“Il giovane Holden” di J. D. Salinger: un inno alla libertà

“Ciò che distingue l’uomo immaturo è che vuole morire nobilmente per una causa, mentre ciò che distingue l’uomo maturo è che vuole umilmente vivere per essa.” (da “Il Giovane Holden” di J.D. Salinger, cap. XXIV, traduzione del 1961, p. 219)

Il giovane Holden

Periodo di Natale, il sedicenne Holden Caulfield, figlio di genitori benestanti, decide di scappare dall’istituto superiore Pencey, dov’era stato iscritto dai suoi stessi genitori, prima ancora dell’inizio delle vacanze e prima ancora la sua famiglia ricesse la comunicazione da parte della scuola circa la sua espulsione dal medesimo istituto. Perché scappa? Perché è stato espulso?

È un Holden arrabbiato quello che lascia il college, un Holden ferito nei suoi sentimenti, incompreso dai suoi compagni di corso, dai suoi coetanei, dai suoi stessi famigliari. Infastidito dai modi di comportarsi dei tanti, vorrebbe solo ritrovare se stesso, vivere lontano dalle loro ipocrisie, dalle loro ossessioni, come quella per il dio denaro, qualcosa che non sopporta, di cui sovente si vergogna di appartenere ad una famiglia ricca.

Come si legge mentre narra del viaggio che vorrebbe intraprendere lontano dalla sua città natale, quella New York detestata, che rappresenta un mix di colori e di falsità. Dialoghi che intraprende con l’amica Sally e con la sorella Phoebe, dove troviamo tracce di questi desideri di andare a vivere il più lontano possibile da tutto e da tutti: un desiderio di iniziare una nuova vita, povero, ma degno della sua persona, del suo io.

Lo troviamo girare, di notte, in lungo e in largo per questa città, mentre aspetta il giorno previsto per il suo rientro a casa per le vacanze. Non vuole incontrare i suoi genitori, non vuole subire interrogatori sul perché si sia fatto espellere un’altra volta da scuola, non vuole senire ramanzine da parte del padre, dopo quella del professor Antolini. Si nasconde in un albergo, va in giro nei locali, si ubriaca, incontra gente di ogni tipo, ma alla fine rimane sempre solo. Una solitudine che a tratti gli piace, a tratti gli fa paura.

È un romanzo particolarmente amato questo scritto da J.D. Salinger nel lontano 1951, per il significato che è stato capace di trasmettere ai suoi tanti lettori di tante generazioni. Scritto in prima persona, seguendo i pensieri di Holden, come una sorta di “diario”, si nota la presenza di vocaboli che oggi non sono più in uso, come “vattelapesca”, ma anche di espressioni tipiche del linguaggio giovanile, ripetute più volte anche nella stessa frase, forse per renderlo più colorito, più comprensibile al lettore. Insomma più spontaneo, più vivo. Più Holden. Più arrabbiato, seppur non in maniera eccessiva.

C’è una storia particolare su questo romanzo, una storia che parte dalla traduzione del titolo. Infatti, come tutti ormai sapranno, il titolo originale del romanzo è “The Catcher in the Rye”, che oggi verrebbe tradotto come “L’acchiappatore nella Segale”, “Il prenditore nella Segale”. Un titolo che non avrebbe fatto alcun effetto in quei giorni, considerato intraducibile.

Su Wikipedia leggiamo la seguente descrizione, che troviamo anche nelle prime pagine del libro, tradotto da Adriana Motti per la Einaudi, nel lontano 1961, traduzione confermata anche tra il 2001 e il 2004: “L’opera viene pubblicata negli Stati Uniti con il titolo di The Catcher in the Rye ed allude ad una strofa di una nota canzone in Scots attribuita a Robert Burns, Comin’ Through the Rye:

(EN)“Gin a body meet a body
Coming thro’ the rye,
Gin a body kiss a body
Need a body cry?“
(IT)“Se una persona incontra una persona
Che viene attraverso la segale;
Se una persona bacia una persona
Deve una persona piangere?”

