“I Rotod, flusso metamorfico. Atto I”: i componenti elettronici di Rosa Todde, sino al 21 settembre, Tortolì
“Siamo sul pianeta Terra. È successo qualcosa che l’ha sconvolto, resettato. L’uomo non esiste più, la vita ora è altro. Neanche i boschi e le foreste esistono più. Solo montagne, oceani e mari, fiumi, pietre e sabbia. Strade qua e là, villaggi fantasma e vecchie metropoli addormentate”.
Estratto da un suggestivo manoscritto di carattere mitopoietico firmato dall’artista, questo brano funge da prologo drammatico fondamentale alla comprensione dell’universo finzionale creato da Rosa Todde in mostra con “I Rotod, flusso metamorfico. Atto I” sino al 21 settembre 2014 nel Corso Umberto 45 a Tortolì in Sardegna.
La fine del mondo per come lo conosciamo, per Rosa Todde è il principio. Il pianeta è stato improvvisamente investito da una non meglio precisata catastrofe, da intendere etimologicamente più come un radicale rivolgimento, che come lo scatenamento di eventi disastrosi, secondo quanto l’accezione comune del termine richiama alla mente.
Rosa Todde racconta l’aftermath di una catastrofe immateriale, non scaturita da uno straordinario evento di origine naturale, né causata da alcuna guerra chimica o nucleare, com’è nella tradizione dell’immaginario fantascientifico contemporaneo.
Lo scenario post-catastrofico che l’artista delinea, infatti, trova nello sconvolgente e improvviso dissolvimento della biosfera il proprio tratto cruciale, così che la specie umana, che naturaliter vi appartiene, d’un tratto svanisce.
Rosa Todde ci invita a sospendere la nostra incredulità e a compiere così un esercizio di immaginazione basato su un als ob kantiano, un “come se” si prendesse atto del mondo al suo stato attuale, ma prescindendo dalla vita biologica e dalla presenza umana.
Dell’uomo rimangono soltanto le nude tracce dell’infaticabile opera impressa per secoli sulla pelle del globo, ma ciò che resta delle città, adesso tristemente deserte, non sono che rovine.
Tuttavia queste, a loro volta, non si fanno scenografia distopica, secondo i consueti canoni iconografici del genere fantascientifico: senza l’uomo non si danno utopia o distopia alcune, venendo a mancare al mondo una coscienza morale che lo abiti e che vi infonda spirito.
Ma qualcosa, sulla superficie di questa Terra ormai ridotta allo stato minerale, eppur si muove. Uno slancio vitale, un élan vital di bergsoniana memoria, sembra scuotere l’inerzia macchinica di ciò che resta del panorama mediale costituito dagli oggetti di specie elettronica creati dall’uomo. Diodi, resistenze, resistori, trimmer, relé, ciascuno dei componenti-hardware di quel tipo di tecnologia appaiono come ri-animati da un potente e vivifico elettroshock.
Come a ribadire quella solidarietà tra biosfera ed elettrosfera effettivamente teorizzata da antropologi e fisiologi, Rosa Todde ipotizza una nuova forma di vita. Superando sia i rigidi parametri funzionali entro i quali erano costretti, che i limiti fisici imposti dai loro involucri (che si dischiudono come scrigni), quei componenti acquistano libertà.
Anzitutto di movimento: ora vorticano, come sciami, ora librano. Secondo leggi e traiettorie a noi incomprensibili, essi talora si respingono, talaltra si attraggono, dando origine a nuove concrezioni, a nuovi esseri chiamati Rotod.
Il nuovo mondo è quindi riletto da Rosa Todde sub specie atomica epicurea: esso si disfa e si ricrea incessantemente a partire da un numero elevatissimo ma finito di elementi irriducibili, i componenti elettronici. Ne deriva, pertanto, che questi neo-atomi condividano uno stesso codice, in virtù del quale sono in grado di comunicare, ricordare, desiderare. Da questo codice dipende la morfogenesi dei Rotod.
L’irresistibile forza attrattiva che si esercita tra un componente e l’altro si diceva determinata dalla condivisione di un ricordo comune o, in gergo platonico, di un’anamnesi, che può risalire tanto alla fase anteriore che a quella posteriore alla catastrofe.
Sospinti da pura volontà formale, i componenti si congiungono secondo le regole di una misteriosa ars combinatoria. Stabiliscono legami di tipo intermolecolare e, una volta raggiunto un equilibrio elettrostatico e sapienziale, approdano finalmente alla calma dell’essere: essi esistono assumendo precise configurazioni che corrispondono ai contenuti delle anamnesi di volta in volta condivise.
