Le métier de la critique: Charles Baudelaire, il fascino perduto dei “Les fleurs du mal” tra bellezza e relazioni d’amore

Il 31 agosto del 1867 spirava Charles Baudelaire, il poeta che più di ogni altro ha saputo anticipare il malessere dell’uomo moderno.

Charles Baudelaire

La sua opera poetica “Les fleurs du mal”, posta sotto il segno di una lacerante malinconia, fu pubblicata, come a tutti noto, nel 1857 e successivamente nel 1861 in edizione ampliata da nuove poesie ma mutilata di altre.

La pubblicazione suscitò scandalo fra le anime buone che videro presentata la poesia come il prodotto di un’attività maledetta e l’uomo come una mostruosità divorata dai vizi. Al di là di questi stereotipi moralistici e mentali, la cui forte eco giunge sino ai nostri giorni, la prima edizione del 1857 esercitava, ed esercita ancora su chi ha la fortuna di leggerla, un particolare fascino andato perduto nelle edizioni successive.

Costruita dal poeta entro un «cadre singulier tantôt très bas, et puis très haut» (come da lui stesso definita) era composta soltanto da cento poemi suddivisi in cinque sezioni, come a rappresentare altrettanti atti del dramma vissuto dalla coscienza alla ricerca del senso del vivere.

Un dramma che inizia con la nascita di un’anima (e di un corpo!) nella poesia Bénédiction, per poi svilupparsi all’interno di una foresta di simboli e terminare con la morte.

Una morte intesa come mezzo per liberare l’umanità dalle umiliazioni del vivere, riunire gli amanti in un’eterna unione, dare la libertà agli artisti di accedere all’ideale della bellezza alla quale hanno aspirato per tutta la vita.

Nessuno di coloro che si addentrano nella lettura di questo dramma può sottrarsi alle emozioni più intense nell’incontrare personaggi affascinanti e inquietanti, immersi in una realtà di immagini sublimi e a volte abominevoli.

Eppure nulla di tanta poesia è bastato a salvare l’opera da quella ormai famosa, quanto ingiusta sentenza di condanna voluta dal pubblico ministero dell’epoca[1] le cui conseguenze furono il sequestro dell’edizione del 1857 e la sua successiva pubblicazione mutilata e stravolta. Le conseguenze furono talmente gravi da renderci ancora oggi consapevoli che «occorrerà il fuoco per purificare la memoria dalle umiliazioni subite e dal fango con cui si è voluto sporcare I fiori del male» [2].

Nella requisitoria del pubblico ministero furono accusate di oscenità tutte quelle poesie che successivamente un Baudelaire terribilmente amareggiato fu costretto a pubblicare in Belgio per evitare ulteriori conseguenze giudiziarie. All’interno della raccolta “Les Épaves” (I Relitti) che fu edita nel 1866, le poesie furono raggruppate nella sezione “Pièces condamnées, tirées des Fleurs du mal”.

Sparite ovviamente nell’edizione del 1861 quelle poesie rimarranno nelle edizioni postume, a partire dalle Opere Complete del 1868, estrapolate per sempre dal corpus originario e intrappolate nella sezione “Poesie condannate tratte dai Fiori del Male”, quasi a voler sottolineare ancora quelle umiliazioni, e a far dimenticare l’impianto originale dell’opera.

Per sottolineare quale fosse il vero spirito della prima edizione, mi limito a citare la sorte che toccò alla poesia Les Bijoux (I gioielli) che è la prima a essere additata nell’elenco accusatorio come offensiva del pudore.

Nell’edizione originale del 1857, come lo è nell’edizione da me curata[3], la poesia si trovava collocata subito dopo i tre componimenti che costituiscono il ciclo dedicato alla “Bellezza”: La Beauté, L’Idéal, La Géante, e precedeva i quattro componimenti del ciclo successivo, definito del “Rapporto amoroso”[4]:

«Parfum exotique,

Je t’adore à l’égal de la voûte nocturne,

Tu mettrais l’univers entier dans ta ruelle,

Sed non satiata

Les Fleurs du Mal – Charles Baudelaire

La sequenza in cui Baudelaire aveva disposto le poesie all’interno dei due cicli aveva il significato ben preciso di presentare la Bellezza su un piano ideale in quelle del primo ciclo e celebrare, in quelle del ciclo successivo, la Bellezza incarnata nel corpo della donna amata.

La particolare collocazione della poesia segna la soluzione di continuità fra i due cicli, in quanto in essa la donna amata è celebrata come la Bellezza “mortale”, il cui corpo conserva tuttavia le fattezze ideali e la perfezione immortale della statua. Les Bijoux è dunque una poesia ben lontana da quel “réalisme grossier et offensantdi cui era stata accusata.

Estrapolarla dal contesto ha significato spezzare quel cadre singulier dell’opera o quanto meno   lasciarne emergere la sensazione di una paradossale alleanza tra orrore e desiderio.

Per comprendere quanto profonda sia stata la cecità morale e culturale dell’impianto accusatorio, che segnalò in particolare «tre strofe» (la quinta la sesta e la settima), asserendo che «anche per il critico più indulgente, costituiscono l’immagine lasciva, offensiva del pudore»[5], basti rileggere i versi della poesia.

