“La gentilezza” di Polly Samson: alla ricerca di un paradiso perduto oltre le finestre del quotidiano
“La gentilezza” è l’ultimo romanzo di Polly Samson, paroliera dei Pink Floyd e moglie del chitarrista David Gilmour. Presentato a Roma il 1 luglio, è edito nella collana UnoRosso della Parallelo45 Edizioni.
Viene dall’alto.
Chi? Dio, il Diavolo, il Fato?
Lo scopriremo, forse.
Ci sono uccelli che spiegano le ali, attraversando distese di cielo, che gracchiano in modo assordante, che sbattono sui vetri, che lasciano cadere piume.
Ci sono vespe capaci di uccidere.
Non passano inosservati: vogliono che si alzi la testa verso l’alto, verso ciò che un tempo fu nostro e nel tempo dell’infinito lo sarà di nuovo.
L’incipit del romanzo profuma delle selvagge carni di un falco e del guanto di pelle che impregna del proprio acre odore la mano di una donna vestita di rosso.
Il falco si chiama Lucifero, come l’angelo caduto, ma anche la prima stella del mattino. Non solo, l’animale viene storicamente identificato con Horus, dio egizio del cielo, che aveva il sole come occhio destro e la luna come occhio sinistro, quale sintesi perfetta del creato e del maschile e del femminile.
Siamo all’inizio o alla fine della vicenda narrata?
“Nella fine c’è l’inizio”.
Julian è un giovane uomo, bello e creativo. Dalla sua “enne” finale, come da una costola, nasce Julia, una donna di 8 anni più grande: i due si appartengono, sono una carne sola e il risultato del loro amore, tanto atteso, si chiama Mira Eliana che significa nel primo appellativo “miracolo”, dal latino mirus; nel secondo “figlia del sole”, per le radici greche, o “data di Dio”, per quelle ebraiche.
Non sfugge che la sillaba “lia” accomuna i tre nomi. La bambina si ammala e la storia inizia la sua danza di maschere, che si perdono fra acque, boschi, stanze, farmaci, alcol, erba, sonniferi, ricordi, sogni.
Polly Samson il tempo lo plasma. Lo allunga, lo dilata, lo accartoccia, lo fa rimbalzare come una palla inseguita da un cane. E noi talloniamo il ritmo di una storia che si svela piano, che fa un passo avanti e due piroette indietro, che è odore, sapore, colore, suono e pensiero, prima di divenire pagina scritta.
Lo stile rotola fra le figure retoriche, fra le citazioni implicite e talvolta troppo esplicite le quali sembrano urlare al lettore: “C’è Il paradiso perduto di Milton, qui. Lo vedi? Mi segui?”.
Il romanzo è scritto con una tale maestria e intensità espressiva e metaforica che nulla è lasciato al caso.
La parola “finestra” compare nel testo 51 volte, a cui si aggiungono le 24 volte di “finestre”: è chiaro l’invito a guardare oltre, oltre la trama, oltre le apparenze, oltre gli eventi.
La storia nasconde un segreto e ogni evento ha prospettive di lettura diverse, a seconda dei personaggi che lo vivono o del lettore che scansa la cortina di carta, perché nell’oltre narrativo siamo tutti inclusi.
Resta ora una parola, ancora in sospeso. Quella che dà il titolo al libro, ossia “gentilezza”, la quale compare solo due volte nel testo. Due volte dense a cui si aggiungono le 9 volte in cui viene citato il “gelsomino”, che, nel linguaggio dei fiori, la evoca simboleggiandola.
Le domande che qui seguiranno, invece, sono destinate a restare in sospeso.
Cosa è concesso fare per non nuocere?
Quanto un inganno è legittimabile?
Il paradiso è davvero perduto a causa di un peccato originale?
“Alla finestra, un gelsomino inghirlandava la vetrata a piombo…”: queste parole introducono l’ultimo periodo del romanzo. Dalle finestre si vede l’oltre, e l’oltre ha il profumo di un Dio che perdona, perché non tutto è perduto. Mai.
Written by Emma Fenu
Illustration by Serena Mandrici