riscontrati piccoli problemi ma nulla che fosse di eccessiva rilevanza.

Non certo per la concezione romana di rilevanza.

Soprattutto sotto l’imperatore Nerva i rapporti sembravano meno tesi, soprattutto perché egli aveva fatto abolire la orribile tassa che gravava i giudei e aveva dato un termine alle persecuzioni.

Traiano

Per un certo periodo Traiano adottò la stessa politica.

Per un periodo, appunto. E qui sorge una delle domande più interessanti della ricerca della Capponi: cosa portò Traiano ad un’inversione di rotta?

Li aveva blanditi, aveva continuato la volontà di Nerva ma il suo regno si avviava verso un regime di stampo autocratico. Posso credere che pensasse di poter, dopo, mettere a tacere ogni rimostranza ma, sempre per mia supposizione, si augurava che tacessero senza arrivare a quello che fu.

Già negli anni precedenti alla campagna orientale, Traiano si era assicurato, tramite alleanze e promesse, di poter procedere attraverso i territori della Mesopotamia senza avere problemi. Inoltre, sapendo che la zona della Giudea poteva provocare alcuni fastidi, commise l’ingenuità di ventilare quelle che saremo pronti a identificare come le promesse fatte da un leone a colui che si era offerto di aiutarlo a liberarsi di un oggetto tra i denti; questo aneddoto simile anche in Esopo e reca con sé una morale: cosa si pretende in cambio da un leone che ti ha già concesso di non morire mentre eri nella sua bocca?

La promessa di Traiano faceva sperare che gli esuli sarebbero tornati a casa, ancora una volta, tramite una delle vie consolari che sarebbe stata messa a loro disposizione e l’imperatore avrebbe permesso e, forse aiutato in tale scopo, di raccogliere denaro per la ricostruzione del Tempio.

E a farlo sarebbero stati gli eredi di coloro che avevano portato la distruzione e l’ignominia, una sorta di redenzione al male fatto al popolo ebraico.

Altro particolare che non avrebbe dovuto dimenticare si cela dietro alla sua utopica idea che i giudei avrebbero accettato divinità pagane sul loro suolo sacro.

Pensava di poter decidere lui quando mettere in atto le sue promesse sarebbe stato proficuo.

Traiano pensava da romano e non aveva fatto i conti con la storia profetica degli ebrei.

L’imperatore non poteva sapere che fu lui ad accendere la miccia che diede fuoco alle polveri. Non poteva immaginare che, ogni singolo evento, profetizzato dalle scritture, gli si sarebbe attaccato addosso e avrebbe contribuito a distorcere la sua immagine.

Certo, Traiano non era immune da critiche, ma non so se fosse realmente cosciente di cosa le sue parole avrebbero creato e non posso certamente sapere se, quando decise di mandare Lusio Quieto a sedare la rivolta, fosse cosciente della carneficina che si sarebbe verificata.

Successe che quelle che dovevano essere le gloriose e vittoriose campagne partiche, sogno di ogni imperatore, ad imitazione di Alessandro, si trasformarono nell’incubo di Roma e di Traiano.

Se non fosse stato che i sogni dei Giudei avevano lo stesso diritto di esistere, probabilmente, l’imperatore avrebbe realizzato il suo scopo.

Dovette provvedere Adriano a risolvere la questione quando Traiano morì e lo fece pagando un caro prezzo: la pace al prezzo delle terre appena conquistate dal suo predecessore.

Come anticipato, uno dei problemi di questa indagine storica sulle dinamiche della rivolta parte appunto dalle fonti che ci sono pervenute.

Questo evento ebbe una tale risonanza che ebbe l’attenzione di molti, sia storici che religiosi.

Uno degli storici che si occupò in maniera diffusa dell’avvenimento fu Cassio Dione nella Storia Romana, più precisamente nel libro 68 ma, come è accaduto di frequente per altre fonti, l’opera non è pervenuta a noi nella sua interezza ma attraverso ad un’epitome dell’XI secolo redatta da un monaco bizantino di nome Xifilino.

Livia Capponi

Al monaco riconosciamo l’enorme merito di aver salvato l’operato dello storico romano ma il suo non fu un lavoro di copiatura bensì di riassunto e facendo questo, oltre alle informazioni utili, abbiamo una visione egli avvenimenti che risulta distorta per la compressione degli avvenimenti.

Con ogni probabilità Cassio Dione aveva avuto la possibilità di consultare alcune fonti orali e di accedette alla Storia Partica di Arriano che purtroppo perduta anche se non del tutto sconosciuta.

L’opera segue le campagne di Traiano, senza spargimento di sangue, fino alla sua morte. Questo copre, in parte e non senza qualche problema, il filone di questa vicenda che riguarda i romani.

Uomo di chiesa ma che si occupò anche, in parte, di storia fu Eusebio di Cesarea. Con la Cronaca, nota a noi nella sua traduzione latina, e la Storia Ecclesiastica.

Eusebio è per noi fonte più dettagliata per quello che accadde nelle province coinvolte durante la rivolta, soprattutto per quanto riguarda l’Egitto. Attraverso di lui possiamo tentare di capire l’andamento e le possibili dinamiche degli avvenimenti anche se ovviamente la sua opera risente degli influssi, nella sua redazione, della volontà di un uomo di Chiesa. Per lui la rivolta e la successiva soppressione furono un’incresciosa ma “provvidenziale sciagura”.

Non dimentichiamoci di citare l’uomo che dalle campagne di Vespasiano trasse maggior beneficio: Flavio Giuseppe che ci fornisce qualche dettaglio per poter meglio capire alcuni dei punti di vista della sua gente e come si svolsero i fatti precedenti.

A queste fonti i possono aggiungere altre fonti, seppur con cautela nella loro interpretazione per via del pubblico a cui erano destinate: le fonti rabbiniche che, come ci si può immaginare sono tese al supporto morale verso il popolo di cui costituiscono il volere e la voce, e le fonti provenienti dagli Acta ovvero storie romanzate e quindi ricche di particolari che si potrebbero definire orpellosi ma che nascondono tracce che non ci si può permettere di trascurare.

Disponiamo infine di ostraca e di alcuni, anche se lacunosi, papiri che ci forniscono ulteriori particolari arricchenti in merito alla situazione interna agli stati coinvolti.

Il saggio della Capponi aggiunge nuovi interessanti elementi alla visione storia e cronologica della vicenda e anche nuove domande si affacciano alla soglia della storia e della mia curiosità. Questo è un saggio scritto per tutti e accessibile a tutti ed è, per me, un ulteriore strumento per conoscere la storia del regno traianeo e del popolo giudaico.

 

Written by Altea Gardini

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