“L’Arminuta” di Donatella Di Pietrantonio: i figli che fanno paura
“Ripetevo la parola mamma cento volte, finché perdeva ogni senso ed era solo una ginnastica delle labbra. Restavo orfana di due madri viventi. Una mi aveva ceduta con il suo latte ancora sulla lingua, l’altra mi aveva restituita a tredici anni. Ero figlia di separazioni, parentele false o taciute, distanze. Non sapevo più da chi provenivo”.
Vincitore del Premio Campiello 2017, L’Arminuta di Donatella Di Pietrantonio, edito da Einaudi, ha invaso le nostre librerie.
La protagonista di questa storia travolgente e amara è l’Arminuta, la Ritornata in dialetto abruzzese, un’adolescente che nell’Abruzzo rurale degli anni ’60-’70 si trova a vivere una lacerante crisi d’identità.
All’alba della sua adolescenza viene restituita ai suoi genitori biologici, dopo aver vissuto l’infanzia nella famiglia che l’aveva “informalmente” adottata, lasciando di colpo la sua casa al mare, le amiche di scuola, gli agi della media borghesia.
Orfana di genitori viventi, la Ritornata si cuce addosso questo nome, segno di un’identità che non riesce a trovare, e vive nella sua famiglia d’origine un perenne senso di colpa.
Una famiglia numerosa, che vive di stenti, di miseria, per la quale Essa si sente inadeguata, colpevole di essere arrivata a occupare un nuovo posto a tavola.
La convivenza con i fratelli è sin troppo dura e la penna di Di Pietrantonio dipinge quadri famigliari di una esacerbante dolcezza, che travolgono il lettore in una spirale di emozioni. Fa presto a convincersi di essere lei quella sbagliata e le angosce, le paure, l’infelicità popolano le sue notti, nel letto che divide con sua sorella Adriana, in una intimità violata dall’invadente presenza degli altri fratelli.
Quell’intimità che la miseria non conosce.
“Ogni sera mi prestava una pianta del piede da tenere sulla guancia. Non avevo altro, in quel buio popolato di fiati”.
L’Arminuta ci porta con sé a conoscere la verità, una verità che tutti, attorno a lei, sembrano conoscere e tacere; una verità di cui ha bisogno per risolvere l’enigma della sua identità. Perché la madre che lei credeva essere tale l’ha abbandonata? Perché si nasconde ora dietro un muro di bugie? E suo padre dov’è?
La ricerca diventa sempre più affannosa e la strada da percorrere sempre più soffocante. L’autrice ci permette di entrare nei meandri del dolore, di scoprire come quel rapporto basilare, esistenziale tra madre e figlia possa svuotarsi di significato, assumere risvolti innaturali in una convivenza sotto lo stesso tetto quasi forzata.
Questa storia non è solo commovente, è anche triste, dura e aspra. Le fa da culla un Abruzzo rurale, con le sue montagne ma anche con il suo mare, una terra che sembra essere un personaggio invadente.
La cura per la ricerca delle parole che ci arrivano in tutta la loro amarezza e spigolosità, disegnano bene questo ambiente e ci immergono nella tristezza di questa vita confusa.
L’Arminuta fa proprio un tema che ha attraversato i secoli: da Sofocle e il suo Edipo a Sigmund Freud, passando per Medea e il ribaltamento della parabola del Figliol prodigo (Vangelo di Luca).
Un libro da leggere d’un fiato, rispecchiandoci in una ragazzina di cui non conosciamo neanche il nome, ma allo stesso tempo trovare conforto in un dolore che potrebbe essere il nostro.
“Ma io ero una bambina e i bambini non fanno paura”.
Written by Maria Cristina Mennuti