Life After Death: la struggente lettera di Remo al fratello Romolo
“Puoi scorgere il mare di sangue che è iniziato per mano tua? La porpora sarà il colore dell’onore, il colore del sangue rappreso sulle vesti di coloro che governeranno il territorio che tu hai preso con la forza, sarà il sangue che esce dalla ferita che ti hanno appena inflitto.”
Il 21 aprile del 750 a.C. due fratelli, Romolo e Remo, iniziarono quella grande opera che fu la fondazione di Roma.
Come in ogni leggenda uno dei due fratelli muore: Remo, la cui unica colpa fu quella di essere fuori dal pomerio consacrato dal fratello e di voler attraversarne il confine. Come gli auguri volevano, loro stessi lo erano, il territorio delimitato dal giogo dell’aratro era sacro e protetto dal sangue dei sacrifici.
Tutto doveva essere fatto secondo una procedura ed antica che si perde tra le pagine del tempo.
Tra coloro che ci parlano delle leggende di Roma troviamo: Ennio, Dionigi di Alicarnasso, Ovidio, Livio, Plutarco e altri. Andrea Carandini ne ha trovato le tracce nella terra, ha trovato le prove della leggenda e troviamo la sua visione ne “Roma. Il primo giorno” ed è edito per Laterza ne 2007.
Questa, invece, è la lettera che abbiamo reperito tra i flutti del Tevere. Remo, vittima sacrificale ma spesso dimenticata, si rivolge al suo fratellino…
Caro Romolo,
Lo so, ti sei alzato stamattina con lo strano presentimento che qualcosa non stesse andando per il verso giusto.
È capitato anche a me, noi due siamo gemelli ti ricordi? Siamo stati insieme per tutto il tempo della nostra gestazione, dovresti poterlo rimembrare.
Mi tenevi fermo per la mano, come se tu fossi quello debole dei due e avessi bisogni della mia protezione. Almeno, così credevo.
Ma, oggi, quando hai toccato terra con la pianta del tuo piede, hai pensato che il suolo fosse un po’ più freddo del solito e hai avvertito, in cuor tuo, come una mancanza. Per un attimo, ti sei guardato le mani e hai creduto fosse sporca di sangue ma poi hai pensato di essertelo immaginato.
Fidati, lo so. Fa male.
Pensavo che saremo stati insieme nella costruzione della città che hai chiamato Roma. Ero con te quando abbiamo deciso di scegliere un colle a testa: tu il Palatino e io il monte Murco. Ci siamo seduti, come ogni augure avrebbe fatto: ad ovest del recinto sacro e guardando verso est fino a poter scorgere il volto del grande Giove.
Gli dei mi dissero che erano più favorevoli alla tua posizione e io ho accettato il loro volere. Non ero arrabbiato con te, non lo sono mai stato. Eri il mio fratellino e gli dei ti stavano benedicendo.
Rimembri che ci hanno insegnato come tracciare il pomerio del terreno sacro benedetto dagli dei? Ti guardavo solcare quel territorio con l’amore nel cuore.
Dove hai preso, caro fratello, coloro che ti sono serviti per i sacrifici al dio Terminus? Quale scusa o motivazione hai usato per prendere il sangue di quelle vergini che consentissero a Te di sentirti il Re?
Purtroppo santificare richiede dei sacrifici, lo hai fatto con la morte nel cuore, vero?
Soffrivi quando hai sottratto alla tua futura città il suo sangue, vero?
Mi sono accorto, mentre tentavo di raggiungerti, che il terreno da cui io provenivo era stato lasciato fuori dal pomerio che avevi tracciato. Ovviamente non potevo immaginare cosa sarebbe accaduto, noi eravamo fratelli, un unico essere diviso a metà.
Ma, avrei dovuto aspettarmelo: io avrei voluto conservare il vecchio abitato, tu ti sei limitato a prenderlo. Gli hai tolto la sua identità, lo hai distrutto e te ne sei appropriato.
Hai sempre desiderato essere colui che viene supplicato, questo lo sapevo.
Non ho pensato di chiederti il permesso di varcare il suolo consacrato. Colpa mia.
Per obbedire ai riti mi hai identificato come il primo nemico proveniente dall’esterno, hai visto il riflesso di quella che sarà anche la tua maschera di morte, fratello?
Cosa hai fatto per avere Roma? Hai sparso il sangue dei tuoi stessi fratelli e ora senti il freddo nelle tue vene?
Ti ho visto appendere, dal posto in cui mi hai spedito, le membra di un uomo sul campidoglio. Un’offerta a Giove e un’intimidazione a colore che avrebbero voluto sfidarti.
Ricordi il sangue di Acrone che gocciolava sul terreno e che ti lambiva i piedi?
Ti sei contorto le mani e hai maledetto te stesso per aver dovuto chiedere aiuto per distruggere i Sabini? Quante delle donne furono rapite prima di scatenare la guerra?
Quanti di loro hanno sporcato di sangue le tue mani?
E così, ti sei trovato al punto di partenza, tu e qualcun altro, non me, sul trono.
Cosa può fare l’uomo che voleva essere solo, ora che ha fallito?
Ho visto il destino di Roma attraverso i tuoi occhi fratello. Il fardello è onorevole ma oneroso da portare sulle tue sole spalle: saranno sempre in due, da ora in poi, almeno fino a che qualcuno non verrà colto dalla tua malattia e vorrà essere solo.
Non che sia un male, ma tu eri parte di un’unità che hai spezzato con le tue mani. Il sangue ti è ricaduto addosso e questo ha benedetto il terreno ma maledetto la nostra gente.
Hai dato loro un luogo sacro, ti sei prodigato per concedere loro un luogo dove poter amministrare la giustizia in modo imparziale. Ti sei sottomesso alla tua volontà coperto da uno scudo e proclamando che era il volere degli dei.
Lo vedi? Sei appena uscito dalla tua capanna e l’orizzonte di sembra meno nitido adesso.
Puoi scorgere il mare di sangue che è iniziato per mano tua?
La porpora sarà il colore dell’onore, il colore del sangue rappreso sulle vesti di coloro che governeranno il territorio che tu hai preso con la forza, sarà il sangue che esce dalla ferita che ti hanno appena inflitto.
Sì, perché tu sei Romolo, uno dei re di Roma e l’arroganza di coloro che vedono la tua mortalità non desidera condividere il potere che Tu hai donato loro.
Posso dirti come finirà dopo che ti avranno smembrato.
Ogni parte di te sarà una sacra reliquia, la porteranno nei sacrari delle loro famiglie e ti venereranno come prima pietra di quella che diventerà Roma: ossa bianche tra un selciato intriso di sangue.
Ora che ti è stata data la tua medicina sacra, riesci a vedermi mentre ti chiamo per abbracciarti di nuovo?
Written by Altea Gardini
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