“Canto di Natale” di Charles Dickens: un classico intramontabile per far rivivere la magia dello spirito natalizio
“Onorerò il Natale nel mio cuore, e cercherò di conservarmi in questo stato d’animo per tutto l’anno. Vivrò nel passato, nel presente e nel futuro, e i tre spiriti saranno sempre presenti in me. La lezione che mi hanno dato non sarà vana”.
“Canto di Natale” dell’inglese Charles Dickens (1812- 1870) è un classico della letteratura in grado di evocare la magia del Natale: di tutto ciò che è prezioso, tanto da dover essere a tutti i costi protetto. È una parabola sulla capacità dell’uomo di cambiare il proprio destino, nonché una riflessione sull’esistenza che comprende passato, presente e futuro.
Tale romanzo breve – oppure racconto lungo, scegliete voi – è altresì una denuncia dello sfruttamento minorile, tema tanto caro a Dickens. L’autore infatti ha conosciuto il tracollo economico del padre, finito in prigione per debiti; così come lo sfruttamento in fabbrica, ancora bambino, e i luoghi spaventosi in cui si annidava la miseria della Londra del periodo vittoriano.
Ma è soprattutto una favola, con in sé il potere di far commuovere e sognare, poiché conduce alle origini del nostro spirito del Natale e alla gioia di ritrovarsi bambini.
Il protagonista è il vecchio e avaro uomo d’affari Ebenezer Scrooge, socio ancora vivente della ditta Scrooge e Marley. Tale personaggio è passato alla storia anche per avere ispirato il personaggio di Paperon de’ Paperoni della Disney – il nome originale di quest’ultimo è infatti Uncle Scrooge.
Siamo a Londra ed è la notte di Natale. Scrooge, che odia da sempre questa festività reputandola un’inutile perdita di tempo, non si è mai sentito in dovere di festeggiarla. Annunciati dal fantasma del suo socio Marley, morto sette anni prima, il vecchio tirchio riceve la visita di tre spettri, i quali lo condurranno ad un vero e proprio cambiamento radicale.
Il primo è lo spettro dei Natali passati, che gli farà rivedere il luogo nel quale viveva da ragazzo, in completa solitudine e povertà. La sorella Fan dall’animo gentile e compassionevole, morta in giovane età; gli anni in cui egli era garzone di bottega presso Mr Fezziwig, un commerciante di buon cuore che gli permetteva di partecipare alle sue feste danzanti.
Il secondo è lo spettro del Natale presente, tramite il quale Scrooge potrà conoscere la numerosa famiglia del suo contabile, il signor Bob Cratchit, che ha sempre trattato in maniera disumana. Nonostante le difficoltà economiche, l’uomo è circondato da un clima festoso e felice. Così come a festeggiare il Natale in famiglia è anche l’affettuoso nipote Fred, l’unico parente che gli sia rimasto in vita, nonostante egli si ostini a declinare in maniera sgarbata i suoi inviti a pranzo.
Il terzo è lo spirito dei Natali futuri, fondamentale per la conversione. Il vecchio Scrooge, infatti, sarà ben lieto di opporsi alla fine descritta, che lo vorrebbe misero e morente nella più completa solitudine
Il “Canto” appare come un sofisticato meccanismo atto a suscitare emozioni, nonostante Scrooge non sia un personaggio impeccabile. Egli manca di spessore e, molto probabilmente, la sua conversione avviene in maniera troppo repentina. Motivata esplicitamente dalla paura.
È la scrittura di Dickens a fare la differenza e a rendere l’opera “immortale”.
A questo proposito, consiglio di leggere una buona versione del “Canto”, perché, sebbene ne siano state pubblicate tante nel corso del tempo – basti pensare che Dickens l’ha scritto nel 1843 -, la sua bellezza sta tutta nella traduzione. Per quanto difficile, si rivela un libro meraviglioso soltanto se alle parole dell’autore viene dato il giusto senso. Sconsiglio vivamente quindi di leggere una di quelle versioni che si trovano in Internet: sono gratuite, questo è vero, ma mortificano la prosa, impedendo di comprendere appieno il significato della storia.
Dickens “gioca” continuamente coi sensi, “bombardando” il lettore di sollecitazioni che lo inducono ad inebriarsi dell’atmosfera natalizia dei personaggi descritti. Da una narrazione “visiva”, costituita da luci e ombre, si giunge al regno degli odori, dove Dickens diventa un maestro. Gli odori dei cibi che si respirano per le strade, in quei giorni di festa, diventano essenziali nella narrazione; così come il profumo del dolce sulla tavola della signora Cratchit, che sembra proprio lì, davanti ai nostri occhi. Il fantasma dei Natali passati restituisce al vecchio Scrooge la consapevolezza degli odori, e, di lì, il recupero dei ricordi. Niente infatti è più evocativo degli odori, e finalmente il trascorrere del tempo trova un senso.
Ho già dato parecchie definizioni a questo romanzo, che vi consiglio caldamente di leggere, se non lo avete ancora fatto. Esso è un romanzo sociale, come allo stesso modo un racconto gotico. Una favola struggente che ha dato vita ad un personaggio passato alla storia: caricaturale e poetico, ma soprattutto consapevole dell’importanza del cambiamento.
Lo stesso Charles Dickens ha affermato:
“Ho convertito il signor Scrooge facendogli capire che un uomo non può vivere chiuso in se stesso, ma deve vivere nel passato, nel presente e nel futuro, diventando un anello della grande catena dell’umanità”.
Un bell’insegnamento, davvero, che talvolta fa piacere rileggere. Soprattutto a Natale.
Written by Cristina Biolcati
Mi colpì tantissimo da bambina. Da adulta ho realizzato una riuscitissima (e non poteva essere altrimenti) rappresentazione teatrale con gli alunni,a scuola.
Ciao Teresa, interessante il progetto di rappresentazione teatrale a scuola. Di sicuro gli alunni saranno stati felicissimi di impersonare Canto di natale!
Dickens è un autore che ancora va insegnato e letto e non solo ai più piccoli!