Intervista di Irene Gianeselli alla regista Anna Gigante: “A metà luce”, una storia immersa nella magia della Puglia

Anna Gigante è nata a Conversano (Bari). Trasferitasi a Roma si laurea in Sociologia presso l’Università La Sapienza  e si diploma presso l’Accademia Nazionale d’Arte Drammatica Silvio D’amico.

Anna Gigante

Lavora come attrice nel cinema, nella televisione e in teatro. È al cinema con Lo spazio bianco di Francesca Comencini, Maledimiele di Marco Pozzi, Un giorno perfetto di Ferzan Ozpetek, Parlami d’amore di Silvio Muccino, Caos Calmo di Antonello Grimaldi, Il colpo di pistola di Marco S. Puccioni, La casa delle donne di Domenico Mongelli e in televisione con Nati ieri di Miniero e Genovese, Don Zeno di Gianluigi Calderone e La nuova squadra di Isabella Leoni.

Linea Nigra è il suo cortometraggio d’esordio, selezionato alla 68° Mostra del Cinema di Venezia. Anna Gigante racconta in questa intervista il percorso di A metà luce il suo secondo cortometraggio che ha ottenuto una nomination al Premio David di Donatello 2016, selezionato al Giffoni Film Festival e al Castellaneta Film Fest 2016.

 

I.G.: Qual è il tuo percorso di formazione?

Anna Gigante: Mi sono formata alla “Silvio D’Amico” come attrice e contemporaneamente ho studiato a New York con Susan Batson, poi ho debuttato alla regia con “Linea nigra” – selezionato al Festival di Venezia – dove ero sia interprete che  regista, e poi ho deciso di fare “A metà luce” dove mi sono trovata dietro alla macchina da presa senza dovere anche recitare, perché, a meno che tu non sia Woody Allen,  credo sia importante almeno su un film – non dico nella vita ma almeno su un film – decidere se stare  davanti o dietro alla macchina da presa: gestire le due cose (essere attore e regista allo stesso tempo) è difficile anche se i risultati di “Linea nigra” sono stati ottimi nel senso che ho vinto sia per la regia che come migliore attrice in diversi Festival, però non ho voluto ripetermi e in “A metà luce” ho voluto lavorare con un’altra attrice, Marta Gastini.

 

I.G.: E quanto questa esperienza di attrice maturata nella prova precedente ha influito nelle tue scelte registiche?

A metà luce

Anna Gigante: Tanto, perché per me una cosa fondamentale all’interno di un film è la recitazione anche se i miei due cortometraggi sono entrambi praticamente muti, hanno pochissime battute; io credo che l’interpretazione sia alla base della riuscita di un film. Non può esistere per me un film che abbia bellissime immagini e poi una recitazione pessima, perché la recitazione per me è sicuramente uno dei punti più importanti di un film. Infatti io sul cast “A metà luce” ho lavorato tantissimo nella selezione dei provini con tante attrici, cercavo l’attrice che potesse interpretare al meglio il ruolo di Maria e sono molto felice di avere scelto Marta Gastini, nessuno meglio di lei avrebbe potuto interpretare questo ruolo. 

 

I.G.: Come lavorasti sul progetto di “Linea nigra”?

Anna Gigante: Al soggetto ho lavorato facendo un importante percorso sul personaggio del film come attrice, poi messo a punto la sceneggiatura: grazie a questo percorso mi sono dedicata moltissimo ai sopralluoghi, sono stata nella casa dove ho girato per lungo tempo, ho stabilito tutte le inquadrature  utilizzando molto la fotografia, perché avendo anche il compito di dover recitare, le inquadrature le ho decise tutte prima. Ma anche su questo “A metà luce” non sono arrivata sprovvista, sono arrivata sempre con delle decisioni già prese nel tempo, perché in entrambi i progetti ho avuto la fortuna di trovare dei padroni di casa molto accoglienti, che mi hanno dato la possibilità di lavorare molto sullo spazio e sull’aspetto visivo del film.

 

I.G.: E “A metà luce” invece com’è nato, proprio dal punto di vista della storia?

