Life After Death: l’intervista a Monna Lisa, ovvero la Gioconda
Amici benvenuti a questo appuntamento di questa nostra speciale rubrica di “Interviste alla Storia”.
Oggi, amici siamo in Francia, precisamente al museo più famoso al mondo, il Louvre. Famoso oltretutto proprio per il personaggio che stiamo per andare ad intervistare.
Abbiamo avuto un permesso speciale dalle autorità del museo e prima dell’orario di apertura potremo… oh ecco, sta arrivando, i tecnici di laboratorio la stanno adagiando proprio ora.
Bene, eccoci qui.
Signor e signori il personaggio che oggi noi andiamo ad intervistare è… la Gioconda! (la donna resta in silenzio) ehm… mi scusi, saremmo in onda signora…
Gioconda: Non è certo un mio problema.
A.T.: Ah, allora mi sente. Meno male, credevo…
Gioconda: Certo che l’ho sentita, non sono mica sorda!
A.T.: E perché non rispondeva?
Gioconda: Mi rifiuto di rispondere finché lei mi chiamerà in… quel modo! La Gioconda! Ma le sembra educato? Io non mi chiamo in codesta maniera! Io ho un nome sa? Io sono Lisa…
A.T.: Lisa Gherardini del Giocondo, detta anche Monna Lisa.
Gioconda: Ecco! Se le cose le sa, allora potrebbe essere meno maleducato! Ai miei tempi non ci si rivolgeva alle dame chiamandole per nome neppure dopo il matrimonio, figuriamoci poi con codesti nomignoli.
A.T.: Mi perdoni, non volevo offenderla in alcuna maniera, ma sa, al giorno d’oggi lei è conosciuta più con questo appellativo che non con il suo vero nome. Certo, capisco che per i suoi canoni è sconcertante ma mi creda, non lo si fa certo con cattiveria.
Gioconda: Questo lo posso capire, ma almeno che mi chiamassero Monna Lisa. È un nome più soave, più evocativo, più adatto. Gioconda mi sembra così… così sciocco. Non per nulla, ho sentito alcuni visitatori che paragonano “gioconda” come sinonimo di stupidità o peggio.
A.T.: Bè, si effettivamente…
Gioconda: Ecco, lo sapevo! E io dovrei pure sopportare di sentirmi chiamare con l’appellativo di sciocca? Lei lo sopporterebbe?
A.T.: Direi proprio di no. Allora possiamo chiamarla Monna Lisa?
Gioconda: Donna Gherardini sarebbe più adeguato, ma… Monna Lisa non mi è mai dispiaciuto. Sia così dunque. Veniamo a noi, mi hanno tolta dal mio piccolo pertugio perché lei ha chiesto udienza alla mia persona. Mi dica dunque, che posso fare per lei?
A.T.: Ecco, Signora Monna Lisa, io sono un rappresentante di una piccola radio e questa rubrica è stata creata con l’intento di intervistare personaggi storici, di poter dare loro un’ultima occasione per esprimersi. Cominciamo con qualche domanda semplice. Potrebbe descriverci com’era la sua epoca? Da un punto di vista prettamente femminile?
Gioconda: La mia epoca? Bè diciamo che non era proprio il massimo se nascevi donna. Certo dipende dai punti di vista, perché ci sono state certe donne nella mia epoca che, hanno fatto tremare uomini e papi. Guardi un po’ Lucrezia Borgia? Bastava nominarla che tutta Italia tremava e anche Caterina Sforza, non si lasciava mettere i piedi in testa da chicchessia sa? Io però parlo per sentito dire, non mi sono mai occupata di questioni politiche. Per quel che posso dire, il mondo l’ho visto assai poco. Ero primogenita di sette, nata nella mia bella Toscana e avere a che fare con tre fratelli e tre sorelline più piccole non era certo una passeggiata già allora.
A.T.: Una famiglia molto numerosa insomma?
Gioconda: Numerosa dice? No, non direi, c’erano famiglie anche con dodici figli. Abitavamo nel capoluogo sa? Proprio vicino alla Santa Trinità. Ricordo che ogni domenica, a volte non solo quella, tutta la famiglia andava a messa. Avevano un parroco che, le lascio immaginare, al momento dell’omelia sembrava quasi un invasato. Di quelli che vogliono proprio farti sentire in colpa ogni volta che sentivi l’odore del pane appena sfornato, oppure se ti scappava una risata. Di quelli che ti mettono tanta paura dell’inferno la domenica che la trascini per tutto il resto della settimana. Mio padre poi! Dopo la perdita di due mogli morte di parto, la terza non voleva certo rischiare. Tutto rigorosamente controllato, nessun eccesso nemmeno alle feste comandate. Un perfetto uomo casa, chiesa. Ma l’era anche un uomo tanto buono. Mi copriva d’ogni regalo o attenzione, a me alle mie sorelle. Coi maschi l’era un po’ più duro ma sa, per l’epoca erano i maschi che avrebbero portato avanti l’azienda di famiglia.
