Intervista di Raffaele Lazzaroni agli Horror Vacui: vi presentiamo il nuovo singolo “Leggimi le mani”
Qualche tempo fa Federico Benetello (*1993), stimato amico e collega del DAMS patavino, mi spamma in chat privata un videoclip di propria fattura, in cui lo scopro duettare con un certo Giovanni Castello (*1996), il primo alla voce, il secondo al pianoforte.
È stato questo il primo contatto che ho ingaggiato con gli Horror Vacui: un fulmine a ciel sereno, mi stupisco realmente, arrivo a commuovermi, a scoprire la pelle d’oca sotto il maglione. Due ragazzi che al loro battesimo mediatico prorompono con una convinzione invidiabile da molti affermati “signori” della canzone italiana contemporanea: l’uno schiettamente ispirato nella resa della forza evocativa del testo, costruito per accostamenti, si può azzardare, quasi simbolisti, mistero per il loro stesso autore; l’altro naturalmente sensibile alle trame musicali al punto di discostarsi dalle imperanti ed insoddisfacenti soluzioni in equilibrio instabile fra pop e minimalismo, per abbracciare invece un fraseggio più mobile e fantasioso.
Tempo neanche due settimane, giusto le giornate necessarie a digerire lo scossone provocato dall’Academy hollywoodiana, e si organizza un pranzetto alla Fenice, bar caratteristico ed accogliente situato nei pressi di Palazzo Maldura, a Padova. Introducendoci ad una chiacchierata di cortesia, diamo il via sin dall’inizio a “una cosa sinestetica”, come ha acutamente notato il mio compagno di corsi: panino con cotoletta (ordinato dal sottoscritto), verdure grigliate, mozzarella affumicata e mortadella (Federico), rucola, formaggio e cotto (Giovanni).
Il sottoscritto può vantarsi di essere la prima persona che Federico ha conosciuto in università, e le circostanze sono curiose: mi ha visto incazzato di fronte al “box office” (ovvero il bunker trasparente della segreteria di Palazzo Liviano) mentre gesticolavo innervosito dal primo di una lunga serie di tradimenti o, ricorrendo a toni più moderati, inefficienze da parte del “leviatano accademico”, che ospita “gente che sembra cazzona, per poi rivelarsi molto macinata”, parole sempre del mio beniamino prediletto.
Sono trascorsi più di due anni, ho imparato a scovarne i lati più kitsch e sofisticati, a studiarne l’ironia esondante, ad ammirarne la capacità di rendere le proprie giornate copioni incompiuti di una sceneggiatura senza censure né freni. Adesso lo riscopro poeta e cantante, capace di contagiare con la propria estrosa ilarità (frequenti sono state le risate incontenibili durante il nostro rendez-vous) anche un pianista dalla ricercata creatività quale si dimostra Giovanni.
Fianco a fianco, hanno avviato una fertile cooperazione artistica che ha portato alla luce molte più composizioni di quelle udibili su YouTube, su Facebook o altre piattaforme appartenenti all’alveo del digital store (Spotify, iTunes, Google Play), in questi mesi soggette a ripescaggi, rielaborazioni, promozioni e, finalmente, anche a qualche piccolo prezioso successo. Una volta approdati in studio di registrazione per la BD Records di Rubano (PD), il giovane duo ha deciso di donarsi un volto ufficiale in ragione del crescente numero di ammiratori sconosciuti: Federico stesso ha saggiato le proprie doti storyboarder, le quali hanno portato il sottoscritto ad apprezzare il video musicale dedicato al singolo “Leggimi le mani”.
Quello che segue è un veridico estratto della conversazione prandiale di cui sopra, piccolo simposio con tanto di pseudo-Alcibiade in coda, per il quale ho deciso di mantenere pure quegli incorsi nello linguaggio colloquiale, talvolta scollacciato, che contribuiscono a restituire un ritratto degli Horror Vacui persone comuni, amici prima che virtuosi. Il sapore che ne deriva tenta, forse bruciato in partenza, di riprodurre quel gusto irresistibile che il dialogo (sconfinante, si vedrà, nel vero e proprio spettacolo d’improvvisazione), l’inflessione di una voce dalle mille risorse elargiscono a chi, fortunato, ascolta dal vivo.
