José Alberto Mujica Cordano, un uomo oltre il mito
“La mia idea di felicità è anticonsumistica. Hanno voluto che le cose non durino e ci spingono a cambiare ogni cosa il prima possibile. Sembra che siamo nati solo per consumare e, se non possiamo farlo, soffriamo la povertà. Ma nella vita è più importante il tempo che possiamo dedicare a ciò che ci piace, ai nostri affetti e alla nostra libertà…”

In molti lo definiscono un mito. Ma, José Alberto Mujica Cordano, ex presidente dell’Uruguay, è davvero un mito? O soltanto un politico illuminato e dall’ampia responsabilità civile?
A rispondere a questi interrogativi è la sua esistenza; o meglio, l’esempio che ha dato attraverso il suo stile di vita.
José Mujica, conosciuto pubblicamente come Pepe Mujica, nasce nel 1935 a Montevideo, in Uruguay.
Rimasto orfano in giovanissima età, il padre non gli lascia grandi beni, ma gli trasferisce la passione per la natura e l’ambiente. Era infatti un agricoltore, caduto in disgrazia a causa di gravi avversità incontrate.
Fin da ragazzo Pepe rivolge la sua attenzione alla politica, sollecitato, forse, dallo zio materno che, seguace del leader Peron, milita nel Partito Nazionale.
È il 1956 quando Mujica aderisce allo stesso partito, al cui interno trovano posto correnti democristiane.
Solo più tardi, intorno agli anni ’60, il suo impegno politico prende una direzione diversa.
Il giovane Mujiaca fa una scelta coraggiosa, che dà alla sua vita un’impronta differente che, però, sarà fonte di sofferenze fisiche e psicologiche.
Ma, lui non può non ascoltare quell’impulso forte che lo spinge a battersi contro le sopraffazioni della dittatura dell’epoca e, senza ripensamenti, porta avanti la sua attività politica.
Entra quindi nelle fila del movimento dei tupamaros, gruppo armato di sinistra ispirato alla rivoluzione cubana, sorto in difesa dei diritti dei lavoratori della canna da zucchero, vessati dai proprietari delle piantagioni. Scelta questa, che dà alla sua figura di uomo e di leader politico una connotazione ben precisa.
Quale membro attivo della lotta dei tupamaros, in seguito all’occupazione di Pando, città prossima a Montevideo, nel 1969 viene catturato e rinchiuso in carcere. Ma non solo viene imprigionato: subisce anche diverse ferite di arma da fuoco.
È il 1971 quando le durissime condizioni carcerarie lo spingono a evadere dalla prigione di Punta Caretas.

La sua voglia di libertà ha però breve durata: viene nuovamente imprigionato e relegato in completo isolamento in un braccio del carcere ricavato da un pozzo sotterraneo. Considerato pericoloso, è fra gli ostaggi, i cosiddetti “rehenes”, ovvero personaggi da fucilare nell’immediato, nel caso in cui fossero messi in atto attentati terroristici.
Il suo vissuto carcerario, durato circa 12 anni, gli lascia strascichi pesanti, da cui non riesce a liberarsi facilmente. Problemi psicologici, quali allucinazioni uditive e fenomeni di paranoia lo accompagneranno per il resto della sua esistenza.
Soltanto nel 1985, quando l’Uruguay si apre alla democrazia, potrà vivere da uomo libero. Tramite un’amnistia, che ripulisce il passato sia dei guerriglieri sia dei golpisti, Mujica viene scarcerato.
Ed è a questo punto che inizia ufficialmente la sua “carriera” politica.
“Mi sento come un fioraio in Parlamento…”
Avrà modo di affermare, riferendosi al suo mestiere di agricoltore quando, nel 1994, viene eletto in Parlamento con l’incarico di deputato.
Tra il 2005 e il 2008 sarà ministro della Repubblica, periodo durante il quale gli vengono rivolte accuse di scarsa professionalità. Nonostante ciò, si rivela essere un ministro molto popolare per la sua vicinanza alla gente, grazie anche al suo innato carisma e al suo trasporto umano.
Concluso il suo dicastero, dopo le elezioni del 2009, lascia le sue mansioni per approdare all’incarico di Capo di Stato. Durante la sua presidenza, Mujica si spende per mettere in atto una politica che sia il più equa possibile, secondo i principi in cui crede e di cui mai si è affrancato nel suo percorso politico.
Sostiene e ottiene la depenalizzazione dell’aborto, come pure il riconoscimento dei matrimoni gay.
Altra scelta, che può essere considerata discutibile, è la legalizzazione della marijuana; scelta giustificata però dall’intento di frenare il narcotraffico.
Ma, fatto più rilevante ed eclatante del suo operato, sono le rinunce rivolte alla propria persona. E, soprattutto, il rifiuto dei privilegi di cui avrebbe diritto in virtù del suo mandato di Presidente.
Politico fuori dal comune, uomo giusto nel profondo, di cui raramente si ha notizia in alti paesi, a parlare per lui è il suo stile di vita.
“Il presidente più povero del mondo.” −Verrà definito dall’opinione pubblica.
Ma non soltanto è considerato un presidente povero, ma è un presidente amato dalla sua gente e anche al di fuori del suo paese.

