Intervista di Irene Gianeselli all’attore Maximilian Nisi: a teatro seguendo l’esempio dei maestri
Maximilian Nisi si diploma nel 1993 alla Scuola del Teatro d’Europa diretta da Giorgio Strehler. Nel 1995 segue il Corso di Perfezionamento per Attori presso il Teatro di Roma diretto da Luca Ronconi in collaborazione con Peter Stein, Luigi Squarzina, Federico Tiezzi, Piero Maccarinelli e Franco Quadri.
Studia inoltre con Marcel Marceau, Carolyn Carlson, Lindsay Kemp e Micha Van Hoecke. A teatro è diretto, tra gli altri, da Strehler, Ronconi, Vassil’ev, Savary, Sequi, Scaparro, Terzopoulos, Calenda, Zanussi, Bernardi, Mauri, Lavia, Menegatti, Tchkeidze, Marini, Pagliaro, Lamanna, Znaniecki, Marinuzzi, Ricordi, Sepe, Pizzech.
Nel giugno 1995 gli viene assegnato il “Lauro Olimpico” dall’Accademia Olimpica di Vicenza e nel novembre 1999 il premio “Lorenzo il Magnifico” dall’Accademia Internazionale Medicea di Firenze. In campo cine-televisivo è stato diretto, tra gli altri, da Magni, Negrin, Brandauer, Bibliowicz, Maselli, Spano, De Sisti, Argento, Greco, De Luigi, Zaccaro, Chiesa, Ponzi, Molteni, Amatucci, Migliardi, Sciacca, Riva, Sollima, Pingitore. La sua esperienza come insegnante comincia nel 2010.
Ha impartito lezioni di interpretazione presso “Artés”, la Scuola di Recitazione diretta da Enrico Brignano a Pomezia. È stato docente presso la Scuola di Teatro del San Leone Magno diretta da Maria Letizia Gorga a Roma. Ha insegnato a Borgio Verezzi presso la Scuola di Teatro del Barone Rampante e a Vicenza presso lo Spazio Bixio per Theama Teatro. Attualmente è insegnante di interpretazione all’Action Academy di Roma diretta da Maria Grazia Cucinotta e da Nando Moscariello. Collabora spesso come docente per la Regione Lazio. Ultima esperienza nel 2014-15 per LazioInScena. Numerosissimi sono stati in questi anni seminari, workshop, laboratori di studio e di approfondimento da lui tenuti in diverse città italiane.
I.G.: Ti ringrazio per la disponibilità. Quali sono gli incontri che ritieni fondamentali per la tua formazione artistica?
Maximilian Nisi: Primo fra tutti l’incontro con Giorgio Strehler, il mio Maestro. Se oggi sono un attore, un regista e un “padre teatrale” è perché lui, per primo, mi diede fiducia e validi insegnamenti. Sono vent’anni che Strehler non c’è più e in tutto questo tempo ho sentito spesso la sua mancanza. A volte, in casi di emergenza e di carenza artistica, mi sono domandato “se fosse qui cosa mi direbbe? Come mi aiuterebbe?” e per incanto una o più vie da percorrere mi si stagliavano dinnanzi. Credo che un Maestro in fondo non sia altro che questo: un punto di riferimento costante, un faro che continua a far luce dentro di noi e che in notti troppo buie sa rischiarare il nostro cammino. Sono tornato qualche settimana fa, per alcune recite, al Piccolo Teatro di Milano. Mi è parso un luogo con un’anima congelata, una nave in cerca di un nocchiero. Ho avuto un colpo al cuore.
I.G.: Cosa intendi per “padre teatrale”?
Maximilian Nisi: Io non ho figli biologici, ma ho trovato il modo di crearmi una discendenza virtuale, una discendenza teatrale. Sono circa sette anni che insegno e devo dire che mi piace molto, mi diverte e mi da appagamento. Credo che la formazione sia importante e che sia l’unica via che abbiamo per rilanciare il nostro mestiere. Educo i miei allievi con amorosa cura. Adoro stimolarli raccontando loro il privilegio e la responsabilità che hanno di poter espletare una simile passione. Mi piace essere un punto di riferimento, un esempio reale, non solo elargire nozioni e competenze tecniche. Desidero proteggerli e cerco di carpire, di capire e di incentivare le diverse personalità di ognuno per stabilire, affinandole, regole diverse di comunicazione. Li aiuto a sviluppare i loro mezzi espressivi, migliorando e liberando le naturali potenzialità. A volte mi trovo ad ammettere che la strada che desiderano intraprendere non è per nulla semplice o lineare ma che, il più delle volte, è lunga, irta e piena di imprevisti. Insegno loro a recitare con coscienza da incoscienti o da eroi, liberi di lasciarsi andare con leggerezza nella consapevolezza scenica in mondi paralleli.
