Robin Hood: il mito del folle che trasformò l’ordine costituito
Non sono un pragmatista. Ho una coscienza acuta e spietata. Avrei potuto essere un bravo ragazzo. Forse a volte lo sono.
Ma sono sempre stato un uomo d’azione. Il dolore è uno spreco, come lo è la paura.
E proprio l’azione è ciò che troverete qui, non appena avrò finito questa mia spiegazione.
Ricordate: gli inizi sono sempre difficili e spesso risultano artificiosi.
Tutto ebbe inizio probabilmente nel lontano 1250 o giù di lì…
Più che una fiaba, quella di Robin Hood può essere considerata una storia legata al mito e alla leggenda traendo origine probabilmente da eventi reali.
Negli antichi manoscritti il suo nome è Robyn Hode, ma successivamente è stato modificato nel più conosciuto Robin Hood.
In ogni caso è un racconto in cui figurano anche elementi simbolici ed esoterici. Per prima cosa il colore verde dell’abito del protagonista richiama alla fiaba di “Peter Pan”.
Il verde è il colore della natura ricordando il rinnovamento ciclico del mondo che muore per poi rinascere.
Il verde è il colore delle ninfe dei boschi, dei folletti, degli elfi ecc., questo simbolismo è accostato alla natura come forza capricciosa capace di mettersi in contrasto con le autorità, incarnando spiriti liberi spesso descritti come fuoriligge, come nel caso di Robin Hood e la sua compagnia tutti rigorosamente vestiti di verde, tranne Fra Tuck, che sembra accostare la figura del protagonista all’essere divino.
Spesso la figura di Robin Hood è accostata al termine inglese trickster, un termine traducibile non a caso con la parola “ingannatore”, che nell’iconografia religiosa, indica il personaggio spesso dipinto come ladro o folle, in grado di scatenare sobbalzi all’ordine costituito e apportare innovazioni impensabili nel vivere comune.
Secondo l’interpretazione di William Shakespeare il protagonista in calzamaglia nel suo “Sogno di una notte di mezza estate”, è associato alla divinità dei boschi che combatte il malgoverno:
“… Tu, se dalle maniere e dal sembiante io non m’inganno, sei quel discolaccio, quel folletto bugiardo e malizioso che tutti chiamano Robin Bravomo. Non sei tu quel bizzoso spiritello che al villaggio spaventa le ragazze, che fa cagliare il latte dentro i secchi, che armeggia tra le pale del mulino, e si rende molesto alle massaie vanificando la loro fatica a sbattere la crema nella zangola?…”
Robin Hood è anche la testimonianza di un mondo in trasformazione evidenziato dai suoi continui travestimenti.
Un mondo in cui i ruoli sociali sembravano non poter cambiare e in cui i vari status della gente comune erano limitati e suscettibili di poche trasformazioni.
Quindi il semplice cambiamento di abito del protagonista corrispondeva a una piccola rivoluzione, togliendo all’osservatore/ascoltatore/lettore, qualunque riferimento all’identità del proprio interlocutore.
È importante ricordare che a quei tempi, si nasceva e si moriva contadini, servi, cavalieri o monaci, senza possibilità di cambiamento, il tutto con l’aiuto di un’ideologia che rimandava al volere di Dio.
Era quindi il divino a voler continuare l’ordine comune.
Questo fino all’arrivo di Robin Hood.
Robin Hood è stato spesso accostato al ciclo di Re Artù e dei Cavalieri della Tavola Rotonda, soprattutto riguarda al tema dell’amore, infatti nel cico di Re Artù si esalta l’amore puro tra la bella Ginevra e il prode Lancillotto, in Robin Hood si elogia Lady Marian: eroina della volontà di scegliere, sulla base di un sentimento e senza implicazioni di carattere economico, l’uomo della propria vita, cioè applica la libertà di scelta.
Il mito del re dei ladri rappresenta quindi una sorta di rivolta sociale, una specie di epifania risolutrice, portatore di una verità e di giustizia.
Questa leggenda ha avuto la capacità di mettere in secondo piano la convinzione del popolo che gli uomini che sedevano sul trono, soprattutto di quello inglese e francese, fossero ereditari di virtù taumaturgiche con lontane parentele con il Cristo attraverso Maria Maddalena, esule in Provenza dopo la crocifissione del Nazzareno.
Il recupero di questa ipotesi, antichissima, e che molti hanno dimenticato di recente è divenuta popolare grazie al “Codice Da Vinci” di Dan Brown.
Ma alla fine quando Robin Hood «ruba ai ricchi per dare ai poveri», non si limita a irrorare di ricchezze alle popolazioni di Nottingham e dintorni, ma introduce l’idea che ribellarsi è giusto.
Grazie a Lady Marian accostata alla figura della Madonna, il popolo si appropria del diritto di essere considerati figli di Dio.
La morale del mito è che chiunque può impugnare l’arco lungo e armandosi di furbizia e coraggio può diventare Robin Hood.
Ora “Sorridi”. E quando avrai un momento di smarrimento o indecisione, fermati, aspetta e senti il tuo cuore.
Written by Vito Ditaranto
… a mia figlia Miriam con infinito amore…