“Il grande zoo” della band veneta Capobranco: la giungla umana che appare ai loro occhi

Giungono al secondo lavoro, “Il grande zoo“, i Capobranco, combo formato da Alex Boscaro (chitarra e voce), Valerio Nalini (basso e voce) e Enrico Carugno (batteria), dopo un intenso calendario live che li ha portati a suonare anche oltre confine italico, per la precisione nelle meravigliose Isole Canarie.

Il grande zoo

Per questo nuovo, intrigante capitolo la band padovana si affida alle sapienti ed esperte mani di Cristopher Bacco, vero e proprio guru della produzione che riesce egregiamente nell’intento di far risaltare quel tipico groove energico che da più di un decennio regala grandi emozioni al popolo musicale.

Il loro sound è caratterizzato da una forte base funk che ci inonda sin dalle prime note, grande impatto che a tratti li riconduce verso i periodi migliori dei Red Hot Chili Peppers; questo fuoriesce dalla prima canzone Benvenuti nel grande zoo ed è chiaro fin da subito il messaggio che mandano all’ascoltatore, la giungla umana che appare ai loro occhi.

Nella successiva Miele di vespa si vira su territori più dolci e romantici delle liriche, con chitarre armonicamente più melodiche che privano il brano di quella vena funk che dava ritmo, ma è solo una breve pausa poiché già con Citazioni si torna a ballare con una sei corde in stile Frusciante & Co. linda come il sedere di un bambino, anche se la voce ricorda molto il periodo Spirito dei mai dimenticati Litfiba.

Il rock è fuori moda, singolo e pezzo trascinante dell’intero album, risulta essere una critica verso il mondo discografico così volubile e attratto dalle nuove mode.

I Capobranco se ne fregano e proseguono per la loro strada, questo è quello che mi hanno trasmesso, il vero tema, il reale senso del disco: suonare quel che si vuole infischiandosene di ciò che oggi appare come cool o figo.

Capobranco

E poi le mode si sa, sono cicliche e se oggigiorno sono synth acidi, pop psichedelico, R&B e soul profumati a sculettare in passerella, domani il panorama potrebbe mutare completamente.

Bellissimo l’incedere chitarristico de La solitudine di un fonico, simpatico e ironico il testo cantato in stile Negrita, trascinante e appiccicoso all’orecchio come una colla fortissima.

A chiusura del disco ecco palesarsi Ad un tratto, blues vecchio stile ma con un cantato veramente azzeccato, armonicamente ineccepibile, finale spiazzante ma molto incisivo, forse la mia preferita.

Definire questo lavoro come moderno e all’avanguardia è sicuramente una grande bugia, acclamarlo come vivo, reale e sincero è una profonda ed onestissima verità. In quanti saranno senza puzza sotto il naso? Non importa, evviva l’onestà.

Written by Andrea Roddi

 

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