Le métier de la critique: la giornalista Elizabeth Jane Cochran, conosciuta come Nellie Bly
“Non ho mai scritto una parola che non provenisse dal mio cuore. E mai lo farò.”

Così si esprime la giornalista Nellie Bly poco prima di dare l’addio alla sua vita terrena.
Oggi, la si deve ricordare per le tante sfumature che hanno dato luce e colore alla sua esistenza.
Fu infatti imprenditrice, romanziera e giornalista; ma ciò che la contraddistingue, più di altro, è il fatto di essere stata modello di autodeterminazione, in un periodo in cui la donna occupava ancora un ruolo marginale all’interno della società.
Ma, per comprendere meglio la personalità della Bly e il suo percorso di vita, occorre fare un passo indietro. Lì, dove tutto ha avuto inizio, nella città di Apollo, in Pennsylvania, nell’anno 1864. Anno in cui la Bly ha visto la luce. La narrativa relativa alla Bly racconta che la sua infanzia non fu affatto serena.
Orfana di padre in giovanissima età, appena più grandicella arrivò a denunciare e a testimoniare contro il marito della propria madre, colpevole di averle usato violenza, e di aver sottoposto entrambe a percosse e minacce. Un microcosmo difficile quello in cui Nellie cresce, ma che la incita, a soli 16 anni, a lasciare il suo paese d’origine.
Ed è poco dopo, grazie al suo temperamento forte e determinato, che si rende protagonista di un avvenimento rimasto negli annali del giornalismo. Da quell’episodio ne scaturisce il suo soprannome.
Non è infatti il vezzoso Nellie Bly il nome originale della giornalista, ma il meno attraente Elizabeth Jane Cochran.
Ma, a chi è nata l’idea di questo grazioso appellativo?
A questo fatto è legata una vicenda che dà la misura della robusta personalità che la Bly, fin da giovane, manifesta. Accade che all’età di 18 anni, dopo aver letto su di un giornale, il “Pittsburgh Dispatch”, un articolo dall’evidente impostazione sessista, nel quale si sosteneva che il ruolo adeguato a una donna era solo quello di mamma, di casalinga e di addetta alla cucina, Nellie manifesta una collera indicibile.
Secondo queste affermazioni era dunque sconveniente per una donna dedicarsi ad una qualsiasi professione.
Tale editoriale, dal titolo quanto mai sconcertante: “What Girls Are Good For”, ovvero “A cosa servono le ragazze”, fa infuriare la Bly, che scrive una lettera al giornale dichiarandosi indignata da tali gratuite affermazioni.
Le parole offensive, rivolte a tutto il genere femminile, feriscono profondamente la giovinetta; tanto che la sua vivace protesta solleva più di un interrogativo nel direttore del giornale, tale George Madden. Particolarmente colpito dalla veemenza con cui la Bly espone le proprie idee, in cui ovviamente sostiene la tesi opposta a quella dello scrivente, George Madden manifesta il desiderio di conoscerla.
Incuriosito da quella ragazzina coraggiosa, la quale denota una forte lucidità di pensiero che, secondo le convenzioni dell’epoca, dovrebbe appartenere più a un uomo che a una donna, è lo stesso ad affibbiarle il soprannome, prendendolo a prestito dal personaggio di una canzone. Soprannome che la giornalista porterà per tutta la vita.

Ma il direttore non solo le dà il nome di Nellie Bly, ma le affida anche un incarico da cronista. E cronista la donna lo sarà per tutta la vita, nell’accezione più autentica che tale parola contempla. Identificandosi con il proprio mestiere fino a divenire tutt’uno con esso, quasi un processo d’osmosi con la professione di redattrice.
Così, in maniera del tutto fortuita, nasce Nellie Bly, giornalista d’eccellenza. Una delle più capaci professioniste della carta stampata.
Da quel momento, ha inizio per la Bly una brillante carriera.
A contrassegnare la sua “missione” è il fatto di dare vita a un nuovo filone giornalistico definito giornalismo investigativo sotto copertura, oltre a essere pioniera di tale attività, fino ad allora appannaggio dell’universo maschile.
Con una forte presa d’atto raccoglie i sentimenti delle classi sociali più umili, denunciando soprattutto le condizioni d’indigenza in cui si trovano le donne che lavorano in fabbrica.