Custodi della memoria del mondo, i Rotod sono quelle configurazioni e, nondimeno, costituiscono le propaggini materiali di quell’afflato energetico, di quell’élan vital che dopo la catastrofe ha attraversato la Terra fino a trovare negli oggetti di specie elettronica la propria cassa di risonanza, dei corpi pronti ad accoglierlo in dinamica sinergia.
Rosa Todde sembra alludere a una sorta di tecno-animismo, a una visione del mondo che prende le mosse a partire da un’articolata riflessione sulla nostra attuale condizione di vita che ci vede tutti interconnessi e interdipendenti, come mai prima d’ora è successo nella parabola tecnologico-evolutiva umana.
Secondo il celebre massmediologo Marshall McLuhan la tecnologia a base elettromagnetica, che trasferisce informazioni a una velocità pari a quella della luce, in tempo reale, ha trasformato il pianeta in un villaggio globale che noi abitiamo come nomadi ritribalizzati e inseriti non più in uno spazio visivo che implica distanza, ma in un campo unificato che implica avvicinamento, uno spazio di “eventi simultanei e consapevolezza complessiva”.
Le nuove tecnologie, abbattendo le distanze, ci avvicinano, ci spingono ad aggregarci, a far gruppo, comunità. Rosa Todde non dimentica le responsabilità di ordine morale che da questa condizione di simultanea interdipendenza derivano.
Nei Rotod volontà e rappresentazione, categorie schopenhaueriane, coincidono. Mossi da un irresistibile istinto creativo-mimetico, essi desiderano ricavare un senso dal mondo, rappresentandolo. Isolando soggetti dal continuum indistinto del mondo, i Rotod esprimono in tal modo il proprio desiderio innato di conoscerlo, comprenderlo e abitarlo. Essi ne sono lo spirito. Il loro è un atto di gratuita generosità verso se stessi e verso il passato, il presente e il futuro.
Ciascun’opera di Rosa Todde è da intendersi come il tentativo di fotografare, mantenere, documentare uno tra gli innumerevoli stadi trasformativi che hanno per protagonisti i Rotod. Una volta raggiunta la calma dell’essere, quell’equilibro elettrostatico-sapienziale di cui sopra, accade che l’élan vital energetico “surriscalda” ogni Rotod al punto che i legami tra i componenti costituenti si spezzano, così da dare inizio a un nuovo ciclo trasformativo.
I singoli componenti ingaggeranno ancora una volta quella danza aerea finché la condivisione di un’ulteriore memoria formale non determinerà un nuovo incontro, un nuovo desiderio plastico.
I Rotod, flusso metamorfico di anamnesi figurative, diventano pertanto il simbolo di una modalità di esistenza: fare gruppo a partire dalla partecipazione di memorie condivise, dalla necessità solidale di conoscere e capire il mondo, senza cristallizzarlo in una forma perenne e, in quanto tale, refrattaria al divenire, alla differenza possibile.
Rosa Todde nasce a Ozieri nel 1981. Cresce a Tortolì-Arbatax in Sardegna finché decide di trasferirsi a Milano per intraprendere studi di architettura e, successivamente, sociologia. Attraverso i primi affermerà di aver sviluppato una forte attitudine alla strutturazione, mentre, grazie ai secondi, matura un’acuta consapevolezza della relazione dinamica tra i fatti umani. Rosa decide quindi di operare una fertile sintesi di un così ricco ed eterogeneo background culturale iscrivendosi al corso di scultura all’Accademia delle Belle Arti di Bologna. L’incontro tra Rosa Todde e i componenti elettronici risale ai primi anni di vita dell’artista, trattandosi invero della fatale manifestazione di un’irresistibile, straordinaria curiosità infantile che già custodisce in nuce ciò che è di là da venire. Affascinata da alcuni luoghi dell’albergo di famiglia, come il centralino e l’officina, la piccola Rosa avvicina così oggetti carichi di mistero: vecchi telefoni, radio, macchine da scrivere, televisori, tutti esemplari di quel mediascape pre-digitale che ai suoi occhi diventano veri e propri scrigni che custodiscono un tesoro. “Non smonto per scoprire funzioni, ma per svelare la bellezza delle cose vecchie”, afferma l’artista.
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todde.rosa@email.it