“Confessioni di un peccatore eletto” di James Hogg: una nuova edizione per il capolavoro dello scrittore scozzese
“Ricordo più che altro una gran confusione riguardo ai miei peccati e ai miei pentimenti, non sapendo nemmeno da che parte cominciare, e avevo spesso una gran paura di non essere in Cristo, e che Dio sarebbe stato per me un fuoco divoratore. Non potevo impedirmi di commettere sempre nuovi peccati, ma in famiglia non mancavano mai di trattarmi con clemenza, infliggendomi, ogniqualvolta le mie malefatte venivano scoperte, una punizione corporale che mi faceva pentire con tutto il cuore.”
Il 3 novembre 2016 la casa editrice Beat Edizioni ha dato alle stampe una nuova edizione di “Confessioni di un peccatore eletto”, il principale romanzo dello scrittore e poeta scozzese James Hogg (1770-1835).
Come sempre, quando ci si trova davanti ad un grande classico, ci si chiede in quale filone letterario sia possibile collocarlo. A ben dire, identificare qui un genere non è facile, poiché alle atmosfere “gotiche”, tipiche del “noir”, si deve aggiungere anche un protagonista tormentato, che necessita d’introspezione.
Il romanzo, scritto nel 1824, viene spesso citato quale fonte d’ispirazione per “Lo strano caso del dottor Jekyll e del signor Hyde” di Robert Louis Stevenson.
All’epoca, l’opera conosciuta anche come “Confessioni di un peccatore impeccabile” non ebbe successo, fino a quando non venne riscoperta, a distanza di molto tempo, dallo scrittore francese André Gide.
La trama è ambientata verso la fine del XVII secolo, nella tenuta di Dalcastle, in Scozia. Il protagonista è Robert Wringhim, figlio minore dell’ultimo discendente di una famiglia di proprietari terrieri, i Colwan, che viene rifiutato dal padre e allevato dalla madre in un clima di fanatismo religioso.
Il bimbo, ripudiato quindi dal “laid” – il termine con cui si definiva in Scozia il proprietario terriero –, viene riconosciuto invece dal pastore calvinista Mr Wringhim, il “reverendo” che frequenta in maniera assidua la madre e che, impietosito, gli dà il suo cognome.
È qui che si fa strada la pericolosa tematica della “dottrina della predestinazione”, che inculcherà nel malcapitato l’idea di essere un “eletto di Dio”, e che quindi potrà anche macchiarsi di gravi colpe senza mai perdere la grazia.
L’idolatria del padre putativo viene dunque trasmessa anche al figlio, la cui vita viene sconvolta dall’incontro con un misterioso personaggio, Gil-Martin, in cui si può leggere uno sdoppiamento della personalità dello stesso Robert, oppure la personificazione del male.
Cresciuto coltivando l’odio per il fratello George, rimasto a vivere tranquillo nella tenuta di Dalcastle, Robert inizia a delirare. E compie una serie di azioni punitive nei confronti di chi ritiene essere “peccatore”, che porteranno all’uccisione dello stesso fratello maggiore, con conseguente pentimento e suicidio finale.
In apparenza, si tratta di una storia semplice, ma la genialità dell’autore sta nel modo in cui è concepita. Un “metaromanzo”, come si suol dire, ovvero un romanzo nel romanzo. Era usanza dell’epoca ricercare un “espediente” per poter narrare una storia: qui l’opera viene trattata come fosse un manoscritto, ritrovato nella tomba di un suicida.
Quindi, nella prima parte parla l’editore del manoscritto, che si definisce “narratore”. Il corpo centrale costituisce il manoscritto vero e proprio, per cui si leggono le parole stesse del protagonista; mentre nella terza vi è la descrizione dell’esumazione della salma e di come questo manoscritto sia stato ritrovato.
Le tre parti, ovvio, portano elementi discordanti, circa l’omicidio del fratello George, ma ciascuna di esse aggiunge nuovi tasselli all’accaduto. La prosa, attraverso cui l’autore si esprime, è semplice e mai tediosa – volta più all’azione che alla descrizione, rispetto ai parametri dell’epoca.
James Hogg riesce ad essere ironico riguardo agli usi e costumi del periodo, e la sua opera diventa una satira sui paradossi della fede.
La duplicità dell’animo umano porta però con sé sempre qualcosa d’inquietante, che certo non sfuggirà al lettore; così come il suo farsi macabro, nell’ultima parte, quasi se di colpo lo scrittore avesse voluto mettere di fronte l’amara verità che accomuna tutti.
Written by Cristina Biolcati