Giornalista appassionata, e soprattutto amante di quella professione cui si consacra totalmente, comincia a realizzare servizi, molte volte scomodi, che mettono in luce realtà dove i soprusi rasentano l’illegalità. Situazioni tutte sconosciute ai più.
Per poter descrivere in modo realistico della condizione degli ospedali psichiatrici si fa internare: solo così, secondo la Bly, il suo lavoro sarebbe stato specchio della realtà in cui i ricoverati consumavano le loro misere esistenze. Dello stesso escamotage, Nellie si serve per raccontare della condizione dei carcerati.
È in stato d’arresto che la giornalista ha modo di esplicitare al meglio lo stato in cui versano i detenuti dell’epoca. Ovvero, condizioni disumane e trattati alla stregua di animali, se non peggio.
Scrittrice abile e di notevole valenza, si dice che si rifiutasse di scrivere sulle patinate pagine di riviste femminili.
Se il suo impegno è per lei gratificante, consegnando al pubblico l’immagine di icona del libero pensiero, i suoi articoli di denuncia suscitano polemiche da parte dei finanziatori del giornale con cui collabora; i quali, manifestano una netta presa di posizione, tanto da indurre il direttore a minacciarla di licenziamento.
Nel 1886, quando il Dispatch decide di ampliare il proprio raggio d’azione, e perciò l’attenzione si concentra su fatti che vanno oltre la cronaca del luogo, la donna raggiunge il Messico nel ruolo di corrispondente estera. Ancora una volta Nellie è chiamata a fare la cronista della quotidianità di gente per cui prova grande empatia, fino a rilevare e a rivelare le loro tristi condizioni di vita, portandole a conoscenza di tutta la collettività. Attraverso le sue parole, incisive e dai toni forti, i suoi reportage ottengono un notevole consenso di pubblico, ma non quello della critica, la quale recepisce il suo modo di informare come un chiaro pericolo.
Trascorsi sei mesi di permanenza viene espulsa dal Messico, dopo aver denunciato il governo in carica per il suo operato. Il suo grido d’accusa suscita enorme scalpore, perché la Bly non si limita a raccontare, ma, attraverso le sue schegge di verità, che colpiscono i lettori come un pugno in pieno stomaco, fa presa sull’immaginario comune.
Troppo schietta nel raccontare fatti scomodi, e animata da una sete di giustizia, è considerata un personaggio imbarazzante, perché esprime con troppa disinvoltura giudizi e opinioni.

Tali dissapori la portano nel 1887 ad abbandonare il Dispatch e a trasferirsi a New York; qui inizia a prestare servizio presso il New York Word, il giornale di cui Joseph Pulitzer ha risollevato le sorti.
Il suo primo articolo nasce da una sua discutibile esperienza: si fa ricoverare per descrivere con assoluta verosimiglianza le condizioni dei malati di mente di un istituto situato presso l’isola di Blackwell, in prossimità di Manhattan. Si sottopone alle stesse pseudo-cure dei malati, al fine di comprendere a pieno il disagio fisico e psicologico in cui sono costretti a vivere.
“Una trappola umana per topi. È facile entrarne, ma una volta lì, è impossibile uscirne.” Dichiara la Bly dopo essere venuta fuori da quel girone infernale, struttura che raccoglie i rifiuti di una società del tutto ingiusta.
“Ten days in a Mad-house” è il titolo del volume che fluisce da questa sua dolente esperienza.
Sebbene i suoi articoli non siano apprezzati dal pensiero conformista, hanno però un pregio indiscutibile: sollevano le coscienze. O almeno, parte di esse.
È infatti grazie alle sue investigazioni, che viene avviata una riforma atta a migliorare il trattamento degli internati negli istituti mentali.
In conseguenza di tali inchieste, di carattere etico prima che giornalistico, le quali contraddistinguono la sua attività, è ritenuta la migliore reporter d’America. Agire in incognito diventa una sua personalissima prerogativa che la differenzia dai suoi colleghi: il suo tratto distintivo è quello di persona protesa a riconoscere e denunciare le ingiustizie, e donna che va oltre le convenzioni sociali e professionali.
Testarda, audace, pronta a lanciarsi in ogni genere di esperienza senza pensarci troppo, diviene modello di riferimento per le stunt girls, gruppetti di sue fan che vorrebbero intraprendere la carriera giornalistica.
