Festival del Cinema Spagnolo 2017 – “Todas las mujeres” di Mariano Barroso

E siamo al terzo titolo afferrato al Festival del Cinema Spagnolo di stanza a Treviso: trattasi dell’ultimo cimento, datato 2013, del regista e sceneggiatore Mariano Barroso, da allora entrato in una fase di stasi creativa.

Todas las mujeres di Mariano Barroso

Il plot di “Todas las mujeres” in quattro parole: Nacho è un inetto. Veterinario 43enne, pianifica il colpo della vita, la risoluzione che gli permetterà di lasciarsi alle spalle ogni cosa: sottrae un pugno di vitelli dall’allevamento di suo suocero presso cui lavora sottopagato, coll’intenzione di combinare affaroni in Portogallo, non certo d’occuparsi dell’informatizzazione dell’azienda in terra iberica; ma la consegna della ricompensa salta, così come il camion su cui stavano le bestie rapite.

Di lì eccoci sfilare davanti “tutte le donne” della vicenda, ossia un’acutamente selezionata girandola di caratteri femminili completamente differenti fra loro, uniti però da un unico caso emblematico, il fallo compiuto dall’uomo (Eduard Fernández).

La prima, Laura (Lucía Quintana), è la sola relegabile al capitolo autenticamente drammatico, la moglie vittima di adulterio ferita da anni di ipocrisie che lo scarica andandosene di casa alla volta di qualsiasi luogo sappia rivelarsi migliore in confronto al fianco del consorte.

Ona (Michelle Jenner), l’amante giovane e vera mente del piano, briosa e sessualmente accessibile, è il credibile anello di congiunzione fra dramma e commedia grottesca, posta in coincidenza di un’acme narrativa vagamente thriller investita dell’incarico preciso di farci pregustare l’intrico progressivamente ingigantito che andrà a comporre lo sviluppo del lungo.

Nel tentativo di salvare capra e cavoli senza però mai entrare in contatto colla volutamente nebulosa figura di “quell’animale” del suo ex datore di lavoro, Nacho passa in rassegna una ad una tutte le presenze femminee che hanno segnato la sua esistenza.

Inizialmente tocca a Marga (María Morales, nominata ai Goya 2014 come miglior attrice rivelazione), ex fidanzata divenuta avvocato cui lui ha rovinato l’anima colla propria falsità; quindi è il turno della madre (Petra Martínez), ricattata in denaro sfruttando le indiscrezioni strappate a un cardiologo di facili costumi; sul piano erotico è presa d’assalto anche Carmen (Marta Larralde), la cognata maggiormente sul pezzo alla quale il “vecchio lupo” è sempre stato affezionato, salvo sul punto di scatenare la scintilla passionale rimandare puntualmente carezze ed amplessi.

Todas las mujeres di Mariano Barroso

La mezz’ora di confronto vincente giunge solo con Andrea (Nathalie Poza, candidata in qualità di non protagonista), psicologa del tutto all’oscuro di chi sia il nuovo paziente e voce in capitolo infine persuasiva dall’alto della sua formazione professionale. Con lei crolla inesorabilmente il sistema fittizio di improponibili alibi e proroghe che Nacho non aveva il coraggio di abolire in cuor suo.

Sul parere migliore si chiude la questione, perlomeno nella misura in cui deve competere al pubblico in sala, libero poi di dedurre quale indirizzo prenderà l’insopportabile antieroe. A tal proposito infatti Fernández è senza dubbio magistrale nel costruire farneticazione dopo farneticazione un personaggio integralmente biasimevole, frutto di un lavoro meticoloso basato sul “peccato d’impulsività” permesso da una sceneggiatura così ridondante da riuscire graditissima, se non altro ai membri votanti degli Oscar spagnoli che l’hanno preferita ad ogni altra.

Restando anche noi convinti dal protagonista, ultimo ma non ultimo fra i nominati, ci riserviamo di dissentire sull’irresistibilità della performance complessiva realizzata da Barroso, che nell’orchestrare un copione tutto teatrale (si noti non sono più di sette le parti coinvolte, pressoché contenute in un’unica abitazione) non osa soluzioni più ardite del campo e controcampo, classico tentatore responsabile in questa più che in altre occasioni di smorzare l’energia globale del film, registrata peraltro almeno una caduta di stile e, malauguratamente, sul piano libidinoso.

Spento il montaggio, spente la fotografia e l’accennata interazione fra intra ed extra-diegesi (l’incorrere sporadico cioè del commento musicale), resta un’idea vincente in parte tradita, nel significato di “tradotta”, in un linguaggio che rasenta le inclinazioni televisive, nemico dichiarato della satira graffiante insita nelle parole del pavido ladro e, di contro, in ognuna delle interlocutrici.

 

Voto al film

 

 

Written by Raffaele Lazzaroni

 

 

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