R. L.: Da dove saltate fuori?
Federico Benetello: Io e lui non ci eravamo mai visti. Una sera che ero inviato in giro, tornando in treno lo noto e comincio a realizzare che potesse essere un personaggio interessante in relazione a quello che volevo fare. Quel giorno tra l’altro avevo scritto una poesia nella copertina interna di un quaderno; e insomma tra una presa per il culo e l’altra vien fuori che suona e che magari avremmo potuto metterci a fare delle canzoni insieme. Così gli dico “vabbè, senti”, e intanto gli lascio giù una mia poesia incomprensibile di cui lui si ricorda solo “cinghiale a quattro zampe”… no “a cinque zampe”, o forse “otto”. Un’altra sera vado a casa sua, è tardi, il piano in sordina, e nasce “La pietra e l’orma”, alla quale sono parecchio affezionato.
Giovanni Castello: Quando mi aveva mandato la poesia, ho provato ad andare al pianoforte, finendo per accarezzare l’idea di togliermi di dosso Federico, che artisticamente non mi sembrava affatto un grande musicista. Però la prima volta che ci siamo trovati… Questo non lo sai forse!
Federico Benetello: No! Non l’ho saputo fino ad adesso…
Giovanni Castello: Prima mi son detto “non andremo da nessuna parte, non mi ispira, non mi prende”: e invece è nato qualcosa di concreto, mi sono incuriosito. Di lì è stata una crescita continua, ho conosciuto veramente Federico e ho capito come fa “l’arte”.
R. L.: Il luogo dell’appuntamento?
Giovanni Castello: Casa mia, a Sant’Elena.
R. L.: Quella di Napoleone?
Federico Benetello: No, purtroppo no, o per fortuna! Eravamo nella stanza dello “spirito del tempo”, la sua saletta musicale…
Giovanni Castello: Io ho una stanza dedicata solo alla musica, lì scriviamo. C’è il pianoforte, la chitarra, il computer, la luce seria, la luce non seria…
R. L.: Tu hai studiato pianoforte?
Giovanni Castello: Privatamente in principio, poi ho provato il conservatorio per due mesi, passando quindi a una scuola di musica moderna che frequento tutt’ora. E là insegno (le basi del piano, a un’allieva sola) e studio. Sono sempre stato appassionato di musica, mio padre mi ha trasmesso tutto quello che aveva.
R. L.: Tu invece Fede sei l’outsider?
Federico Benetello: Io la musica la sento ma non la conosco. C’è chi fa e chi studia: avrei paura, studiando, di perdere l’attitudine, lo slancio, l’ispirazione. Comunque, per tornare al discorso: io e Giovanni ci siam gasati, abbiamo cominciato a registrare (noi abbiamo la fissa di registrarci)…
R. L.: Componevi già da prima di incontrare Federico?
Giovanni Castello: Sì, solo canzoni però, niente musica strumentale. Muovendo i primi passi, anche nella scrittura dei testi, mi rendevo conto di cadere spesso nelle banalità, negli stereotipi, nei luoghi comuni. Lui adesso è la mia sicurezza, la mia determinazione. Sai, ho notato il nostro potenziale quando abbiamo ripreso in mano le canzoni che avevamo già scritto per prepararci al primo concerto. Ci siamo sentiti e ci sentiamo tuttora reciprocamente attratti perché quel che non sa fare uno lo sa l’altro e viceversa.
R. L.: Vi influenzate reciprocamente quindi.
Federico Benetello: Ne abbiamo provate di tutti i colori. A partire da una mia melodia abbiamo costruito un pezzo, poi Giovanni da quel pezzo ricavava l’intro e la strofa, oppure io adattavo le parole ad un’idea tutta sua; arrivati al bridge la variazione può essere dell’uno o dell’altro… Le nostre canzoni sono dei collage.
Giovanni Castello: Alle volte è toccato a me dover accettare un compromesso, a stare dietro alle sue intuizioni. In altri casi il contrario: dalle difficoltà che incontriamo nasce la nostra creatività.
R. L.: Quante canzoni avete scritto finora?
Federico Benetello: Più di 20.
Giovanni Castello: Cosa son per te 20 canzoni?
Federico Benetello: Per me son sempre poche.
Giovanni Castello: Ed è difficile starti dietro!
Federico Benetello: In realtà subito dopo esserci conosciuti abbiamo avuto un boom, ma si trattava di canzoni d’approccio: se le ascolto ora mi fanno venire certi dubbi… È sintomo di miglioramento, sono molto autocritico! E ho bisogno dell’approvazione degli altri. Mi domando se ci sia arte nel momento in cui nessuno viene a contatto con quello che fai.
R. L.: Voi per chi fate musica?
Federico Benetello: Per chiunque, per il maggior numero di persone, anche per crearmi un pubblico…
Giovanni Castello: Prima per me stesso, e poi per chi ci vuole ascoltare.
Federico Benetello: Ho scritto in camera sull’armadio con l’indelebile: “A chi stai parlando?”. Una domandona!
