“Conoscenza Ignoranza Mistero” di Edgar Morin: inscindibile triade che soggiace ad ogni sviluppo del sapere
Conoscere come coscienza della contraddizione insuperabile interna a ogni sapere e dell’insondabilità delle cause prime e dei fini ultimi.

Queste le ‘conclusioni’ che ci lascia in eredità quali frutto di una vita di studi, lunga, articolata e ricchissima, uno dei più importanti pensatori contemporanei. Il novantasettenne Edgar Nahoum, divenuto poi Edgar Morin, ha attraversato un secolo di storia, lo ha osservato, studiato, descritto, fatto con la sua personale visione delle cose.
La sua bibliografia è sterminata e tentarne una sintesi che sia solo un lungo elenco non rende ragione della vastità dei temi e dei risultati.
Filosofo, antropologo, sociologo e scrittore, mai troppo amato dagli ambienti accademici, è divenuto celebre per il suo approccio transdisciplinare applicato alla ricerca, specie in campo epistemologico. Con la sua opera ha sempre tentato, e solo in parte c’è riuscito, di aprire il varco a una profonda riforma del pensiero verso una sua trasformazione in pensiero di complessità e non di realtà frammentate, artificiosamente sezionate, separate, in comunicanti.
Così, pubblicato nel 2017 in Francia e quest’anno in traduzione italiana da Raffaello Cortina Editore, Conoscenza Ignoranza Mistero torna a ribadire fortemente l’esigenza profonda, scientifica e umana del metodo della complessità.
E lo fa a suo modo, con un percorso che attraversa tutta la storia del pensiero umano nel senso più ampio del termine, producendo un’opera che è insieme filosofica e sociologica, ma anche di letteratura scientifica, non prolissa né inaridita dai tecnicismi, bensì divulgativa e piacevole, ancorché mai banale.
Convinto sostenitore delle interrelazioni naturali e necessarie tra tutti gli ambiti di tutte le scienze, ha cercato di approfondirne metodi, strumenti, contenuti, risultati, sempre finalizzati alla ricerca di una possibile sintesi metodologica utile a indagare la conoscenza in sé, i suoi fondamenti, la sua validità, i suoi limiti.
Si cercano sempre le origini o le cause d’ogni ‘cosa’, realtà, processo. Si cercano i confini e i fini. Così Morin, attraverso un’ampia panoramica di differenti posizioni circa origine e sviluppo della vita nel macro come nel microcosmo, dei suoi sviluppi e dei meccanismi della sua evoluzione, riesce a dare vita a un’opera che contempera i necessari approcci filosofici, con la storia e la filosofia della scienza e con le discipline fisico-chimico-biologiche, nonché con importanti esiti delle neuroscienze.
Fedele al percorso e ai principali esiti cui era giunto con i sei volumi della sua opera forse più famosa e centrale, Il Metodo, in un continuo procedere dialettico, esamina le connessioni tra cervello e mente/pensiero/anima, tra creatività biologica, inconscia, indipendente e autoriproducente e creatività poietica (e mitopoietica) tipicamente umana.
Nel processo dialogico della conoscenza vige una dialettica tra elementi opposti, antagonisti eppure complementari; il pensiero di Edgar Morin ha posto e pone l’accento su una visione plurale, più umanamente e filosoficamente consapevole di contraddizioni profonde insuperabili insite nell’uomo come singolo e nell’umanità come specie.
Egli allarga gli orizzonti ai cosmi possibili, alle ipotesi delle loro origini, del loro funzionamento e delle possibili fini, per poi rapportarli alle meccaniche e ai meccanismi del vivere quotidiano, tenendo ben presenti le tematiche sociali, economiche, ecologiche, per esempio, e le esigenze più intime, sentimentali, creative dell’uomo, sino ad abbracciarne il sentire poetico.
Più conosciamo l’umano e meno lo comprendiamo, per questo, dice Morin, abbiamo bisogno di un metodo che ci abitui a pensare il reale come complessità, consapevoli che il metodo è un percorso che non ha risposte certe, ma che sono possibili e necessari i cambiamenti di rotta.

La conoscenza, di certo progredisce, aumenta, illumina, ma contemporaneamente rende più evidente, per contrasto, il buio attorno alla luce. Conoscenza e ignoranza progrediscono di pari passo, senza che si possa, quindi, in alcun modo, giungere a una conoscenza totale, assoluta, certa.
Vivere è un’evidenza, mentre il mistero è in quest’evidenza. Nell’uomo resta comunque la volontà di cercare un senso alla vita e questo starebbe, per Morin, nel vivere per vivere, una finalità alla quale non si può trovare un senso nell’accezione comunemente intesa. Citando Paul Klee, afferma che la forza creatrice resta infine un mistero indicibile.
Vi sono semmai delle emergenze, ovvero delle qualità nuove che compaiono, non presenti nei singoli elementi costitutivi isolati. La vita è nata da un’associazione organizzatrice d’innumerevoli e differenti costituenti. Una volta nata, l’autorganizzazione vivente dispone di una nuova creatività.
La creatività è mistero, stimolata o innescata da interazioni non chiarite tra diversi livelli di realtà.
E così, pure a un livello più prettamente umano, il cervello resta meno conosciuto dell’universo e la relazione mente/cervello non chiarita, per la quale vale il principio di emergenza che ha nella coscienza il frutto più alto della mente umana, emergenza che prende realtà, ma il principio di emergenza non spiega, constata. Il cervello è una macchina ipercomplessa, non banale. Esiste l’imprevedibile, l’inatteso. La nostra macchina della conoscenza è incerta in un mondo incerto e in una realtà problematica.
Morin ci ricorda che non siamo padroni della nostra mente, che è soggetta a improvvise folgorazioni e nulla è acquisito nel campo della mente. Così la vita umana si può interpretare come perennemente sospesa tra prosa e poesia, tra obblighi, doveri, vincoli, necessità, che escludono ogni piacere, e stati di comunione, effusione, meraviglia, gioco, amore, da cui deriva che lo stato felice è il compimento di uno stato poetico, espressione più profonda dell’essere umano, avente per suprema realizzazione lo stato d’estasi. Forse è quest’ultima l’unica possibilità di sperimentare l’indicibile?
La contraddizione resta l’ultima verità concepibile e il mistero e lo stupore che si trovano all’origine della filosofia sono ciò che si ritrova alla fine, ma anziché scoraggiare il cammino della conoscenza che a essi avvicina, rafforzano il sentimento poetico dell’esistenza (…) la possibilità di fare la scelta di vivere poeticamente.
Written by Katia Debora Melis