Anna Gigante: A metà luce” è nato dall’idea di questo bagno nella vasca dei libri, è nato proprio da quell’immagine, e poi da quell’immagine è nata la storia vera e propria: è come se io avessi avuto un giorno una specie di illuminazione, di ispirazione su quest’immagine di una donna immersa nei libri, e da lì è partito tutto il resto della storia. È nato proprio da un’immagine.

 

I.G.: Anche in “Linea nigra” c’è l’immagine di te in una vasca.

Anna Gigante: Sì, c’è l’immagine di me in una vasca. Il rapporto con l’acqua è presente anche nel lungometraggio che sto scrivendo, solo che non c’è il bagno in una vasca, questa volta c’è la presenza costante del mare.

 

I.G.: Come hai lavorato con gli attori?

Anna Gigante: Con Marta ho lavorato molto prima di arrivare sul set. Marta ha cominciato la preparazione del film conciliandolo con i suoi impegni, in quel momento lei era coprotagonista della serie dei Borgia, quindi ogni volta che era in Italia e avevamo la possibilità lavoravamo sul personaggio, facendo proprio un percorso, l’impostazione è stata la stessa di quando insegno recitazione cinematografica. Abbiamo fatto questo percorso bellissimo perché Marta è una grande attrice molto generosa, e abbiamo lavorato facendo delle esercitazioni e improvvisazioni, e poi, dopo avere messo a punto il percorso sul personaggio, abbiamo iniziato a fare delle prove sul ruolo che si sono concretizzate qualche giorno prima delle riprese provando ogni singola scena nei luoghi, e lo stesso è avvenuto con la bambina: nei periodi precedenti alle riprese, ogni volta che scendevo in Puglia, provavo con lei le scene che poi sono quelle che sono state realizzate nel film. Con la bambina sul set ci sono state un po’ più di difficoltà, perché ovviamente è una bambina, quindi guardava in macchina, aveva tutti questi corridoi molto lunghi, la macchina da presa proprio di fronte a lei (anche per un’attrice professionista è difficile non far cadere l’occhio in macchina quando ce l’ha frontale), e quindi ci sono stati dei rallentamenti per riuscire ad ottenere il meglio, ma sono molto molto contenta di avere scelto lei, è una bambina bravissima.

 

I.G.: Perché hai scelto di girare “A metà luce” in Puglia?

Anna Gigante

Anna Gigante: L’ho scelto perché c’erano dei luoghi che appartenevano alla mia infanzia che erano strettamente connessi con la storia, come lo stabilimento balneare (che è quello in cui sono cresciuta) che ha questo immaginario molto legato al vuoto, ha degli spazi di vuoto nel bianco che ricordano dei loculi, quel susseguirsi del passaggio dal cimitero al mare che per me era fondamentale perché io avevo nell’immaginario il passaggio da un luogo che ricordasse l’assenza e il vuoto, e quel susseguirsi di cabine vuote a me ha sempre dato nell’infanzia un’immagine di vuoto, di assenza, quando l’estate svanisce e rimangono gli oggetti lasciati nelle cabine, qualcosa che ha occupato uno spazio e che non c’è più. Inoltre penso che la Puglia sia una delle più belle regioni del mondo e fortunatamente anche la casa che ho scelto era in Puglia.

 

I.G.: Tornando all’attrice, a Marta Gastini,  ho notato una certa somiglianza fisica fra te e lei, non so se è voluta, però mi sembra che sia forte e interessante.