Giovanni Castello: È una domandissima… ma ci sta.
R. L.: La vostra carriera pubblica?
Federico Benetello: Abbiamo cominciato ad avere i primi riscontri con il “pubblico” facendo ascoltare le registrazioni, condividendole magari su Whatsapp, per sentire cosa ne pensassero gli amici, i conoscenti. Numerosi gli apprezzamenti, qualche indifferenza, poche critiche (gli haters sono da avere quando sei famoso)! Il primo live lo abbiamo tenuto a Vigonza, in un piccolo pub, un’osteria, un’enoteca tipo: io ero agitatissimo, non mi ero mai esibito e l’intera serata era sulle nostre spalle.
Giovanni Castello: È un grande Federico a procurarsi date. Quest’estate infatti vorrei…
Federico Benetello: No beh ma anche lui è bravo a procurarsi date! A chi viene l’embolo, parte!
Giovanni Castello: Ecco adesso, dopo “Leggimi le mani”, sarei molto curioso di vedere chi viene ad ascoltarci.
Federico Benetello: Abbiamo dato un taglio a quello che facciamo. La gente, credo, è impossibile che ci guardi con gli occhi di prima, anche se è una “cazzata”.
R. L.: Quest’ultima canzone com’è nata?
Federico Benetello: Non è l’ultima canzone in realtà. È da un po’ che l’abbiamo partorita, abbiamo fatto in tempo a goderci le vacanze estive e ad odiarla.
R. L.: Quanto ha quindi?
Giovanni Castello: Uuuh… sei mesi?
Federico Benetello: Io ricordo che l’ho scritta d’estate mentre sistemavo la camera. Il bridge almeno: “…e stanca di guardare il cellulare…”. Devo dire che da “Leggimi le mani” in poi le canzoni che abbiamo fatto mi sono piaciute quasi tutte. Siamo più raffinati, meno sperimentali in un certo senso.
Giovanni Castello: Sono d’accordo. Abbiamo cambiato l’intenzione nello scrivere.
Federico Benetello: Spero non capiti che torniamo a scrivere come prima. Cioè, io amo le ultime canzoni quanto le prime, solo che hanno un timbro differente.
R. L.: La forma adesso è abbastanza autoriale…
Federico Benetello: Ci siamo accorti che tornando, in studio, su quanto avevamo già creato, lo pompavamo, valorizzavamo la struttura con soluzioni aggiuntive…
Giovanni Castello: Vado due secondi in bagno. Dillo eh!
Federico Benetello: … lo studio manifesta tanti pregi. Ha una doppia faccia, l’ho notato subito: il suono è talmente pulito, preciso e sensibile che è facilissimo sbagliare. Sentire la propria voce così sobria e intima, con tutti i suoni gutturali, i respiri in cuffia, la pronuncia, che allo stesso tempo hanno del gran potenziale e possono sporcare la registrazione… Si è in bilico fra sensibilità ed errore: io vado a lezione di canto, ma non così assiduamente. Dovrei lavorarci maggiormente. Non penso di essere un grande cantante, anche se la gente mi dice che ho una bella voce. Dentro di me sento di essere più uno sfigato pazzesco! Però forse “vado bene” per far canzoni mie.
R. L.: L’ispirazione dei testi?
Federico Benetello: È una magia. Diciamolo, qualcosa è venuto fuori dal DAMS, una facoltà che ti dà un sacco di stimoli, filosofici e artistici: sentire le fortune e le sfortune dei vari artisti, mi affascinano queste cose. Poi l’esperienza, da cui è impossibile esulare. Anche i ricordi, naturalmente, delle immagini poetiche che ho dentro, le quali possono anche non c’entrare nulla con la canzone, ma se legate fra loro confluiscono in qualche bella metafora, che magari traviso io per primo. Cerco insomma di dare un senso a questa melassa interiore che ho.
R. L.: Questa è anche la storia “Leggimi le mani”?
Federico Benetello: Una sera, nel pub in cui lavoro nei weekend, è venuto un tipo che ha letto le mani a tutti, anche a me: l’ho accolto a braccia aperte, mi piaceva un sacco, e non ho ascoltato quello che diceva in sé, mi sono fatto trasportare da quello che diceva, volevo vedere… neanche se ci imbroccava o meno, era la sua arte! Lo guardavo mentre si esibiva nel suo spettacolo. “Leggimi le mani”, è anche bello da dire! E così ho abbinato questo fatto ad altri concetti di cui volevo parlare.