A.T.: Sì infatti, per i nostri ascoltatori, suo padre Antonio era un mercante benestante che possedeva diverse terre nel territorio toscano.
Gioconda: Sì infatti. Anche mia madre Lucrezia comunque era una donna straordinaria, anche se ammetto non avevamo un rapporto molto… come dire… emotivo.
A.T.: In che senso mi scusi? Non andava d’accordo con sua madre?
Gioconda: Non era questione di non andare d’accordo, era proprio mia madre che, non ha mai dato dimostrazioni di affetto materno. Per l’epoca era una cosa normale. Ha comunque svolto i suoi doveri di madre, mi ha insegnato a filare, a comportami in una certa maniera, a colloquiare con persone del mio ceto, di quello più basso e superiore, solo non è mai stata molto affettuosa. Solo una volta ricordo di averla vista con un sorriso in volto. Era il giorno del funerale di mio padre (babbo). Ero entrata in camera sua e mentre si stava spazzolando i capelli, le ho dato un fiore. Uno normalissimo di quelli che si trovano in un qualsiasi giardino di Toscana. Lei mi ha guardato, mi ha sorriso, mi ha fatto una carezza e mi ha detto di andare a prepararmi. Da quella volta mia madre tornò alla sua austerità. Poi, come stabilito già da mio padre, mi mandò a vivere da mio nonno, il Rucellai, allora gonfaloniere della Signoria, in modo che mi potesse presentare degnamente nella società Toscana.
A.T.: Ecco, questi lati della sua vita non sono giunti sino a noi. Abbiamo delle tracce che segnano i punti fondamentali, la sua nascita, il suo matrimonio ma più la storia va indietro più sembra sterile d’emozioni di vita quotidiana.
Gioconda: Meglio, io credo. Codeste cose sono da abbracciarsi solo nella sfera del privato, non son certo cose da sbandierarsi ai quattro venti. Lo dico a lei, giusto perché m’ha chiesto di parlarne un poco, ma mi creda, ci son cose accadute nel quotidiano che è meglio che ognuno tenga per sé.
A.T.: Capisco perfettamente. Passiamo allora a tempi più, mi consenta il termine, recenti. Anche lei, come quasi tutte le donne della sua epoca si è sposata molto giovane, addirittura a quindici anni.
Gioconda: Perché dice addirittura? L’è una cosa normale, anzi nel mio caso l’è stata quasi fortuna. Già a quindici anni alcune delle mie compagne di giochi erano già madri e allattavano i figli.
A.T.: Bè sa, al giorno d’oggi le donne sono molto più emancipate rispetto al 1400.
Gioconda: Le donne sono cosa?
A.T.: Emancipate… più libere nelle loro scelte. Possono votare, vestirsi come meglio credono, esprimere opinioni, possono scegliere se sposarsi e posso scegliere loro quando sposarsi. I tempi sono molto cambiati.
Gioconda: Ma davvero lei mi dice? Oddio, sa tanto di Babele questa cosa. Ecco allora perché tutte quelle giovani che vengono a vedermi se ne vanno in giro vestite d’ogni colore e forma e si permettono di rivaleggiare coi loro compagni maschi. Senza contare poi che maschi e femmine sono mescolati insieme… Maremma i tempi sono cambiati però non so dire se in meglio o in peggio!
A.T.: Alcune cose si sono evolute in maniera positiva e altre no, ma come le ho già detto, i tempi cambiano.
Gioconda: Non mi ritenga maleducata o altro ma se non le spiace tornerei a parlare della mia epoca. Mi ci trovo meglio, non credo di poter discorrere riguardo a tempi che non sono miei e poi… non credo proprio di poter sopportare di scoprire altre cose.
A.T.: Come preferisce. Stavamo parlando del suo matrimonio.
