Selfie & Told: Blumosso racconta l’album “In un baule di personalità multiple”
“Vedo indifferenza fredda dietro gli occhi suoi/ E ho capito che il mio posto non è più con lei/ Volto la mia testa verso destra e vado via/ Il suo sentimento non è più poesia/ Fiori di cemento nella mano mia/ Favole al cianuro nella sua/ Ci portiamo addosso i segni di una lotta che/ Abbiam sempre fatto in modo di evitare Senti dentro// […]” ‒ “Hai finito la noia”

Ciao a tutti i lettori di Oubliette Magazine. Mi chiamo Simone Perrone, ho 31 anni e “Blumosso” è il mio nome d’arte.
Il 19 ottobre ho pubblicato il mio album dal titolo “In un baule di personalità multiple” (Xo la factory/Cabezon).
Blumosso nasce nel 2016. In questi anni io e il resto della mia band (Roberto Fedele, Bemolle e RafQu), abbiamo portato la mia musica in giro per l’Italia e pubblicato tre singoli che hanno fatto da apripista all’uscita di questo concept album che racconta la cronaca di una storia d’amore in tutte le sue fasi.
Oltre la musica, nel 2015 ho pubblicato il mio primo romanzo: “Spremuta d’arancia a mezzogiorno” (Lupo Editore).
Vi lascio alle mie speranze e alle mie malinconie. Tutto in questa Selfie & Told. Buona lettura.
B.: Blumosso sei tu o è una band?
Blumosso: Blumosso sono io. Il progetto è il mio. Ma, sebbene sia una persona solitaria nel privato, in quello che faccio preferisco il gruppo all’egocentrismo. Ne consegue che sul palco, ma anche sui social, abbiamo un’immagine da band. E infondo siamo una band, e ragioniamo per molte cose da band: in primis, arrangiamo insieme e pensiamo e realizziamo i nostri video insieme. Quindi, Blumosso sono io, ma la mia band (i miei amici) sono importanti e fondamentali quanto me all’interno del progetto.
B.: C’è un riferimento tra il tuo baule e quello di Fernando Pessoa?
Blumosso: Alla base sì. Tutto il disco è velatamente dedicato a Pessoa, nello specifico, e alla cultura portoghese, in generale.
B.: Qual è il significato che dai al baule, e quali sono le personalità di cui parli?

Blumosso: Il baule siamo noi, o meglio, quella parte di noi che non sappiamo di avere, che contiene lati del proprio carattere e del proprio essere, a noi stessi sconosciuti, e che vengono fuori solo in determinati momenti, durante il proprio percorso di vita, smossi da qualcosa in particolare, e da qualcuno.
B.: Nelle tue canzoni, parli di storie reali o è tutto frutto della tua fantasia?
Blumosso: Riesco poco a scrivere a tavolino, nella maggior parte dei casi le canzoni le scrivo partendo da situazioni o sentimenti reali. Questo disco è reale fin nel midollo. Tutte le canzoni sono vere. Ho cercato di trovare un filo conduttore, raccontare una storia d’amore che non ha un lieto fine. Questo mi è servito per dare un concetto uniforme all’album, ma in realtà le canzoni hanno due destinatarie. Quelle d’amore puro, positivo e felice (che stanno nella prima parte del disco) sono dedicate a una persona, che fa parte del mio presente. Quelle più malinconiche hanno un altro destinatario, che fa parte del passato. Ho unito le due cose e ci ho fatto questo disco. Infondo, sempre citando Pessoa: il poeta è un fingitore… e anche il cantautore.
B.: Perché in copertina c’è un elefante?
Blumosso: Anche quello è un riferimento alla cultura portoghese. In un suo libro, Tabucchi (colui che ha tradotto e fatto scoprire Pessoa in Italia) narra della leggenda dell’elefante, che quando sta per morire, abbandona il branco e vaga per giorni nella savana, ma non lo fa da solo: si fa accompagnare da un elefante che lui reputa il suo amico, il suo compagno e i due camminano fino al punto in cui l’elefante morente non reputa quello adatto. A questo punto traccia un cerchio nella sabbia; gli serve per geografizzare la morte e dargli uno spazio preciso nel mondo. Quando entra nel cerchio, il compagno torna al branco e lui muore lì, solo, perché la morte è un fatto privato. Questa immagine mi ha colpito davvero tanto, perché in fin dei conti i dischi, per noi cantautori, rappresentano un po’ quello che il cerchio rappresenta per l’elefante: il nostro geografizzare l’esistenza e testimoniare che ci siamo stati. Un giorno…chissà quando.
B.: Qual è la tua canzone preferita dell’album?
Blumosso: Mi piace molto ascoltare “Piovere”. Mentre dal vivo mi piace cantare, “Irmã cara” e “Abbracciami amor mio”. Questo è quello che sento, ma in realtà non sono uno che dà delle vere e proprie preferenze a quello che realizza. Non mi piace nemmeno ascoltarmi a dire il vero. Per me la cosa importante è il “momento creativo”, quello che ne è dell’opera, una volta realizzata, ha un’importanza minore ai miei occhi.
B.: Com’è il tuo rapporto con le persone e con chi ti ascolta?

Blumosso: Pessimo con le persone in generale. Sono una persona che non ama stare in mezzo alla gente, e preferisce il silenzio alla parola. Mi annoio facilmente. I miei amici dicono che sono sociopatico. A me piace pensare che sono semplicemente così, come sono, poco incline all’apparenza. Un po’ per pochi e per me stesso. Ho grande rispetto per chi ascolta la mia musica. È un dono quello che mi fanno. Quando qualcuno si appassiona a una determinata cosa (in questo caso la mia musica) è sempre un privilegio raro e prezioso.
B.: Che vita vuoi dare a questo disco?
Blumosso: Voglio dargli una dimensione decisamente live, portarlo in giro il più possibile. Farlo conoscere più attraverso i luoghi che attraverso internet, infatti siamo a lavoro con la mia etichetta (XO la factory) per la stesura del Tour, in aggiornamento costante, che pubblicheremo a giorni, e che vede ad oggi un bel numero di date nella mia terra, il Salento, ma soprattutto nel resto d’Italia.
“Quella ragazza parlava bene/ e le parole sulla sua bocca/ sembravano venire fuori da un film oscar./ Ed i suoi occhi che respiravano/ Come le bici sui muri a primavera./ Probabilmente non eri mia,/ probabilmente tu lo sapevi// […]” ‒ “In un albergo di Milano”
Written by Blumosso
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