Il testo che qui ripropongo è quello apparso nell’edizione originale del 1857. In nota sono indicate le varianti apportate da Baudelaire nell’edizione de “Les Épaves” e successivamente adottate in tutte le altre edizioni.

La vicenda della poesia Les Bijoux non è che la punta più evidente delle conseguenze che la condanna ebbe sulla struttura e sullo spirito dell’intera opera.

Baudelaire rivide l’impianto della raccolta, collocò diversamente alcune poesie e altre ne aggiunse con il risultato di esaltare la sua convinzione che vivere è un male, e di sopprimere ogni spunto di consolazione e di speranza presente nella prima edizione.

XX – LES BIJOUX

La très-chère était nue, et, connaissant mon cœur,

Elle n’avait gardé que ses bijoux sonores,

Dont le riche attirail lui donnait l’air vainqueur

Qu’ont dans leurs jours heureux les esclaves des Maures[6].

 

Quand il jette en dansant son bruit vif et moqueur,

Ce monde rayonnant de métal et de pierre

Me ravit en extase, et j’aime avec fureur[7]

Les choses où le son se mêle à la lumière.

 

Elle était donc couchée, et se laissait aimer,

Et du haut du divan elle souriait d’aise

À mon amour profond et doux comme la mer

Qui vers elle montait comme vers sa falaise.

 

Les yeux fixés sur moi, comme un tigre dompté,

D’un air vague et rêveur elle essayait des poses,

Et la candeur unie à la lubricité

Donnait un charme neuf à ses métamorphoses.

 

Et son bras et sa jambe, et sa cuisse et ses reins,

Polis comme de l’huile, onduleux comme un cygne,

Passaient devant mes yeux clairvoyants et sereins ;

Et son ventre et ses seins, ces grappes de ma vigne,

 

S’avançaient plus câlins que les anges du mal,

Pour troubler le repos où mon âme était mise,

Et pour la déranger du rocher de cristal,

Où calme et solitaire elle s’était assise.

 

Je croyais voir unis par un nouveau dessin

Les hanches de l’Antiope au buste d’un imberbe,

Tant sa taille faisait ressortir son bassin.

Sur ce teint fauve et brun le fard était superbe!

 

— Et la lampe s’étant résignée à mourir,

Comme le foyer seul illuminait la chambre,

Chaque fois qu’il poussait un flamboyant soupir,

Il inondait de sang cette peau couleur d’ambre!

 

XX – I GIOIELLI

Charles Baudelaire

La mia amata era nuda e, conoscendo il mio cuore

indossava soltanto gioielli tintinnanti

dai ricchi finimenti che le donavano l’aria

vittoriosa che hanno le schiave dei Mori.

 

Questo mondo luccicante di metallo e di pietre

che lancia danzando un suono ironico e vivo

mi rapisce in estasi: amo sino al furore

le cose in cui il suono si mescola alla luce.

 

Era dunque distesa e si lasciava amare.

Dall’alto del suo divano sorrideva di gioia

al mio amore profondo e mite come il mare

che verso di lei saliva come alla sua falesia.

 

Gli occhi fissi su me, come tigre domata,

indolente e sognante provava diverse pose

e il candore unito alla sensualità

donava un nuovo incanto alle sue metamorfosi.

 

E le braccia e le gambe e le cosce e le reni,

lisce come olio sinuose come cigni,

sfilavano nei miei occhi attenti e sereni,

e il suo ventre e i suoi seni, grappoli della mia vigna,

 

s’avanzavano seducenti più degli Angeli del male

per turbare la quiete in cui l’anima riposava

e per costringerla a scendere dalla rocca di cristallo

dove, calma e solitaria, s’era messa a sedere.

 

Credevo di vedere, uniti in una sola immagine,

le anche di Antiope e il busto di un fanciullo

così tanto i suoi fianchi esaltavano il bacino.

Sulla pelle fulva e bruna l’illusione era perfetta.

 

— La lampada ormai era rassegnata a morire.

Il camino soltanto illuminava la stanza.

Quando emetteva un sospiro di fiamme

colorava di sangue l’ambra della sua pelle.

 

Written by Marcello Comitini

Translation by Marcello Comitini

 

Info 

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Note

[1]Ernest Pinard che, alla fine del mese di gennaio del medesimo anno 1857, si era scagliato contro il romanzo di Flaubert, Madame Bovary.

[2] «Il faudra le feu pour purifier la mémoire de ces humiliations subies par Baudelaire, de cette souillure dont on a voulu flétrir Les Fleurs du mal » Pierre Brunel, Tombeau poétique de Baudelaire, in «1857 Baudelaire et les fleurs du mal », Schena, 2007.

[3] Charles Baudelaire, Les Fleurs du mal 1857-1861, traduzione e cura di Marcello Comitini, Edizioni Caffè Tergeste, 2017

[4] Maxime Durisotti, Le meilleur compte rendu, in « 1857 Baudelaire et les fleurs du mal », Schena, 2007.

[5]«Trois strophes qui, pour le critique le plus indulgent, constituent la peinture lascive, offensant la morale publique », in Revue des grands procès contemporains,1885.

[6] Qu’ont dans leurs jours heureux les esclaves des Mores (sostituzione di Maures con Mores. Entrambe le definizioni all’epoca erano sinonimo di Arabi).

[7] Me ravit en extase, et j’aime avec fureur (sostituzione di avec fureur (con furore) con à la fureur (alla follia)).

 

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