Anna Gigante: È una cosa casuale. Marta non mi somiglia per niente: è bellissima, ha i capelli lisci e neri, ma in realtà ha i capelli ricci come la bambina e quindi li abbiamo tenuti per la somiglianza con la bambina. Poi sul set Ciprì mi ha fatto notare la somiglianza e io non ci credevo, per me lei è una bellezza quasi giapponese, molto particolare quindi, effettivamente non ci somigliamo, soltanto che lei probabilmente, sapendo che era una storia che apparteneva alla mia persona, una storia personale, ed essendo un’attrice geniale, si è in qualche modo ispirata a me nella sua interpretazione senza che io l’avessi minimamente voluta questa cosa, perché io cercavo e ho scelto un’attrice profondamente diversa da me, però poi alla fine, essendo molto duttile, si è avvicinata a me fino a somigliarmi. Una cosa incredibile è che mio padre mi ha scambiata per lei. Giusto per rimanere in tema di incomprensioni. Ma  non è una cosa voluta. È capitato perché ho avvicinato il più possibile Marta alla bambina ed è emersa questa somiglianza con me, ma non era voluta. C’è stata anche una persona che mi fatto i complimenti pensando che fossi io. Ma se vedi le foto di Marta e le confronti con le mie, vedrai che non ci somigliamo affatto.

 

I.G.: Il tema centrale del film è appunto il rapporto fra padre e figlia. Perché hai scelto questo tema? Di solito in questi ultimi anni l’interesse era sul rapporto fra fratelli.

Anna Gigante: Era una cosa che volevo raccontare, che fa parte della mia vita, che mi ha molto segnato e l’ho voluto raccontare attraverso un film, solo che mio padre non era un bibliofilo ma era un artista del gelato e ha dedicato tutta la sua vita al suo lavoro. Ci portava cassette di frutta dicendoci che non erano buone per fare il gelato e dovevamo mangiarle noi, era ossessionato dalla qualità del gelato, però i motivi per cui può esserci un distacco tra un padre e una figlia sono veramente tantissimi e come ci sono papà che hanno un rapporto particolare con la figlia femmina, diciamo che mio padre aveva un rapporto più diretto con i figli maschi che con me e io l’ho voluto raccontare.

 

I.G.: In  questo film solo, ed è questa la sua forza, alla fine si comprende l’amore profondo che ha legato il padre alla figlia.

Anna Gigante: È così. Io ho sempre pensato che mio padre avesse un segreto e poi ho scoperto che questo segreto era la mia foto nascosta nel suo portafogli, e quando lui è stato ricoverato d’urgenza in ospedale per un problema cardiaco io ho trovato il suo portafogli, ci ho messo mano e ho trovato la mia fotografia: per me è stato scoprire che in realtà, anche se non lo dimostrava, il suo pensiero nei miei confronti era quotidiano.

 

I.G.: La forte valenza simbolica di questo film è anche nel titolo. Mi è sembrato che la fotografia abbia un ruolo fondamentale in questo film, La Luce è quasi un altro personaggio. Puoi spiegarci come hai scelto il titolo del film?

Anna Gigante: Sì, la luce è un altro personaggio, assolutamente sì. Il perché del titolo è legato a tre cose: uno, il significato che ha. Cioè che la donna ha passato in qualche modo la vita “a metà luce”, appunto, nell’ombra, dietro quella porta ad aspettare che il padre l’aprisse, quando in realtà c’era una luce diversa su questa storia, che è quella dell’amore profondo che lui ha per lei; secondo, c’è la canzone del ballo, che in spagnolo – a media luz – significa appunto a metà luce e poi terza, ma non ultima, la scelta della fotografia: a me è sembrato di rendere un omaggio a questo lavoro straordinario che ha fatto Daniele Ciprì su questo film, perché ogni inquadratura è veramente un’opera d’arte fotograficamente, la scelta fotografica è importante, abbiamo anche economicamente dedicato un budget importante per la fotografia, perché il film è girato in 35 mm – e secondo me si vede – e girare in pellicola di questi tempi non è facile ed è molto costoso, però, come dici tu, la luce era un altro protagonista, quindi era come aver pagato un attore professionista di successo. È stata una mia scelta fatta a monte, confermata da Daniele e abbiamo difeso fino in fondo questa scelta. Sono molto contenta del lavoro e sono grata a tutte le persone che hanno collaborato con me per realizzarlo. Sono molto contenta di aver avuto la nomination al David di Donatello e di aver partecipato al Giffoni e al Castellaneta Film Fest.

 

Written by Irene Gianeselli

 

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