Uomini contro il Femminicidio #3: le parole che cambiano il mondo con Vincenzo Restivo
Le parole cambiano il mondo. Attraversano spazio e tempo, sedimentandosi e divenendo cemento sterile o campo arato e fertile.
Per dare loro il massimo della potenza espressiva e comunicativa, ho scelto di contattare, per una serie di interviste, vari Uomini che si sono distinti nella lotta contro la discriminazione e la violenza di genere e nella promozione della parità fra i sessi.
Ho chiesto loro, semplicemente, di commentare poche parole, che qui seguono, nel modo in cui, liberamente, ritenevano opportuno farlo.
A continuare la rubrica “contro il femminicidio”, iniziata nel 2016 con “Donne contro il Femminicidio“, gli Uomini.
Oggi ho invitato Vincenzo Restivo, giovane autore di libri a tematica Lgbt e insegnante di lingue e letterature straniere. Da tempo attivista per i diritti degli omosessuali tramite l’associazione RAIN arcigay Caserta.
Femmina
Le parole hanno un potere immenso. Danno dimensione alle cose, le plasmano, le etichettano. Nel bene e nel male. La storia ci ha insegnato che spesso, nostro malgrado, di etichette ne abbiamo bisogno per quell’intrinseca esigenza di comprendere a ogni costo, di dare un valore oggettivo idealistico.
Femmina entra in quel discorso oggettivistico che non potrebbe esistere, almeno per quel che riguarda l’ideale di femmina costruita nel coso del tempo da una storia, ahimè, che ha sempre fatto i conti con un’impostazione strettamente maschilista. Certe parole hanno una semantica troppo radicata, sebbene possano adattarsi a pragmatismi differenti. E le radici, quando sono troppo in fondo, sono sempre troppo difficili da sradicare.
Femminismo
È rivoluzione e ogni rivoluzione conduce a un cambiamento indispensabile. Le lotte femministe come qualunque tipo di altre lotte a favore di diritti negati e parità degli stessi, hanno segnato la fine di un’era e l’inizio di una nuova con altri tipi di consapevolezze e propositi. Le lotte per l’emancipazione femminile portano in sé un grido di ribellione viscerale che smaschera lo scherno umiliante della sottomissione costretta, getta i semi per germogli nuovi, su terreni che fin a quel momento avevano ospitato solo uomini dal pugno di ferro e donne soggiogate ai loro voleri.
La donna “si emancipa”. Sebbene non ami il termine, c’è qui una connotazione alquanto propositiva e inducente: emancipa il suo modo di affrontare il mondo, un mondo che fin a ora non le permetteva di scrivere d’erotismo, di indossare pantaloni, bere, fumare, sputare per terra, definirsi lesbica, fare sesso con chi e quanto volesse. Sembra paradossale per chi di empatia non n’è privo, ma certe rivoluzioni servono.
Si rimanda anche stavolta a un discorso semantico fatto di significati e a uno sintattico e morfologico di prefissi e affissi e via discorrendo. E da linguista non potrebbe essere altrimenti. Femminicidio: l’imposizione violenta di privare una femmina della propria vita. Etichettare finanche un atto tanto terribile come l’omicidio è ciò di cui la nostra realtà ha bisogno per contestualizzare certe minacce. In antropologia del linguaggio le etichette rimandano a un’esigenza occlusiva di comprensione. Che io sia d’accordo o meno sulla terminologia in uso, poco importa: non sono d’accordo ma questo era chiaro già a priori. Tuttavia, per quanto insensato, in una realtà dove certe classificazioni sono di sprono alla condiscendenza, distinguere anche l’omicidio per genere è, ahimè ancora indispensabile.
Educazione sentimentale
Vuol dire educare all’empatia, all’accoglienza dell’altro e all’accettazione di dinamiche che scindono, inevitabilmente da un “voler capire per forza”. Educare al sentimento significa rispettare la diversità dell’altro, della sua mente, del suo corpo, delle sue abitudini, delle sue esigenze e fare in modo che l’altro faccia lo stesso.
Written by Emma Fenu
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