R. L.: Ma c’è stato un lutto…?
Federico Benetello: Questo sì, è successo. Ho collegato questa storia e il modo in cui l’ho vissuta alla scelta di mettere in bocca alla persona che ha patito questo dolore una frase, un grido che è una richiesta al cielo, a un qualcuno che le dica quale sarà il suo destino.
Giovanni Castello: Scusa, ma qual è stato il link fra Anna e “Leggimi le mani”?
Federico Benetello: È un fatto esoterico, non saprei spiegartelo. Io percepisco il valore delle metafore che mi vengono in mente. Prima ho vissuto la morte, l’avevo metabolizzata e mi sono cimentato in uno sforzo di immedesimazione… Solo molto tempo dopo è arrivata quella sera al pub.
Giovanni Castello: Ma prima che ti leggessero le mani, avevi già riflettuto sul riversare in una canzone quello che ti era accaduto con Anna?
Federico Benetello: Assolutamente. Se ho qualcosa da levarmi dalla testa, tutto quello che vivo cerco di farlo confluire in quella direzione. Questo accade grazie alla costanza nel vedere il mondo con quel filtro, finché non finisco, facendomi influenzare dall’esperienza fino a quando sento che possa c’entrare con lo scopo che mi sono posto. Per esempio, quando finiamo una canzone, c’ho delle giornate in cui se non ne cominciamo un’altra, non so a cosa appigliarmi, e allora mi sento vuoto. Adesso invece ho una nuova canzone, un cantiere aperto…
Giovanni Castello: … quella canzone che dobbiamo fare?!
Federico Benetello: … stai scherzando?
Giovanni Castello: Nooo non ci credo! Credevo avessi in testa “Superluna”!
Federico Benetello: Nooo, ma va’! Che cazzo me ne frega di “Superluna”? Ti spiego: noi adesso stiamo registrando questo pezzo (“Superluna”) in studio con tutta la band, e sto pensando anche al video da costruirci attorno. Una canzone dalle sonorità rock, bellissima credo, uno dei testi migliori che mi sono usciti.
Giovanni Castello: Se deve essere un’esplosione, questa è la canzone giusta, la sento in testa, la sento dentro… Ad oggi “Leggimi le mani” è un caso chiuso, la amo ma ormai sto solo pensando a pubblicizzarla.
R. L.: A livello musicale com’è nata?
Giovanni Castello: Non mi aspettavo venisse così “prelibata”. Quando ho capito su cosa puntare nella strofa, mi son detto: “qua è meglio lasciar parlare Federico, stiamo leggeri, non siamo invadenti con gli accordi”. C’è al massimo un “assolino”, nulla più. Lo stampo dell’arrangiamento è imponente, un po’ dark, così lo volevo e mi sono lasciato andare. La melodia del ritornello l’ho suggerita io, gravitante attorno una nota più acuta di quanto Federico avesse immaginato: il tono, altrimenti, non si sarebbe differenziato abbastanza da quello usato nella strofa. Poi è nato il bridge… la struttura è questa.
R. L.: Riconosci qualche influenza particolare nel tuo stile?
Giovanni Castello: Tento sempre di essere particolare. Non aspiro tanto ai risultati raggiunti dagli artisti che stimo, anche se questi rimangono sempre dei punti di riferimento. Io collego spesso le nostre canzoni a un autore specifico, “Leggimi le mani” mi fa pensare a “Ho visto Nina volare” di Fabrizio De André: nell’intro si assomigliano dal punto di vista melodico e da lì è partita l’ispirazione. Tuttavia “Leggimi le mani” non è assolutamente una canzone alla De André.
R. L.: Nella composizione non vai ossequiando delle regole precise: segui il suo sgorgare…?
Giovanni Castello: Lo seguo, anche se comunque fisso dei paletti, soprattutto nella scelta di quale accompagnamento e poi quale arrangiamento approntare: mi domando “come verrebbe con un djembe e un basso, con un violino o altro?”. Non scrivendo su carta o al pc, mi sento fuori luogo quando mi definiscono “compositore”: sono un artista magari, ma più disadattato forse. Per “Leggimi le mani”, esperienza fighissima, va detto, ho suonato tutti gli strumenti che sono previsti dall’arrangiamento e che ci ha personalmente messo a disposizione il nostro produttore Davide Bordin, studiandone le diverse sonorità. In futuro andremo a chiamare altre conoscenze. Peraltro la registrazione costituiva il premio più sostanzioso ad un contest al quale avevamo partecipato semplicemente per farci notare. Abbiamo vinto, dando così anche a Davide la possibilità di spiccare.
