Intervista di Carina Spurio a Piera Ruffini ed al suo “La battaglia dell’acqua e del fuoco”
Sono idee. Idee che vanno analizzate. Alcune saranno abbandonate, altre, si trasformeranno in storie. Dimorano incomprese per lungo tempo nei sotterranei dell’anima, luminose o in forma di scure crepe, ci offrono ancora sorprese dentro perimetri di magnifica insania che nessuna ragione può direzionare.

In fondo è tutto qui il segreto dell’arte, che si rigenera nell’impronta inevitabile di un elaborato, in una voce che vuole cantare, in intime memorie che diventano strutture. Vi sto per presentare una raccolta di racconti che si differenziano tra loro per la tipologia dei personaggi indissolubilmente legati dal filo conduttore della verità. Un libro che tra l’acqua e il fuoco, tra sogno e realtà, tra terra e cielo, illumina e sollecita, avvicina al sogno, alla ricerca di un altro sapere, alla profondità di un universo personale che vuole risorgere.
“La battaglia dell’acqua e del fuoco” è il titolo del libro di Piera Ruffini, la quale, con grazia descrittiva, concede ai suoi personaggi di cercare la verità, lambendo i sipari dell’inconscio e delle vite private come l’acqua, illuminando con la parola tutto quello che non è consapevole e visibile, affinché gli stessi, possano maturare una rinascita. Piera Ruffini, ci regala fotogrammi umani che provengono dagli abissi dell’anima, sapientemente trasformati in parole, per evitare che le sue creature scompaiano inghiottite dalle acque. Sembra chiara l’analogia con il meccanismo dell’introiezione e dello sprofondamento dell’Io nell’inconscio, ancor più chiara, l’evidente capacità di sintesi dell’autrice, pronta a muoversi dentro uno spazio limitato e raccontare le storie in maniera elegantemente condensata.
Sappiamo che l’acqua e il fuoco sono due elementi in contrasto tra loro, che l’acqua non ha confini fissi e che il fuoco purifica mentre consuma. E ancora, che l’acqua obbedisce al principio dell’estensione, e conseguentemente all’allargamento del campo di coscienza e il fuoco, che da secoli, porta con sé l’archetipo della distruzione perché può manifestarsi con violenza ma anche in maniera subdola. Mentre proseguo nella lettura dei racconti di Piera Ruffini, il grigio infame del cielo di un maggio che sembra novembre, s’attenua. Nonostante tutto, il panorama è bellissimo, vagamente nordico, adatto all’introspezione, talmente perfetto che aumenta la consapevolezza che la realtà, se non la descrivi con le parole, toglie molto all’immaginazione. Questa convinzione si accentua mentre scorro le prime pagine del libro di Piera Ruffini e mi preparo a possedere le sue idee. In questo atto sembra di visualizzare i pensieri senza forma che s’infrangono sulle tempie come una tempesta associabile al parto della mente, che si innesca quando le idee premono per uscire e trasformarsi in prosa: accade agli esseri umani che amano la scrittura, uomini e donne, indistintamente. Questo concetto lo ripropone anche Piera Ruffini nel suo primo racconto dal titolo ‘A volte accade’ e scrive: “Accade che il tuo sguardo si stabilisca per qualche ora ad ammirare le righe bianche di un foglio che strepita nell’essere riempito, imbrattato, colmato di vibrazioni e anche di abbagli, di quegli abbagli che sono propri di un’assunzione smisurata di farmaci. Accade che la tua testa vagheggi e che tu, a quel punto, la lasci andare…”
Un’emozione intensa può davvero far partire una testa e quando una testa parte, deve partire: per tornare al mondo la testa deve partire. Così, Piera Ruffini, ha lasciato andare la sua testa e si è immersa dentro se stessa senza sapere quanto tempo sarebbe servito per attraversare il suo mare, né dopo quanto tempo avrebbe ripreso fiato. Ha preso un bel respiro. Ha nuotato lentamente, centellinando l’ossigeno che ha portato con se per rinascere al suo riemergere, nell’attimo in cui: “Acastro spegneva le sue luci mentre i due amanti fuggivano stretti nella morsa della curiosità del loro nuovo sogno.” “Non patisce mancanza chi non sente desiderio” diceva Cicerone. E mi ritrovo a percepire la grande mancanza di una donna che scrive mentre entro timorosamente nel suo fantastico abisso privato e incontro il fuoco della sua passione. Buona lettura!
C.S.: Cosa l’ha spinta a scegliere la forma breve del narrare?

Piera Ruffini: Non ho scelto io questa sintetica struttura comunicativa, è la stessa che mi è venuta incontro senza che ne fossi davvero consapevole. Mi ha conquistata nei momenti di nostalgia di un’immagine, di osservazione di un paesaggio naturale, di una luce fissata nella sera, traducendo – è evidente – la mia propensione a voler trovare un’alternativa alle crostate da fare in casa. No. In realtà, mi ha dato musica anche quando riponevo le cuffiette, è stato un naturale divenire carta e inchiostro. Trovo il breve racconto simile alle fiabe parlate davanti ad un camino o ad una lampada prima di aprirsi alla notte e ai sogni. Affine ai cortometraggi che solleticano rapimento con la medesima densità emotiva di una favola. Qualcuno lo considera un profilo narrativo debole, ma a mio avviso la grandezza non si misura nell’altezza o nei numeri dei versi, piuttosto nel sentire in quelle parole se e quanto albeggi il culmine dell’intensità.