Gioconda: Oh sì… il mio matrimonio. Purtroppo come le ho già detto, mio padre morì quando ero molto piccola e quindi fu mio nonno a prendersi cura di me. Ricordo che diede una grande festa nella sua tenuta e invitò tutti i migliori partiti per maritarmi entro breve. Come le ho detto, essere nubile a quindici anni era un marchio per la cultura dei miei tempi. E fu lì che… l’incontrai per la prima volta.
A.T.: Vostro marito.
Gioconda: Mio marito? No! A quella festa incontrai Giuliano, Giuliano De Medici, il fratello di Papa Leone X e figlio di Lorenzo il Magnifico, che poi a dirla tutta tanto magnifico non era a vedersi sa? Insomma non proprio l’ultimo arrivato nella nobiltà dell’epoca. Ci siamo incontrati, abbiamo scambiato qualche parola, ovviamente sempre alla presenza di tutti, non ci siamo mai appartati né abbiamo dato adito di pensarlo ma… ammetto che non mi sarebbe dispiaciuto, specie perché Giuliano non era affatto un cattivo partito. Né per la borsa né tanto meno per gli occhi, se capisce cosa intendo. C’è stato un momento in cui, lo ammetto… mi ha sfiorato la mano e mi sono sentita come se il mio petto volesse esplodere. Forse anche per via del corsetto un po’ troppo stretto. Sa, all’epoca noi donne più del collo e del viso non si poteva mostrare altro.
A.T.: Insomma, come diremmo noi, c’è stato del tenero tra voi due.
Gioconda: Del tenero? Modo curioso di esprimersi ma sì, possiamo dire così. Anzi, c’è stato anche di più.
A.T.: Davvero? Cosa, cosa?
Gioconda: Via, via non sia così ansioso. Però diciamo che nel 1494 io e Giuliano siamo stati in rapporti mooolto più che amichevoli. Si insomma, non ero certo la prima dama che diventa l’amante di un potente, specie poi un De Medici! Mio nonno ogni tanto usciva per i traffici suoi e quindi la casa era libera. Giuliano mi faceva visita di quando in quando e… e accadde quello che accadde.
A.T.: Quindi c’era molto più che del tenero! Lei ha avuto una relazione con Giuliano De Medici.
Gioconda: Relazione? Ma sta scherzando? Ringrazio iddio santissimo che con lui non ho avuto altro che quegli incontri! Nel 1494 infatti, se lei si intende di storia, il caro Giuliano è stato esiliato e l’è tornato solo anni dopo! Ma un’altra cosa che forse la storia cita solo tra le sue righe più corte, è che io ero incinta! Si di un De Medici! Le lascio immaginare. Lui l’è scappato dalla città perché esiliato, quello che diceva di amarmi e che avrebbe fatto di tutto per tenermi con sé. E mio nonno poi! Non le dico.
A.T.: Aspetti? Lei era incinta?
Gioconda: Sì. Purtroppo però, forse non ero pronta per questo particolare passo della vita o Dio aveva altri progetti… resta il fatto che persi il bambino. E mio nonno fece poi di tutto per insabbiare la questione. Non fu troppo complicato in fondo, a parte pochi nessuno sapeva della mia particolare condizione. Ma l’esperienza di essere abbandonata non una ma ben due volte mi ha segnato particolarmente. Furono mesi molto difficili per me. Poi un giorno, quasi un anno dopo mio nonno si presentò nelle mie stanze e senza possibilità di ribellione mi disse che entro un mese sarei andata in moglie ad un uomo che nemmeno avevo mai visto.
A.T.: Francesco del Giocondo, se non vado errato.
Gioconda: Francesco di Bartolomeo di Zanobi del Giocondo. Un nobile mercante di seta e stoffe, piuttosto in vista all’epoca. Fui la sua terza moglie. Che caso curioso, proprio come mia madre fu terza consorte di mio padre, io mi accingevo a divenire terza moglie a mia volta. La prima volta che lo incontrai ebbi quasi timore di lui. L’ammontare della mia dote poi era così alta che, lo ammetto, mi sembrava quasi di essergli stata venduta. 170 fiorini, una somma forte, più una piccola azienda agricola. Mio nonno voleva avvalersi di alcune sue conoscenze e quale mezzo migliore di un matrimonio con la sua nipotina? Il mio matrimonio con Francesco aumento entrambi i nostri ranghi, poiché i Giocondo erano una potente famiglia facoltosa mentre io del ramo Gheraldini davo lustro in quanto portavo un cognome nobile e antico nelle terre toscane. Francesco aveva quasi il doppio dei miei anni, vestito con un bell’abito nero con il giglio dorato di Firenze che scintillava sul petto. Non potei sottrarmi. Ma Francesco fu l’uomo perfetto per me.