Durante la sua permanenza, con la funzione di Presidente, che si consuma nel periodo che va dal 2010 al 2015, non accetta di vivere nel palazzo presidenziale, ma in una modesta fattoria alla periferia di Montevideo.
Sempre affiancato dalla moglie con cui condivide ideali politici e uno stile di vita sobrio.
Senza dubbio, è un politico eccezionale Pepe Mujica, in un mondo di governanti in cui prevalgono gli interessi strettamente privati, piuttosto che quelli della collettività.
Perché lui vive con poco, anzi pochissimo. Dal compenso, che la carica di Presidente prevede, di circa 8000 euro, ne trattiene per sé soltanto 800, per devolverne il rimanente a favore di organizzazioni non governative, o a persone in difficoltà. Peculiarità proprie che danno la misura della elevata statura morale di Mujica.
L’ex presidente possiede un’unica auto ormai datata: un vecchio maggiolino regalatogli da amici e a cui non rinuncerebbe in cambio di un’auto di lusso.
“In fondo molti miei concittadini vivono con meno…” − Risponde a coloro che gli chiedono conto delle sue scelte.
La sua filosofia di vita, trasposta nella sua idea di politica, è semplice.
Mujica sostiene che a guidare l’esistenza dovrebbe essere un unico principio prevalente sugli altri: quello della sobrietà. Concetto che nulla ha a che fare con l’austerità posta in essere da alcuni governanti; per cui la gente rimane senza sostentamento a causa di tagli insensati e crudeli realizzati dalla politica.
Afferma che il tempo è un bene prezioso, non va sprecato, ma impiegato per le cose che appassionano, perché il tempo ben speso è sinonimo di libertà. E se una persona vuole essere libera deve essere misurata nei consumi, e non rendersi schiava del lavoro, soltanto per permettersi beni di consumo in eccesso, e che molte volte si rivelano superflui.
Muijca non disdegna la funzione positiva del capitalismo, utile a produrre ricchezza, da cui ne conseguono imposte e contributi, necessari per fornire poi servizi ai cittadini.

I suoi principi e la sua idea di vita vengono meglio esplicitati nel 2012 in un discorso alle Nazioni Unite. Discorso però a cui i media hanno dato modesta risonanza. Importante però, perché ribadisce il fatto che, secondo lui, l’esistenza dovrebbe contemplare uno stile di vita non povero, ma sobrio.
Dunque un’esistenza che non va contro il consumismo, considerato come elemento imprescindibile della vita moderna. Anche se fattore che va regolamentato.
Affronta inoltre la questione della globalizzazione.
Nel suo discorso, alquanto rivoluzionario, denuncia le contraddizioni del mondo in cui viviamo, e riguardo al concetto di globalizzazione e sviluppo sostiene che la conseguenza della globalizzazione è un eccesso di ricchezza nelle mani di pochi.
Quindi, Mujica propone che le risorse dovrebbero essere distribuite più equamente, in modo da eliminare totalmente la povertà. Anche perché la concentrazione di un esagerato arricchimento di un limitato numero di persone è pericoloso: non solo aumenta il numero degli esclusi a una buona qualità della vita, ma genera crisi nelle democrazie.
“Il problema è che continuiamo a pensare come individui e non come specie umana…” − Ha affermato Mujiaca in più di un’occasione.
È in occasione della presentazione di un libro, che riguarda la sua figura e il suo singolare modo di fare politica, che Mujica raggiunge l’Italia nel 2016.
“Una pecora nera al potere. La politica della gente” è il titolo del volume a lui dedicato, da cui emerge il ritratto di un uomo che ha cambiato il cuore di molti, un ritratto ricco e senza ombre.
In Italia Mujica non ha difficoltà a farsi intervistare, anche perché non si considera un divo, ma soltanto un uomo fra gli uomini, uno che cerca di fare del mondo un posto un po’ migliore.
Attraverso incontri con i giornalisti l’ex presidente si è lasciato andare e ha esplicitato meglio la sua posizione di politico illuminato.
Si è speso con i giornalisti, non si è negato loro, e con semplicità ha manifestato le prese di posizione che tuttora contraddistinguono la sua esistenza.
Durante la sua permanenza italiana ha incontrato lo scrittore cileno Sepúlveda e Carlo Petrini, presidente di Slow Food, con cui si è confrontato in un dialogo ricco e costruttivo.