Ma lei è modello di difficile emulazione, perché è diversa, in quanto ha per davvero a cuore il benessere degli ultimi. Il suo percorso umano e professionale prosegue, infatti, con l’attenzione rivolta alla sorte dei bambini diseredati e allo sfruttamento delle donne, sia impiegate nel mondo del lavoro sia di quelle che svolgono le mansioni domestiche.
E di essere diversa la Bly lo manifesta anche in altri modi.
Perché è pronta a fare sua l’avventura che Pulitzer le propone. Sollecitata dal grande giornalista-editore, altro importante simbolo del giornalismo, sull’onda emotiva sollevata dal libro “Il giro del mondo in 80 giorni”, parte da New York e percorre circa 40000 mila chilometri.
Treno, nave, bicicletta, e perfino a dorso d’asino sono i mezzi di cui la Bly si serve per circumnavigare il globo in 72 giorni. Attraversa e visita il Regno Unito, Francia, Italia, fino a spingersi in Cina, in Giappone, a Hong Kong e nello Sri Lanka. Per fare ritorno infine a New York, nel 1890, acclamata da numerosi sostenitori.
Una volta ancora è modello per tutte le donne dell’epoca, dando prova di incredibile coraggio e forza di volontà. E dimostrando inoltre che, anche senza un uomo al suo fianco, una donna può riuscire lì dove altri non arrivano. Ma l’uomo giusto, nel 1895, arriva anche per lei, suggellando un’unione che si mostrerà solida.
Di 40 anni più vecchio di Nellie, il marito, al momento della sua scomparsa, le lascia un ingente patrimonio finanziario da amministrare. Ma la gestione di Nellie non dà buoni frutti in quanto l’attività fallisce.
Difficile comunque entrare nel merito della questione.
Le informazioni a tale proposito riportano soltanto che forse la Bly ha puntato troppo sull’evoluzione culturale e il benessere dei suoi operai.
Si dice infatti, che all’interno dello stabilimento, avesse organizzato corsi per insegnar loro a leggere e scrivere, una sala di lettura, oltre che un ambulatorio medico dove gli operai fossero curati in maniera adeguata.

Nel 1913 è figura di grande rilievo al Congresso delle suffragette e prenderà la parola sostenendo in toto il movimento allora nascente.
Conclusasi in modo poco edificante la sua esperienza di imprenditrice, Nellie riprende a fare la giornalista.
È inviata sul fronte russo e serbo, per denunciare gli orrori della Prima guerra mondiale. Concluderà infine la sua vicenda terrena nel 1922, all’età di 58 anni.
Cosa aggiungere ancora di un personaggio di così ampia valenza morale e professionale, il quale ha lasciato un’impronta nel giornalismo mondiale? Una donna, candidata a essere modello di femminismo ante litteram, la quale non ha avuto bisogno di alcuno, se non di se stessa, nel suo difficoltoso percorso professionale, fondato solo sul coraggio e sull’intelligenza?
Credo sia doveroso ricordare, a parer mio, che la Bly è stata poco celebrata ai nostri giorni.
E, che alle gesta di questa donna, la quale ha fatto della sua vita un vessillo da sbandierare, raccontando di un mondo ingiusto con l’intento di migliorarlo almeno un po’, andava data maggior risonanza.
Sebbene, nel 1998 sia stata inserita nel National Women’s Hall of Fame, istituzione statunitense il cui obiettivo è dare rilievo a personaggi che si sono distinte nel campo delle arti o cultura.
Dopo aver raccontato della Bly in maniera oggettiva, mi sento in dovere di offrire un mio modesto parere su di una persona che tanto ha fatto per il mondo del giornalismo.
Mi piace definirla come una donna vissuta al di fuori degli schemi consueti, quelli che appartenevano a un tempo in cui il genere femminile era relegato soprattutto ad accudire il focolare domestico.
Non una donna “normale” certamente, anche se è cosa difficile definire il concetto di normalità.
Forse, nella Bly, c’era forse quel pizzico di follia che appartiene alle persone autentiche, oppure a quelle con un’apertura mentale che le fa osare, andare oltre a quelle che sono le convenzioni di un’epoca in cui si considerava scandaloso che una donna praticasse un mestiere considerato appannaggio dei soli uomini. Quindi, persona vera, cui non corrisponde il conformismo quale principio di vita.
Written by Carolina Colombi