I.G.: Trai tuoi Maestri c’è anche Klaus Maria Brandauer.
Maximilian Nisi: Klaus, che attore meraviglioso! Era il 1993 quando lo incontrai. Stava cercando il protagonista del film che da lì a poco avrebbe diretto ed interpretato, “Mario e il mago”, tratto dal romanzo di Thomas Mann. Venne a Milano per conoscere gli allievi della Scuola del Piccolo Teatro. Dopo qualche settimana, tra tutti, decise di rivedere solo me e mi convocò a Roma. Non venni scelto per il ruolo del protagonista, Mario, optò per un attore biondo, ma presi comunque parte a quel film interpretando un altro personaggio. Fu un’esperienza fantastica, unica. Location siciliane meravigliose, un cast stellare. Recitavamo in quattro lingue diverse. Se come regista Klaus fu bravo devo dire che vederlo lavorare come interprete fu spettacolare.
I.G.: E Marcel Marceau?
Maximilian Nisi: Strehler chiedeva sempre agli artisti che recitavano nei suoi teatri di incontrare i suoi allievi. Così accadde che incontrammo durante gli anni della scuola Marcel Marceau, Carolyn Carlson, Micha van Hoecke e molti altri. Furono incontri importanti, fondamentali. Erano degli stage non previsti, dei veri e propri regali. Noi allievi eravamo tutti molto giovani ed interfacciarsi con personalità così significative fu molto formativo. È stato bello in seguito ritrovare alcuni di questi artisti ed emozionante, quando è capitato, essere scelti da loro per lavorare insieme.
I.G.: Hai anche avuto l’occasione di incontrare Luca Ronconi
Maximilian Nisi: Sì. Dopo Strehler la mia formazione la devo a lui. Sagace e sublime studioso sapeva spalancarti il cervello e ti insegnava a pensare, ad approfondire e a sperimentare per sfuggire quell’ovvietà triste e sterile che troppo spesso troneggia nel nostro lavoro. È stato un grandissimo privilegio aver avuto la possibilità di sondarlo e forse di capirlo. Era una di quelle personalità artistiche che non avrebbe dovuto morire, che avrebbe dovuto essere eterna.
I.G.: Che ricordo hai di Lindsay Kemp?
Maximilian Nisi: Sono nato vedendo gli spettacoli di Kemp. “Salomè”, “Flawers”, “Cenerentola”. Che capolavori. Mi affascinava vederlo volteggiare sulla scena. Lui per me rappresentava il Teatro. Era un artista a trecentosessanta gradi. Dipingeva il suo corpo come se fosse una tela per mettersi completamente a servizio dei personaggi che interpretava in spettacoli in cui curava personalmente anche le scene ed i costumi. Era ed è unico nel suo genere. Sono contento che dopo anni di assenza il nostro Paese, così disattento e sornione, abbia ripreso, seppur timidamente, ad occuparsi di lui. Se c’è un seminario tenuto da Kemp e ho la possibilità di frequentarlo sono l’uomo più felice del mondo. Se c’è un nuovo spettacolo di Kemp in giro corro a vederlo. Kemp mi fa star bene.
I.G.: Ma hai anche lavorato con Gabriele Lavia e Glauco Mauri
Maximilian Nisi: Ho lavorato con Lavia nel “Riccardo II” di Shakespeare, avevo poco più di vent’anni, ero Il Duca di Aumerle. Erano anni in cui anche un testo shakespeariano così poco visitato, seppur bellissimo, poteva essere prodotto e tranquillamente distribuito con grandissimo riscontro di pubblico e di critica nei maggiori teatri d’ Italia. Gabriele, oltre ad essere un attore straordinario è un regista che può insegnare molto. A me ha dato moltissimo. Ancora oggi quando assisto ad un suo spettacolo ne esco appagato ed arricchito. Adoro il suo rigore, quella precisione profonda e mai scontata con cui sa lavorare. Credo che sia l’ultimo grande Re. Mi piacerebbe un giorno ritrovarlo. Diretto da Mauri ho fatto invece tre spettacoli. Dostoevskij, Sofocle, Shakespeare. Autori potenti. Mesi e mesi di tournée, ovunque. Glauco è un artigiano instancabile, un eccellente uomo di teatro e un ottimo capocomico. Mi ha insegnato il mestiere, il lavoro dell’attore, la dedizione, il rispetto per il pubblico, la lealtà, tutto insomma. Gli devo moltissimo e non smetterò mai di ringraziarlo. Mi fai pensare al mio passato. Alle motivazioni che mi hanno spinto a scegliere questa strada. Avevo grandi aspirazioni a quel tempo, gli attori ed i registi con cui lavoravo erano immensi e gli spettacoli a cui prendevo parte erano dei veri e propri eventi. Si lavorava sodo senza cercare scorciatoie, onestamente, spinti dall’urgenza di raccontare veramente qualcosa. E questo aveva un senso, precisi riconoscimenti e contributi consistenti. Ci sono giorni in cui è difficile confermare quella scelta. Qualcosa è cambiato. Il lavoro dell’attore è diventato incoerente, faticoso e a volte impossibile da gestire.