 

J. D. Salinger

Il titolo nasce dalla storpiatura del secondo verso della strofa che il protagonista opera involontariamente in uno dei passaggi più importanti del romanzo quando, interrogato dalla sorella Phoebe su cosa voglia veramente fare da grande, risponde, ispirandosi alla scena evocata dalla poesia di Burns, “colui che salva i bambini, afferrandoli un attimo prima che cadano nel burrone, mentre giocano in un campo di segale”. In inglese, l’espressione suona bizzarra per l’immagine che evoca ma è formata da termini comuni: catcher indica anche il ruolo del ricevitore nelle squadre di baseball, mentre rye è popolare quanto il rye whiskey, un distillato che, secondo le leggi degli USA, deve essere prodotto impiegando almeno il 51% di segale. La difficoltà della traduzione del titolo è stata risolta in vari modi; se le edizioni in lingua tedesca o portoghese hanno la possibilità di tradurre alla lettera senza impiegare termini goffi o inusuali (Der Fänger im Roggen, O Apanhador no Campo de Centeio), in francese la scelta cade su un elegiaco L’Attrape-Coeurs, traducibile letteralmente come “il rubacuori”. Nei paesi di lingua spagnola l’opera è invece nota con il titolo El Guardián entre el Centeno, che ha il pregio di mantenere in guardián l’idea che il protagonista associa alla parola catcher. In italiano, con una traduzione letterale il titolo sarebbe risultato “Il prenditore nel campo di segale”, Il prenditore nella segale o alternativamente, Il prenditore nel whiskey (altre possibili traduzioni sono Il terzino nella grappa, L’acchiappatore nella segale o Il salvatore sul precipizio). Alla fine il traduttore italiano optò per Vita da uomo, poi cambiato in Il giovane Holden, anche se il titolo originale resta comunque conosciuto anche fuori dal mondo anglosassone.”

Ma cosa accadrebbe se, come cita Franca Cavagnoli nel suo saggio sulla traduzione, “La voce del testo – L’arte e il mestiere del tradurre”, nel caso di una nuova traduzione di questo romanzo si decidesse di riproporre un altro titolo? Un titolo che potrebbe essere “Il catcher tra la segale” o lo stesso “L’acchiappatore nella segale”? Come reagirebbero le precedenti generazioni cresciute con questo romanzo? Si sentirebbero tradite?

La Cavagnoli stessa ricorda “che ormai il baseball non è sconosciuto in Italia, tanto che nei dizionari della lingua italiana è possibile trovare la parola “catcher” tra i vocaboli acquisiti dall’inglese. Per cui un titolo come “Il Catcher tra la segale” sarebbe, si, un titolo insolito, ma magari potrebbe destare curiosità tra le nuove generazioni.” Ma qualora dovesse capitare una nuova versione del romanzo, noi appartenenti alla vecchia generazione di “Holden” riusciremo a ritrovare le parole di Holden, il suo linguaggio strano, ma allo stesso tempo “carismatico”? Come verrebbero tradotte quelle espressioni che hanno accompagnato ogni pensiero del ragazzo, come la già citata “vattelapesca”? Cambierà qualcosa?

Il Giovane Holden” è uno di quei libri che non si dimenticano: rimangono dentro di noi. Non si smetterebbe mai di leggere, rileggere. Si riprenderebbe per mano anche solo per rileggere alcuni sprazzi di dialogo, alcuni aspetti della vita di questo ragazzo stufo di vivere circondato da tanta superficialità. Un ragazzo che vorrebbe farsi valere per quello che è, non per quello che ha.

Sognatore, amante del bello e spontaneo, vive ricordando il fratello minore morto l’anno prima a causa di una malattia, e forse è questa la causa della sua rabbia con il mondo intero.

Ci immedesimiamo in lui, nel suo ribellarsi. E sicuramente ci piacerebbe essere “l’acchiappatori nella segale”, in quell’inno di libertà dove tutto non finirà mai. Chissà, magari, ci immaginiamo Holden che “acchiappa” i bambini che cadono dal burrone. E allora ci sentiremo ancora più vicini a lui…

 

Written by Daniela Schirru

 

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *