Intervista di Federica Ferretti al famoso pianista di fama internazionale Luciano Cerroni

Un uomo ed il suo strumento: quando un pianista diventa sinonimo di cultura non soltanto in Italia ma anche all’Estero, essa diventa un inimitabile stile di vita. Abbiamo l’onore di intervistare per i lettori di Oubliette, un pianista che si è tra l’altro appena cimentato nell’ennesima conferenza-concerto, presso l’istituto centrale per i beni  sonori ed audiovisivi di Roma, dal titolo “Béla Bartók. Musica popolare – Musica colta, autore a lui molto caro.”

In un’ Introduzione all’ascolto che sciornava “elementi biografici, informazioni sulla ricerca, raccolta e analisi della musica popolare dell’area balcanica con ascolto di brani registrati sul campo dallo stesso Bartók e proiezioni di immagini raffiguranti luoghi, ambienti ed esecutori della cultura popolare, ha trattato la confluenza della musica popolare nel processo compositivo bartokiano; la sintesi tra musica popolare e musica colta, il folklore immaginario. Facendo anche ascoltare registrazioni originali di Béla Bartók al pianoforte.

Chi è  il nostro musicista? Luciano Cerroni è  considerato dalla stampa tra i migliori pianisti italiani, in particolar modo per la musica da camera.

E’ stato tra i primi pianisti della sua generazione a dedicare particolare attenzione alla ricerca interpretativa sui trattati del ‘700 e alla pratica esecutiva sugli strumenti storici, per individuare lo stile e il suono dei classici viennesi.

Ha tenuto numerosissimi concerti nelle principali città dell’Europa occidentale ed orientale, delle Americhe e del Nord Africa e partecipato ad importanti Festival Internazionali alternando all’attività solistica quella della musica da camera con prestigiosi artisti.

Come solista ha partecipato ai programmi di molte emittenti radiofoniche europee ed americane. Ha inoltre realizzato e preso parte a concerti talvolta nella duplice veste di solista e direttore.  È stato invitato dall’Istituto Frédéric Chopin di Varsavia per concerti con programmi chopiniani.

Già docente della Scuola di Musica da Camera (Corso Triennale) al Conservatorio di Musica S. Cecilia di Roma, dal l’A.A. 2003/04 è docente invitato per l’insegnamento di Musica da Camera (Diploma di II Livello Legge 508 del 1999) presso Istituto Superiore di Studi Musicali  “G. Braga” di  Teramo. Nel 1991 ha ricevuto la croce d’onore per l’arte e la scienza dal presidente della Repubblica d’Austria.

 

F.F.: Un uomo,un pianista: come racconterebbe la sua passione per la musica.

Luciano Cerroni: Posso parlare per me, ho ascoltato musica si da piccolo in una famiglia che sebbene per diletto la praticava. Mio Padre impegnato in tutt’altra attività professionale, suonava il violino, mia Madre fornita di un buon orecchio suonava al pianoforte, a suo modo, arie d’opera celebri. Pertanto subii il fascino della musica molto presto ed ebbi il primo insegnamento musicale da mio  Padre. Il primo impatto con la musica vera lo devo alla fortunata amicizia di mio padre, appassionato d’opera, con il celebre tenore Beniamino Gigli che quando avevo  9/10 anni mi diede la possibilità di ascoltare i più grandi cantanti d’opera del tempo in decine e decine di rappresentazioni teatrali. Fu lui a inviarmi a studiare pianoforte al Conservatorio di S. Cecilia dove ebbi la fortuna di avere ottimi Maestri. La musica, pur seguendo le scuole regolari, divenne ben presto per me, ragione di vita, anche se qualche volta, da ragazzo, ho sentito il peso dell’esercizio quotidiano. Superati questi brevi momenti, rimasi sempre più affascinato non soltanto dal suono del pianoforte, che rimase ed è sempre il mio compagno di vita, ma dalla musica strumentale da camera, sinfonica e dal lied che andavo scoprendo e che in breve tempo sostituì il primo e giovanile interesse per l’opera lirica..

 

F.F.: Attualità della musica classica

Luciano Cerroni: Cosa dire? La musica colta, come tutte le discipline artistiche, necessità di una introduzione, richiede una conoscenza, anche se modesta, degli elementi tecnici e soprattutto della storia. E’ vero che possiamo leggere Dante e Manzoni, Goethe e Thomas Mann, Shakespeare  e Joyce  senza collocarli nel periodo storico in cui hanno vissuto, operato e senza conoscere le strutture letterarie che articolano i loro scritti, ma saperne qualcosa in più ci permette di inquadrare e comprendere meglio la loro opera. Nella musica, saper distinguere gli stili in relazione al loro periodo storico, ad esempio tra barocco, rococò, tra classicismo e romanticismo,  tra impressionismo ed espressionismo e via via fino ai nostri giorni, con qualche informazioni sulle strutture, può aiutare alla comprensione. Ma qui il discorso si farebbe molto ampio perchè dovremmo parlare della scuola e la scuola pubblica nel nostro Paese ha fatto sempre il minimo per l’istruzione musicale. Dopo gli anni della scuola media la modesta conoscenza musicale termina e di musica non si parla più. Ritengo che la musica avendo percorso il suo cammino con l’uomo è sempre attuale e meriterebbe parallelamente alle altre arti di essere inserita nei programmi degli studi ginnasiali e liceali. Soltanto in altri Paesi “musicali” dove questa arte è ritenuta fondamentale per la crescita dell’uomo, ho visto ragazzi di 12,13 anni assistere ai concerti, ad esempio in Ungheria, dove Kodaly e Bartok si sono prodigati molto per l’insegnamento, in Germania, sempre stato un Paese musicale e in Austria, dove l’insegnamento della musica nella scuola fu introdotta dall’Imperatrice Maria Teresa. Ritengo che l’ascolto attento e meditato della musica attraverso i tanti momenti emozionali che si avvicendano aiuterebbe l’uomo a migliorare la sua sensibilità.

 

F.F.: Se dico “Novecento”

Luciano Cerroni: Novecento mi ricorda che abbiamo un secolo di musica quasi sconosciuta e ci  sono grandi compositori che meriterebbero di essere conosciuti e apprezzati. Gli enti organizzatori concertistici e teatrali purtroppo non prendono iniziative per far si che questa quantità di musica giunga agli ascoltatori proponendo i loro programmi sempre su un “Indice di gradimento” incentrato su opere soprattutto del periodo classico e romantico senza fare un minimo passo in avanti. Forse per paura di perdere pubblico o perdere introiti. Quando gli ascoltatori prenderanno contatto con le grandi opere di Bartok, Stravinsky Hindemith Prokofiev, Messiaen, la Scuola di Vienna, di Boulez, Stockhausen, degli italiani tanti e validi dalla generazione dell’80 a Ghedini, Petrassi, Dallapiccola, Maderna, Nono, Berio giù fino alla fine del 900 ?

 

F.F.: Musica dodecafonica paradigma di un epoca o invenzione ancora valida?

Luciano Cerroni: Se pensiamo che dai modi ecclesiastici e il sistema modale, utilizzato nelle composizioni medievali e rinascimentali in uso fino quasi alla fine del ‘600, siamo passati al sistema tonale, con i modi maggiori minori, con il quale si sono espressi  per oltre due secoli grandi musicisti che ne hanno spinto sempre più l’impiego verso il cromatismo e il dissolvimento tonale, è stato naturale che un musicista dal forte ingegno organizzasse un nuovo sistema compositivo che portasse fuori la musica dalla fossilizzazione in cui si trovava tra la fine dell‘800 e l’inizio del’900. Ed ecco da Schoenberg, dopo un periodo di transizione atonale, nascere il “sistema di composizione in cui i dodici suoni sono in relazione soltanto fra loro”, il sistema dodecafonico, il “serialismo parziale”, che si contrappose all’iniziale neoclassicismo di Stravinsky. Successivamente Anton Webern prima e alcuni musicisti dell’avanguardia poi,  facenti capo a Pierre Boulez e Olivier Messiaen, ritennero di dover serializzare oltre alle altezze dei suoni anche il ritmo e la dinamica spingendosi verso il “serialismo integrale”. Certo il tempo che corre fa invecchiare tutto in fretta e nel secondo dopoguerra si sono aperte nuove strade quali l’alea, lo strutturalismo, l’elettronica fino al minimalismo che rifiutando la complessità del serialismo è ritornato all’impiego del sistema tonale e modale utilizzando elementi melodici e ritmici minimi e pertanto…. il sistema dodecafonico mi sembra oggi poco attuale.

 

F.F.: Il Cerroni “critico” quanto è importante scrivere a proposito di uno stile Musicale?

Luciano Cerroni: Per un esecutore non è importante “scrivere” sullo stile quanto “apprendere” sullo stile. Informarsi attraverso lo studio di trattati, delle consuetudini esecutive delle varie epoche: Conoscere gli strumenti storici, se violinista il violino barocco, il violino classico, strumenti ben diversi dall’attuale, se è un pianista il fortepiano e discendenti, suonarli e scoprire le  sue  possibilità: la velocità di esecuzione che la meccanica permetteva non essendo fornita del doppio scappamento, valutare la chiarezza delle articolazioni, del fraseggio che si possono ottenere, ricercare le dinamiche possibili, l’uso dei pedali, comprendere le trasformazioni strutturali avvenute nel tempo che hanno trasformato l’originario strumento interamente di legno con martelli leggeri e corde sottili nel pianoforte dei nostri giorni rinforzato dal telaio in ghisa e dal grosso volume sonoro. Questa ricerca ricompenserà del tempo e dello studio dedicatole per conoscere il suono ideale di un tempo passato. Anche se non ci si inoltrerà ad una attività concertistica d’indirizzo filologico, la conoscenza degli strumenti storici  darà sempre utili suggerimenti per la ricerca sonora e dinamica da realizzare sul pianoforte del nostro tempo, per differenziare la sonorità e lo stile esecutivo dei diversi compositori. Il pianoforte che conosciamo oggi a quali compositori appartiene? Per me a Rahmaninov, a Bartok, a Prokofiev a Stravinsky e ai compositori del ‘900.