I.G.: Ci sono drammaturgie che vorresti visitare?
Maximilian Nisi: Mi piacerebbe ridar voce alla nostra tradizione, ai grandi autori della nostra letteratura ormai dimenticati. Mi riferisco ad esempio ad Arpino, Castellaneta, Parise, Piovene, Tozzi, Gadda, Viviani e a tanti altri validissimi scrittori, troppo poco considerati, trascurati o addirittura rimossi sia a livello scolastico che a livello commerciale. Giorni fa, ad esempio, ho finito di rileggere il “Randagio e l’eroe” di Arpino e ho confermato che è un vero capolavoro di prosa poetica. Arpino ha usato frasi secche costruite come se fossero versi di poesia e l’uso della punteggiatura è perfetto. Bisognerebbe rivalutare autori come lui perché sono stati fondamentali, talmente abili e capaci che molti scrittori del ‘900 di scuola realista americana ammettono di essersi ispirati a loro. Gadda, non viene affrontato nei programmi scolastici, eppure è stato uno degli scrittori italiani che ha utilizzato al meglio la nostra lingua, paragonabile a Dante Alighieri. Calvino è trattato pochissimo, Pavese è solo citato e a Buzzati e a Pratolini non è toccata sorte migliore. Lo studio della letteratura nel nostro paese si ferma subito dopo il Verismo. Le nostre origini letterali sono importanti, approfondirle ci darebbe modo di comprendere meglio la nostra lingua. Il cinema di Rossellini e di De Sica ha ispirato intere generazioni di tutto il mondo. La stessa cosa è accaduta in letteratura. Quello che oggi leggiamo, anche tra le opere straniere, è stato profondamente influenzato dalla nostra letteratura di quel periodo, dagli schemi narrativi, dalle modalità di scrittura e dal modo di interpretare i personaggi nato in quegli anni.
I.G.: Hai recentemente affrontato come regista la scrittura di Elsa Morante in Memorie di un Fanciullo. Puoi raccontarci questo progetto?
Maximilian Nisi: “L’ isola di Arturo”. Un libro un po’ datato. Una favola. Un lavoro commissionatomi per inaugurare il 48 Festival Teatrale di Borgio Verezzi. Devo dire che ci ho messo un po’ per comprendere, e a modo mio approfondire, i temi della Morante e per capire le ragioni della grande popolarità di questo romanzo. Stefano De Meo ha curato le musiche della mia messa in scena ed è anche grazie al suo lavoro che sono riuscito a definire e a disegnare il racconto facendo in modo che Arturo si svelasse e la sua isola diventasse metafora. Mi sono chiesto cosa fosse un testo teatrale e cosa invece non lo fosse, a cosa fosse proibito essere teatro. Io non amo il teatro di narrazione, ma nutro un profondo rispetto per quello di parola e così ho cercato di portare lo spettatore nel romanzo con il piacere proprio e unico dell’atto intimo di leggere, nel silenzio intenso di una sala teatrale dove gomito a gomito ognuno avrebbe potuto bere le parole dalla propria immaginifica solitudine. Una bella avventura che mi ha insegnato molto. È un progetto che prima o poi mi piacerebbe riprendere.
I.G.: Prima hai nominato “Mario e il Mago” di Klaus Maria Brandauer. Parliamo di Cinema, hai recitato ne “La sindrome di Stendhal” di Dario Argento, ne “Il partigiano Johnny” di Guido Chiesa, in “Milonga” di Emidio Greco, cosa hanno rappresentato per te queste esperienze?