A.T.: Con lui siete stata felice dunque.
Gioconda: Ovvia, non userei proprio la parola “felice”. Serena. Francesco si rivelò un uomo molto colto e accorto in molti aspetti, oltre ad essere un marito devoto che non tardava mai ai suoi doveri coniugali sua fuori che dentro il talamo. Era sempre gentile con me e non mi ha mai fatto mancare niente. E con lui ebbi finalmente la gioia di poter avere figli. Gli diedi cinque pargoli Piero, Camilla, Andrea, Giocondo e la piccola Marietta. In più feci anche da madre al figlio di Francesco, Bartolomeo, avuto dalla sua prima moglie, ma con lui non ebbi mai un rapporto molto profondo in realtà. Credo mi accettasse più per far piacere al padre che non per volontà propria. Condussi una vita serena circondata dai miei figli e da un marito devoto. Quando poi nel 1499, Francesco venne eletto come uno dei Dodici Buonomini della Repubblica fiorentina la nostra famiglia raggiunse l’apice massimo di splendore. Almeno finché…
A.T.: Finché?
Gioconda: Finché non tornarono i Medici a Firenze. Il mio povero Francesco fu imprigionato per quasi un mese. Per liberarlo fui costretta ad andare di nuovo da quell’uomo, Giuliano. Sembrava quasi non riconoscermi finché non mi sono presentata col mio nome da nubile. È bastato poco… e nonostante avesse già preso accordi per maritarsi di lì a breve… non si fece problemi a, come dire, rivangare un po’ i nostri trascorsi. Fatto sta che pochi giorni dopo, mio marito era tornato a casa.
A.T.: E vostro marito…
Gioconda: Lui non lo seppe mai. O se lo venne a sapere, non me lo fece mai pesare. Cambiamo argomento messere, vi prego. Non amo soffermarmi sul quel particolare ricordo.
A.T.: Come vuole lei signora Monna Lisa. Che ne dice se invece… ci concentrassimo più su questo magnifico dipinto. Questo quadro che la rappresenta fatto niente meno che dal grande Leonardo Da Vinci.
Gioconda: Leonardo mio! Lo ricordo bene. Certo aveva il suo bel carattere anche lui ma sa, gli artisti…
A.T.: Ha avuto occasione di conoscerlo?
Gioconda: Conoscerlo forse l’è una parola grossa. Capisce anche lei, avevo 24 anni quando ci siamo conosciuti e lui ne aveva il doppio, non avevamo molto di cui parlare. Quando poi l’era intento a dipingermi non lo si poteva assolutamente distrarre. Si figuri che ho scoperto solo più tardi che da piccina la mia casa l’era attigua alla sua, o meglio alla bottega del suo babbo, il vecchio notaio Piero Da Vinci. Ricordo che una vota mio padre doveva discutere con il signor Piero e lo invitò a casa. In quell’occasione ricordo di aver visto Leonardo per la prima volta. L’era tornato a casa per fargli una piccola visita. Fu in quell’occasione che ci presentò il figlio Leonardo e lui, giusto per essere gentile o solo per pavoneggiarsi un poco con la bambina qual’ero, mi regalò qualche suo piccolo schizzo di fiori. Nulla di particolare sia chiaro o che possa reggere il confronto con le sue opere più recenti ma comunque molto belli. Ah sapeva vendersi bene il grullo sa? Quando poi l’è diventato il Da Vinci, l’è stato un vero colpo di fortuna averlo conosciuto.
A.T.: Lo credo bene! Una personalità come Da Vinci.
Gioconda: Bè guardi, non s’immagini chissà che però. Aveva il suo bel caratterino! Era un artista che si lasciava ispirare dalla musa ma quando la musa la restava muta. Stargli alla larga! Non le dico, a volte veniva giusto per dare due o tre pennellate per poi andarsene. Ha cominciato a dipingermi nel 1503 e dopo tre anni, se ne salta fuori con “non è finito” secondo il suo modesto parere! Inutile dire che mio marito l’ha subito messo alla porta. Visto che non l’era neppure finito, Leonardino mio non l’hanno neppure pagato.
A.T.: È riconosciuto infatti che Leonardo, come tutti i grandi artisti, aveva i suoi umori, ma certo era una mente molto brillante. Non per nulla ha lavorato per i potenti della sua epoca.