“La rivoluzione non si fa per vivere a lungo, ma per vivere felici…” − Ha affermato Sepúlveda, facendo sue le parole che un altro grande presidente, quale è stato Salvador Allende, ha pronunciato nel 1971.
E Carlo Petrini, quando gli è stata chiesta un suo parere sulla persona di Mujica, ha risposto con grande franchezza: “Lui, al di là della politica, ha saputo trasmettere fiducia ai giovani attraverso un solo elemento: il buon esempio.”
Ed è proprio rivolgendosi ai giovani, in un incontro a Roma, che Mujica ha ribadito: “Il nostro dovere è pensare come specie e lottare per salvare la Terra, senza dimenticarci di coltivare il progresso con intelligenza.”
Mujica ha poi spiegato quella che lui definisce la “cultura dell’immanenza”, ovvero l’insieme delle azioni subliminali che indirizzano le scelte di vita di ciascuno.
“È il sistema economico contemporaneo a costruire in noi necessità di cui non abbiamo bisogno veramente, la cosiddetta società del consumo è finalizzata all’accumulo del denaro. Ci sentiamo costretti a spendere e ad abbracciare tutto questo come una religione. Perciò dobbiamo cambiare il nostro modo di pensare. Se lo sviluppo economico non ci rende anche felici, allora è un falso sviluppo.”
Perché la sua idea di felicità è anticonsumistica.
Sostiene che nella vita è più importante il tempo da dedicare alle passioni, agli affetti e alla libertà. E non al tempo che l’individuo è costretto a impiegare per guadagnare di più al fine di consumare sempre più. Dunque, un encomio alla sobrietà, non certo alla povertà è quello lanciato da Mujica.
“Non sprecate la vita nel consumismo, trovate il tempo per essere felici…”
Sebbene si dichiari ateo, Mujica ha incontrato in Vaticano il Papa, con cui condivide gli sforzi diplomatici per la pace nei paesi del Centro America.
E sulla figura di Papa Francesco ha espresso un giudizio entusiasta, definendolo un pontefice venuto per sensibilizzare le coscienze di molti, un Papa che si spende a favore delle classi più deboli e povere di attenzione.
La BBC, accostando l’operato di Muijca a quello del Papa, lo ha definito come il “Mujica del Vaticano”.

Foto: Víctor Sokolowicz
A proposito di Trump, Mujica ha manifestato una certa preoccupazione caso mai fosse eletto (le dichiarazioni si riferiscono prima che il Presidente americano vincesse le elezioni). Ha poi aggiunto, che il ruolo degli Stati Uniti nel mondo è considerevole, e scelte non opportune si potrebbero ripercuotere sul resto del pianeta.
“La mia è una filosofia di vita. Nel mondo si crede che colui che trionfa debba possedere tanto denaro, questo modello è solo un modo di complicarsi la vita. È un tossicodipendente colui che passa la vita ad accumulare ricchezza… è una malattia…”
A qualcuno, che gli ha chiesto una valutazione circa la sua esperienza di presidente, Mujica ha risposto che non è riuscito a realizzare tutte le cose che si era riproposto di fare.
“La politica non è una professione, è passione, non si fa per arricchirsi…”
È d’obbligo aggiungere che Mujica è contrario all’assegnazione del Nobel per la Pace, soprattutto per i numerosi focolai di guerra presenti su tutto il pianeta.
“Usciremo dalla preistoria dell’umanità soltanto quando non ci saranno più armi ed eserciti.”
Written by Carolina Colombi