C.S.: ‘La vita o la si vive o la si scrive’, diceva Pirandello. Lei ritiene di aver fatto entrambe le cose?
Piera Ruffini: Direi che se non la vivo, la scrivo, la invento, la creo. Mi maschero da una Beatrice o un Giacomo da cui prendo e “rubo”. Certo, tante altre volte regalo. Cosa? Il mio mondo reale, il mio aver guardato ed il mio guardare. Sì, scruto il camminare sbadato e privo di cura dell’uomo contemporaneo che non si accorge delle crepe sui talloni di chi gli sta accanto, delle ferite che lo abitano e della contestuale tenacia di poterle disinfettare con la fermezza di un dottore. Ma nella rovina di una società incivile sempre più in mano alla barbarie, alla confusione e alla provvisorietà, inseguo il miraggio dell’irrimediabilità alla luce più che a quella dell’oscurità. Perché credo che ciascuno, me compresa, abbia una nostalgia della purezza originaria, che per quanto dolente, eleva ed esorta sempre a crescere, a migliorare. Anch’io resilievo e non lo sapevo. Beh, da testimone del mio tempo mi sono lasciata tormentare e deliziare sia dalla scrittura che dalla vita.
C.S.: Può raccontare ai nostri lettori in che modo ha organizzato il suo processo di scrittura? I racconti hanno preso forma nella sua mente in ordine cronologico o casuale?
Piera Ruffini: Scrivo da molto. Frammenti di romanzi, appunti di viaggio o note della giornata. Avevo immagazzinato molto materiale cartaceo e sapevo che avrei presto dovuto dare una dimensione fisica più coordinata al tutto. Così, senza alcuna direttiva o criterio mentale, di procedimento, di pianificazione, ho scartato e rimodellato personaggi, assemblato il dolore della loro consapevolezza e affidato ai colori la gioia di ognuno di tornare. Tornare a casa, tornare ad essere umani, a destarsi per il calore individuale, solidale, ad insorgere per l’anima.
C.S.: Come è riuscita a muoversi tra le tante e diverse figure tenendo in equilibrio il filo che le unisce?
Piera Ruffini: Ho voluto offrire agli spaccati del mio immaginario la possibilità di espandere elettricità sui dettagli, sui particolari. Mentre lavoravo per dare lineamenti e contenuto ai protagonisti degli otto racconti, ho consentito loro un’opportunità magnetica e vibrante che mi si rivelava pian piano. Quella di osservarsi al di là dello specchio, perché rimanessero in ascolto, in silenzio, per una doverosa revisione di sé stessi, per il solenne giuramento di ritrovarsi, per i raccolti più verdi e rigogliosi dei nuovi giorni. Non c’è conoscenza senza trasformazione, anche in un clima di conflitto esistenziale, di amarezza e di equidistante forza nel riconoscere la bellezza della propria unicità. Ho ceduto al principio folle di ottimismo, anche quale mezzo di resistenza allo spirito del nostro ‘momento’, tanto che le figure raccontate nel libro non potessero smettere mai di cercare, di cercarsi.
C.S.: In che modo arriva alla Aletti Editore?

Piera Ruffini: Non sono un’accorta conoscitrice dell’universo editoriale. Mi sono imbattuta accidentalmente sulla notizia di un concorso letterario attraverso Facebook e, quasi incoscientemente, vi ho partecipato.
C.S.: Nel primo racconto, il finale ardito consola la maggior parte degli amanti clandestini che raramente hanno il coraggio di ribellarsi e di prendersi le loro responsabilità e lei lo sottolinea in questo passo: ‘A volte accade di attivarsi coraggiosamente per rovesciare quel piccolo dipinto, immortalante un misero convenzionalismo in cui tutti si reggono in una stabilità fasulla e provvisoria. A volte accade che si voglia divorare quell’oppressore, nemico della libertà dolorosa e felice. A volte accade, in un istante.’ S’intravedono l’azzardo e la liberalizzazione della clandestinità nel suo finale …
Piera Ruffini: Mi auguro non venga interpretato come un inno all’adulterio, ma come un tenace impulso al coraggio e all’onestà. che strozzava il suo anulare non c’era più e c’era voluta la sbadataggine di un bimbo a liberarla da quel simbolo di detenzione che pur aveva amato ma divenuto nel tempo un cattivo esempio di reclusione di un sentimento ormai sbiadito e usurato.Sono da sempre distante dai canoni, dagli stereotipi, dal povero e falso conformismo che strangola e strozza questi esempi di reclusione di sentimenti sbiaditi e usurati. In fondo, le ristrette convenzioni che intrappolano la felicità non sono altro che l’asta a cui si lega quell’aquilone che non potrà mai volare. Tifo per la lealtà e la chiarezza nella sfera affettiva, da quando ho acquisito percezione e coscienza dell’aquilone.