Gioconda: Come ogni artista, messere mio, dava più importanza alle commissioni che lo facevano mangiare. Il genio può anche essere una benedizione di Dio, ma se nessuno ti foraggia e ti dà da mangiare, col genio ci si fa poco. E questo Leonardo lo sapeva benissimo! In tutta sincerità, come opera fatta da lui, c’è da dire che la semplice vita di un ritratto è piuttosto noiosa sa? Sempre lo stesso paesaggio fuori e dentro la tela. Anche se per l’epoca un ritratto grande quanto il mio l’avevano in poche. Tutte le mie amiche e cortigiane sempre a vantarsi dei loro ritratti commissionati dai mariti e io non potevo dir nulla, poi però mio marito, come sorpresa, eccolo che un giorno si presenta con Leonardo e mi dice “Ecco chi ti farà il ritratto”. Quando l’ho detto alle mie amiche… verdi! Verdi d’invidia tutte quante! Oltretutto, mi ha anche rappresentato un poco meglio di come l’ero in realtà e gli riconosco una cosa al mio Leonardino. Questa cosa dello sguardo… lo vede il mio sguardo?
A.T.: Sì certo che la vedo. Il suo sguardo, il suo sorriso…
Gioconda: Già. Codesta cosa che ha fatto al mio sguardo l’è fantastica. Riesco a vedere ogni pertugio, in qualsiasi posto mi si metta vedo praticamente tutto. Nulla sfugge al mio sguardo. E il sorriso che mi ha dipinto… una cosa più enigmatica non poteva fare.
A.T.: Il ritratto che la rappresenta poi lo ha sempre portato con sé, secondo gli storici, anche durante il suo esilio in Francia, sino alla morte.
Gioconda: Vero. Ed ora… eccomi qui. In Francia… al Louvre.
A.T.: Sarà contenta immagino. Ha un posto d’onore. Inoltre è ormai considerata da tutti l’icona di tutta l’arte occidentale.
Gioconda: Assolutamente no! Ma vuole mettere la freddezza di questo museo con la mia terra natia? I signori che si sono occupati della mia vendita poi… fossi stata viva avrei certo detto la mia! Dopotutto le donne di oggi sono ema… com’è quella cosa che ha detto prima?
A.T.: Emancipate?
Gioconda: Sì esatto! Li avrei presi a parte e avrei detto “Messeri miei, non ch’io abbia in odio la Francia o la sua capitale, ma se mi è permesso di dirlo… io voglio stare nella mia Toscana! Ma si rende conto di quanta gente viene in Francia solo per vedere me? Perché non posso offrire un servizio simile al mio paese? Dare lustro alla magnifica terra che mi ha dato i natali? No, no questa storia di essere “francesizzata” mi consenta il termine, non mi è mai andata giù!
A.T.: Ci stanno facendo il segnale. Sembra che il nostro tempo sia scaduto, a breve la riporteranno nella sua zona signora Monna Lisa. Io intanto la saluto e la ringrazio ancora per avermi concesso un po’ del suo tempo.
Gioconda: Peccato sa? Non mi spostano tanto spesso e non capita certo di parlare ai turisti. Così maleducati poi, si mettono sempre a farmi quelle foto, alcuni con dei flash che l’è un miracolo che io ci veda ancora! Torni a trovarmi mi raccomando. Ora mi scusi ma, l’è ora che mi rimetta in posizione. Mani giunte, sorriso enigmatico… e sguardo… che cattura.
Written by Alister Tinker
Voce intervistatore: Cristina Cominelli
Voce Monna Lisa: Alister Tinker
Info
Leonardo che con la sua arte che produsse diversi “non finiti”, nella Gioconda potrebbe aver creato un “non volto” femminile, assieme a un “non paesaggio”. Un volto ideale madre di tutti i volti, a partire da quello dell’autore. Il volto femminile del dipinto conservato al Louvre è sovrapponibile all’Autoritratto di Leonardo conservato a Torino, una volta ribaltato specularmente. Per ultimo, un possibile rimando subliminale al volto sindonico, come apparve nel negativo fotografato nel 1898 per la prima volta. Anch’esso somigliante con quello dell’Autoritratto di Leonardo da Vinci conservato a Torino. Questa sarebbero le ragioni profonde del fascino del dipinto e dell’iconoclastia cui è stato sottoposto nello scorso secolo. Cfr. ebook/kindle: “La Gioconda: uno specchio magico”.