R. L.: Quanto tempo avete trascorso in studio?
Giovanni Castello: 5/6 giorni, trovandoci a scaglie. Avevamo bisogno di costruire l’arrangiamento, non mi volevo accontentare del solo pianoforte. Ho anche avuto la fortuna di trovare un produttore che mi desse molta libertà.
R. L.: Chi vi ha aiutato col video, invece?
Federico Benetello: Sempre Davide, che si è occupato delle riprese e della postproduzione; il montaggio lo abbiamo curato assieme, lui è anche riuscito ad omogeneizzare le tinte della fotografia come io mai avrei saputo fare ora come ora.
Giovanni Castello: Una fatica quasi quanto scrivere la canzone stessa, un’ottima palestra!
Federico Benetello: Nel video poi compare un mio amico danzatore, Samuele Barbetta, che balla di tutto, e da buon fan di “Leggimi le mani” ha accettato volentieri di collaborare ideando una coreografia anche su un semplice solo di piano, accanto alla sua ragazza, Anna Gobbi. Personalmente ho anche insistito perché fossero i protagonisti di alcune micro-sequenzine in interni ed esterni. Che freddo che faceva la mattina che abbiamo girato al cimitero, aveva ghiacciato, sembrava stesse per nevicare! Ora stiamo pensando a sponsorizzare ulteriormente “Leggimi le mani”, e contemporaneamente immagino il video di “Superluna”. Sto contattando tipo l’Anfiteatro del Venda, sui Colli Euganei. Avevo pensato di mettere in fila 15-20 amici miei (ho fatto le prove col metro delle frasi), filmarli in primo piano di tre quarti, una sequenza di teste che cantano, ovviamente in ordine crescente o decrescente, altrimenti otterremmo una forma sinusoidale. Poi, sicuramente 6 o 7 fighe, pescate dal DAMS perché ci stanno, e anche perché partecipando in prima persona potrebbero aiutarci con la distribuzione!
[Irrompe nella scena Il Manager]
Giovanni Castello: Hooouuu! Ciao!
Federico Benetello: Ah, lui è il nostro manager.
Il Manager: Ciao, piacere. Facciamo tutto l’elenco: manager, producer, social media manager, consulente dell’immagine, critico del suono…
R. L.: Domanda di rito: il significato del vostro nome?
Federico Benetello: L’horror vacui non sapevo cosa fosse prima di un anno e mezzo fa. Un giorno presentiamo le nostre canzoni alla mia insegnante di canto, la quale ci dice che abbiamo appunto dell’horror vacui nel modo di comporre: siamo pieni di contenuti, tante note e tanto testo. E “Horror Vacui” diveniva così un ottimo candidato: prima di tutto ha un significato positivo per noi, in quanto riflette il nostro stile compositivo. Magari non ci convince al 1000‰… ma senza dubbio ci rappresenta molto.
Giovanni Castello: … una volta da lesi ci siamo detti che potevamo chiamarci “Il giardino degli elfi”.
Federico Benetello: Era il nome di una tisana che avevo in casa. Lo vedo come uno “stargate”, una barriera su cui digitare qualcos’altro: i nomi non valgono di per sé, servono solo per identificare qualcosa. È un vaso, quindi… è importante quello che c’è dentro, insomma, vaffanculo…
[Federico, sentendosi appellare “coniglietto”, “aggredisce” la bella Sara che stava ad ascoltarci da una decina di minuti; viene prontamente “minacciato” di ricevere un calcio in muso; risa generali]
Federico Benetello: A parte gli scherzi, dì pure qualcosa di tuo sugli Horror Vacui…
Il Manager: Scherzi a parte, il ruolo che mi sono trovato a svolgere quasi per caso, per divertimento inizialmente, era di fungere da collante; mi son subito trovato bene, vedo di buon grado queste attività, queste nuove formazioni. E poi sento che c’è del talento. Quindi, da buon economista, quando vedo che si profila un affare interessante (non necessariamente sul piano economico… anche perché finora non c’ho guadagnato nulla)… capisco che posso investire il mio tempo, perché si meritano molto, al di là del mio esiguo contributo.
Giovanni Castello: … hai tutta la lingua marrone.
Il Manager: Avrò leccato merda, cosa vuoi che ti dica?
[Delucidazione che chi scrive preferisce mantenere oscura]
Federico Benetello: Aaah, è una metafora!
Il Manager: Che battutona! … vabbè allora ho finito, ciao. Era un discorso serio. Che scherzo del cazzo è? … stavo dicendo che, in realtà, questa collaborazione è partita un po’ come un’avventura: ai primi live facevo il tecnico del suono…
[Cade il microfono, Federico simula un ******* al passaggio della “persona dal lessico più completo” che conosca]
Written by Raffaele Lazzaroni
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