 

F.F.:  Se io dico “Cinema”?

Luciano Cerroni: Essendo un musicista subito mi viene in mente il film di Eisenstein: Alexander Nevsky per il quale  Prokofiev compose la colonna sonora che successivamente realizzò in una fortunata Suite in 7 numeri e ancora l’impiego di musiche di grandi compositori: Bruckner nel film Senso di Visconti, Beethoven e Schubert nei film di Kubrik, Bach in Pisolini e tanti altri. Sin dagli albori del cinema muto molti compositori, anche noti, furono invitati a comporre per il cinema sottolineando con brani musicali le diverse scene del film. Successivamente la stretta collaborazione e sperimentazione tra musicisti e registi diete luogo a composizioni maggiormente legate tra la musica e il ritmo cinematografico. Con l’avvento del film sonoro che permise di sincronizzare con le immagini, i dialoghi e i rumori, la musica pur non perdendo la sua posizione divenne “una” delle componenti adatte a commentare e sottolineare gli stati  emozionali, temporali e spaziali della vicenda. Nel ‘900 alcuni celebri incontri tra compositori e registi hanno costituito un tratto distintivo della filmografia. Per citarne alcuni  Bernard Herrmann e Alfred Hitchcock, Nino Rota e Federico Fellini, Ennio Morricone e Sergio Leone, John Williams e Steven Spielberg, Nicola Piovani e Roberto Benigni. Oggi vengono spesso proposti eventi con musiche di compositori attivi per offrire al pubblico “incontri” con la  musica da film da questi separata. Ma se devo essere sincero, anche questa operazione per me nasce da un “indice di gradimento” vuoi per l’autore in auge in quel momento, vuoi per soddisfare un pubblico che ritrova i “bei” motivi ascoltati nei film, vuoi ….per eventuali incassi. Queste musiche create per dare risalto a momenti e situazioni emotive diverse nel film vengono assemblate nel tentativo di darle uno scorrimento naturale che in origine non hanno ne è stato previsto in quanto essendo musica applicata per sua natura è frammentaria non musica assoluta  e non sempre ci si trova di fonte ad una Suite di Alexander Nevsky e tanto meno alle musiche di scena per “Una notte di mezza estate “ di Mendelssohn.

 

F.F.: Consiglierebbe di studiare ancora il pianoforte?

Luciano Cerroni: Ritengo che il mondo debba continuare e che lo studio della musica sia sempre attuale. Il problema non è studiare o meno il pianoforte ma studiare oggi la musica. Quali sbocchi professionali ha oggi un musicista? Non è facile anche se ha talento ed è ben preparato: c’è molta offerta e poca richiesta. Se all’inizio  un giovane per fare esperienza e farsi conoscere accetta di suonare gratuitamente, con rimborso spese o modesti onorari presso piccole associazioni, fatta l’esperienza quando diventerà un artista con una attività costante  che gli permetterà di vivere? Oggi ci sono molti bravi strumentisti ad arco in attesa di inserimento nelle orchestre mentre nelle Scuole musicali in pochi si dedicano allo studio del corno, l’oboe, il fagotto, che avrebbero ancora una possibilità di inserimento. I pianisti possono impegnarsi nella musica da camera, attività che richiede come per il solismo grande preparazione e conoscenza, collaborare con cantanti, scuole di danza o divenire maestri di spartito nei teatri d’opera. Dai solisti si richiede oggi, più che in passato, una grande preparazione, professionalità, vasto repertorio e quel perfezionismo che la registrazione  discografica ha da tempo imposto, ed è comunque difficile entrare nel giro delle grandi istituzioni poiché l”indice di gradimento” non vale solo per il repertorio ma anche per gli interpreti. Inoltre le ristrettezze economiche di questi ultimi 10 anni hanno ridotto di molto le attività musicali concentrandole nelle grandi istituzioni che  operano con grandi nomi internazionali, concedendo loro onorari di gran lunga superiori a quelli che abitualmente percepiscono nei loro Paesi. Inoltre, non essendoci, come in altri campi, tra la “frequentatissima” scuola musicale e l’attività professionale nessun coordinamento, l’inserimento presso un conservatori o un Istituto musicale è il più ricercato e contribuisce alle entrate, e se il futuro docente sarà un buon didatta, istruirà una serie di buoni allievi dei quali la maggior parte percorrerà a sua volta lo stesso itinerario del loro maestro.

 

 F.F.: Mecenatismo: quanto conta per diventare un concertista?

Luciano Cerroni: Il mecenate conta per un singolo, non per altri! Se un mecenate contribuisce alla carriera di un artista valido può esserne fiero, ma se il mecenate pur “comprando” le opportunità per il suo protetto non riesce ad imporlo per la limitazione del suo valore, non solo non raggiunge lo scopo ma intralcia la carriera di altri forse meno protetti e più qualificati. Ho conosciuto molti casi, purtroppo!

 

 

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