Maximilian Nisi: Mi sono affacciato al mondo del cinema timidamente. Durante i miei primi anni di tournée mi sono trovato spesso a malincuore a dire di no a film, a registi e a ruoli di tutto rispetto. Non ho mai voluto rompere dei contratti di lavoro, non mi è mai piaciuto farlo. Forse ho sbagliato, ma non mi sono mai pentito, ho semplicemente scelto di essere coerente con le mie scelte. E così mi è capitato di prender parte, con partecipazioni più o meno significative, in giorni di riposo, a progetti come quelli che menzioni ma nulla di più. Oggi il cinema italiano è pigro, superficiale e anche un po’ ripetitivo. Peccato. Eravamo un esempio nel mondo fino a qualche anno fa, emulati e copiati. Oggi emuliamo e copiamo. Vado spesso al cinema come spettatore perché riesce ancora ad emozionarmi. Mi piacerebbe farlo come attore, ma a grandi livelli, in ruoli affascinanti, diretto da maestri e in soggetti necessari. Forse chiedo troppo.
I.G.: Sul tuo modo di vedere il rapporto tra attore e personaggio cosa puoi dirci?
Maximilian Nisi: Credo che i personaggi siano “oltre” noi e che vivano in un luogo a volte vicino, a volte lontanissimo. Sta a noi, interpreti, capire dove si trovi quel luogo e compiere ogni volta un percorso più o meno lungo per arrivare fin lì. Il lavoro dell’attore è un lavoro creativo, questo vuol dire (credo) che, per svolgerlo senza tradirlo, si deve creare e non replicare, proponendo un personaggio il più possibile nuovo, ogni volta, considerando relazioni, situazioni e condizioni che non possono essere sempre familiari all’attore che lo interpreta. Una volta che il processo di creazione del personaggio sarà compiuto rimarrà da stabilire il modo in cui i nostri mezzi, per raccontarlo, dovranno essere utilizzati, se il punto di partenza sarà lo stesso questi diversamente andranno calibrati a seconda delle necessità. Bisognerà stabilire gli spazi in cui quel determinato personaggio agirà, un set cinematografico o uno studio televisivo, un piccolo teatro o un teatro medio o un teatro molto grande richiederanno un uso dei mezzi differente. Se di fronte ad una telecamera un respiro mozzato o una contrazione del volto può essere sufficiente per raccontare uno stato di paura in un teatro medio dovremo rincarare la dose. Il punto di partenza – interno – sarà lo stesso ma i mezzi che metteremo a disposizione per raccontare quel preciso stato d’animo dovranno essere amplificati. Utilizzeremo il corpo e la voce, misurandoli con lo ‘spazio da riempire’, li adegueremo. C’è oggi un grande fraintendimento su quello che sia la buona recitazione e quello che non lo sia. Un attore o è bravo o non lo è, o è credibile oppure no. Non esiste un attore ‘troppo teatrale’, esiste un attore poco capace di calibrare i suoi mezzi espressivi e di misurare correttamente gli spazi modulando il proprio corpo e la propria voce a seconda delle necessità.
I.G.: Progetti futuri?
Maximilian Nisi: Potrei parlarti degli spettacoli che ho fatto in questi anni che nel bene o nel male sono stati per me tutti (nessuno escluso) significativi e necessari oppure raccontarti di quelli che sto portando in giro in questi mesi, di cui però, a pensarci bene, ho già ampiamente parlato. Ti dirò allora dello spettacolo che “vorrei”. Della messa in scena di un testo bello, denso, avvincente, ricco, non del solito titolo stra-conosciuto, stra-visitato per agevolare la vendita. Uno spettacolo diretto per davvero da un regista che molto ha da raccontare e recitare accanto a degli attori di talento, nessun nome necessariamente legato alla tv per strizzare l’occhio al grande pubblico. Solo gente seria, gente di parola, gente che realmente sa far bene il suo mestiere. Vorrei sentirmi bene in una grande compagnia, lontano da dinamiche piccole, sterili, autolesionistiche ed infide e lavorare con impegno, con passione divertendomi nel vedere il pubblico entusiasta divertirsi. Fare Cultura in un paese dove la Cultura ha il suo peso e vedere attori, musicisti, ballerini, coreografi, costumisti, scenografi, tecnici uniti da un unico obiettivo: fare non per fare ma per far bene, con il cuore, con la mente e con amore. Insomma, vorrei un teatro coraggioso.
Written by Irene Gianeselli
Photo by Aldo Giarelli