C.S.: Quali sono stati gli autori che hanno influenzato il suo modo di scrivere e quali sono quelli che le sono più cari?
Piera Ruffini: Il mio esordio di lettrice è stato contrassegnato dal fuoco della narrativa latinoamericana. Da Neruda a Marquéz, dalla Allende alla Serrano, da Saramago a Galeano. Un altro tipo di respiro, caldo e travolgente, uno sguardo del possibile, del dialogo e della comunità. Ho letto con loro tanta ricchezza, intelligenza, umanità. Poi ho dislocato la lente di ingrandimento sul panorama orientale, su quello delle autrici dell’Est, come la Szabò, fino ad innamorarmi del Novecento italiano e più tardi, ancora più intensamente, di Philip Roth e Alejandro Jodorowski. Così diversi, ma sempre uguali nell’omaggiarmi di vigorose scosse emozionali.
C.S.: C’è una persona particolare a cui ha voluto dedicare questo suo libro d’esordio?
Piera Ruffini: Oltre a mia figlia, contemplata in una delle brevi storie, ho immaginato quale reazione potesse avere avuto mio padre se fosse stato ancora in vita. Ed ho sognato un abbraccio, lungo, energico, colmo di vanto e di dolcezza. Ecco, è a quell’abbraccio che ho voluto dedicare ‘La battaglia dell’acqua e del fuoco’.
C.S.: Nel suo commovente settimo racconto dal titolo ‘Il canto universale del mare’ scrive alla sua Principessa, presumo sua figlia: ‘Sai quanta determinazione nell’inseguire quel sogno di giustizia? Una fame soddisfatta prima con la scelta di intraprendere gli studi in Legge, poi con quella di ricoprire ruoli amministrativi ed istituzionali, al Comune in qualità di Assessore con delega alle Politiche Sociali, alla Commissione provinciale Pari Opportunità, come vicepresidente. Non ero distratta in quel periodo, mia dolce gioia, ero parte attiva della società, illusa che il mio contributo valesse a realizzare un mondo migliore.’ A questo punto invece le chiedo: alla Commissione Pari Opportunità si tende a combattere esclusivamente contro la violenza sulle donne ma spesso si esclude la violenza delle parole a forma proiettili, cordialmente confezionati contro un’altra donna. Le donne sono sempre donne, sia se subiscono violenza fisica, sia se sopportano una discriminazione gratuita per fiato di un’altra donna. Ha mai sensibilizzato le donne in quest’ultimo senso, a volte più doloroso?

Piera Ruffini: Concordo sulla sconsiderata capacità delle donne di stillare violenza verbale, psicologica e materiale sulle altre donne se governate da competizione insana, irragionevole avidità nell’ostacolare il percorso delle altre e persino omertà nell’avallare certe sfumature di prevaricazione. Non esiste una distinzione di genere sulla fabbricazione della brutalità. Per queste ragioni provo a trasferire a mia figlia, che sarà presto una donna, la gentilezza nelle parole, nei pensieri. Tento di farlo anche con le mie nipoti, la nostra è una famiglia di modulazione prettamente femminile. C’è una massima orientale che dichiara che la delicatezza delle parole crea fiducia, quella dei pensieri genera profondità, quella dei doni concepisce amore.
C.S.: Dal suo cassetto un sogno è già divenuto realtà. Crede che in un prossimo futuro ci regalerà altra raffinata prosa?
Piera Ruffini: Sono diversi i progetti in cantiere, uno più articolato e temerario, anche esageratamente temerario. Per questo evito di parlarne.
C.S.: Secondo lei chi è Piera Ruffini?
Piera Ruffini: Una mente costantemente in viaggio, credo.
C.S.: Vive a Torano Nuovo in provincia di Teramo. Qual è il rapporto con la sua terra?
Piera Ruffini: Vivere in un minuscolo paese di provincia implica l’accettare anche un alfabeto espressivo superficiale, o troppo lezioso o troppo sdegnoso. Si è digiuni di grandi opportunità, non di certo di pregiudizio, indifferenza e persino di dozzinale ed eccessiva lusinga; ma si è anche inclini alla ricezione dell’educazione all’immensità del piccolo e del semplice. È un contrasto fra intimità e sconforto, mediocre sopravvivenza e sensibile genuinità, inettitudine della condizione umana e saggezza di chi ha visto, sentito, compreso. Poi ti accorgi che il tepore tra mura e mura, la terra, giardino e ventre di vigneti, sono un focolare, il tuo focolare che ha qualcosa di sacro e di miracoloso. Forse non è un caso che abbia deciso di restare e addirittura di vivere nel centro storico di Torano, grembo e nido inadeguato nello stimolare, ma sicuramente abile a consolare.
Piera Ruffini è nata nel 1975 e vive a Torano Nuovo, Teramo. Laureata in Giurisprudenza, attualmente collabora con diversi periodici di informazione e riviste culturali e con alcune emittenti televisive private.
Written by Carina Spurio