“Mio fratello è figlio unico (ma ha molti follower)” di Felice Di Lernia: un’ironica indagine antropologica dei nostri giorni

“C’è stato un tempo, durato molto a lungo, nel quale il tempo stava pieno di sé. Il vivere nei giorni era caratterizzato da una grande intensità esistenziale, da una grande enfasi sui pensieri, sulle idee, sulle relazioni, sul futuro. In quei giorni la disuguaglianza sociale, la disuguaglianza delle opportunità e delle condizioni di esistenza era, per tanti, motivo di scandalo e di lotta.”

Mio fratello è figlio unico (ma ha molti follower)

Mio fratello è figlio unico (ma ha molti follower)” (Bordeaux Edizioni, 2015) è una raccolta di articoli pubblicati da Felice Di Lernia sul suo blog “Cura e cultura”, più qualche altro apparso su riviste specialistiche, come quello che dà il titolo all’intera opera – tratto dalla celebre canzone di Rino Gaetano.

Un insieme di riflessioni che, partendo da esperienze personali – che possono essere ricordi d’infanzia piuttosto che eventi occasionali che hanno lasciato un segno – , allargano la visuale fino a proiettarsi su un terreno universalmente condiviso; per diventare un’indagine ironica e “minima” sull’uomo, sulle sue reazioni e sul suo modo d’interagire in società.

Si tratta di domande, in sostanza, che tutti si pongono, ma che forse in pochi hanno il coraggio di sviscerare. Significa avere un’opinione su quello che accade intorno, e di enunciarla con garbo, sebbene con determinazione. L’autore è un antropologo, ed è avvezzo a “prendersi cura di”, essendo supervisore e formatore, nonché operatore sociale. Per questo, devo dire che ho apprezzato la sua sottile ironia, ma altrettanto il fatto che mai ho letto nelle sue parole una vena di disprezzo o di giudizio alcuno.

Un tempo, era naturale prendersi cura delle persone care: farsene carico. Come riporta il sociologo polacco Bauman, la risposta che Caino ha dato al Padre che gli chiedeva di suo fratello “sono forse il custode di mio fratello?”, era considerata uno scandalo. Oggigiorno, invece, questa cosa sembra normale, perché a venire meno è il cosiddetto “mandato di protezione”, dove ciascuno pensa soltanto a se stesso, e a come apparire.

Non si riconosce più il proprio fratello, in quanto tale, e non ci si sente “responsabili” per lui. In compenso, però, abbiamo un sacco di conoscenti sui social network, che non incontreremo mai, a cui dar ad intendere di essere delle star. La “nientificazione” dell’altro comincia sempre con la vacuazione delle parole che lo riguardano, quindi tendiamo a dare dei nomignoli alle persone, credendo di essere affettuosi.

Ma poiché solo avendo un nome si è qualcuno, sarà mica che, inconsciamente, li vogliamo sminuire, oppure ricreare a nostra immagine e somiglianza? Questo concetto mi ha fatto pensare, e non poco. Come fa notare l’autore, essendo questo un insieme di articoli, non vi è un filo logico, quindi si può iniziare a leggere il libro da un punto qualsiasi.

Felice Di Lernia

Egli non trova soluzioni, e nemmeno dice cose eclatanti. Semplicemente fa riflettere sui vari problemi che ci affliggono; su come vanno le cose nella nostra Italia – pavida Italia, purtroppo – sia in campo politico che del costume.

E di come, per esempio, anche trasmissioni prive di grosso spessore quali “Il Grande Fratello” o “Miss Italia” abbiano dato vita a determinati stereotipi, che nascondono in sé simbologie e motivazioni più profonde.

Felice Di Lernia è abile nel mettere nero su bianco le sollecitazioni che gli arrivano dal mondo esterno: egli è un grande osservatore. È fruitore di perenni dicotomie, insegnando che un concetto non è mai tale senza il suo contrario. Per esempio, il razzismo o le discriminazioni avvengono comunque, se non c’è uguaglianza e rispetto. E qui vige l’esempio del presidente Obama: anche eleggerlo perché nero è cosa discriminante.

In conclusione, “Mio fratello è figlio unico (ma ha molti follower) è un libro che sa intrattenere in modo molto piacevole. La prosa lineare e mai artificiosa ne permette la lettura in poco tempo. Un’idea per chi non ha paura di porsi delle domande sul suo essere uomo, così come nemmeno di avere delle risposte.

“Siamo tutti sulla stessa barca”, vorrei aggiungere. Però suona terribilmente banale.

 

Written by Cristina Biolcati

 

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