“Fiore di roccia” di Ilaria Tuti: un’eroica e fragile durezza

“Se non fossi quello che sono, fuggirei. Invece resto inchiodata al terreno, assieme alle altre.”Fiore di roccia

Fiore di roccia di Ilaria Tuti
Fiore di roccia di Ilaria Tuti

Fiore di roccia di Ilaria Tuti è un romanzo, ma è soprattutto un poema. Il che significa tutto, tante cose, oppure nulla. In altre parole: è una narrazione appassionata e poetica.

Non è soltanto la vicenda storica e psicologica che interessa l’autrice, ma è anche il suo rapporto con le parole che magicamente hanno il potere di avvolgerla e di farla brillare, come un fiore a forma di stella, che spunta solitario su un costone di roccia. Non so se lo è anche il Paradiso (come cantavano i Litfiba), ma la Storia è un’astuta bugia, l’unica però che possiamo tentare di raccontarci. In questa visione, l’uomo è, a seconda del periodo, il Diablo, oppure il condannato alle pene dell’Inferno.

Da un lato ci siamo noi, dall’altro ci sono loro. Noi siamo loro per loro, loro sono i nostri antagonisti. Voglio ripeterlo finché campo: la guerra è il peggior cancro di cui è affetta l’umanità.

Poi vi sono anche altre tragedie, come l’orrendo terremoto che colpì il Friuli nel 1976.

Ilaria Tuti è di Gemona, il paese che fu allora più colpito.

Il primo capitolo de Fiore di roccia è datato Maggio 1976:Affondò le rughe delle mani in quelle della terra, in un gesto che racchiudeva la tenerezza del ritorno alle origini, il cercare le radici sul fondo umido, annodare le dita e…” – così inizia il dire dell’io narrante, che è una donna ricca d’eroismo e di virtù, non sempre affabile, quasi mai allegra, ogni volta determinata a essere e a esistere nella modalità che lei giudica essenziale.

Ho interrotto il suo discorso perché non mi sembra giusto abusare del suo dire, che le appartiene dall’inizio alla fine. Mi limiterò anche nel prosieguo a riportarne alcuni passi, quando non posso farne a meno.

La sua narrazione precipita subito dopo, nel secondo capitolo de Fiore di roccia, al Giugno 1915, la Guerra. É quando capita una disgrazia, che si coglie il senso della “felicità” – che è “a volte”, il “constatare che nulla è mutato.”: solo allorché ti viene un mal di denti rimpiangi il benessere del giorno prima…

Esamino la tua seconda frase, cara:La felicità, in fondo, è anche ostinata disciplina mentale.” – ed è anche vacanza di pensieri, ché tutto un giorno e una vita sui banchi di scuola, nel senso esistenziale dell’espressione, sarebbe eccessivo. Io amo leggere, scrivere e ogni tanto mi quieto un po’, mirando un oggetto e perdendomi in esso, nel dolce non esistere se non nel suo mistico alveo. Ecco perché ammiro tanto questo tuo anche.

Tuo padre, dici, è “analfabeta – mentre tua madre insegnava alle elementari e a casa, a te: “I suoi libri. Tappezzano l’intera parete. Sono sempre stati il suo tesoro più prezioso, li ha disposti minuziosamente secondo il colore.” – che è uno degli aspetti della lettura che meno si conoscono. Ognuno di noi legge i libri perché dopo li saprà sistemare al meglio su uno scaffale.

Una perla spazio-temporale che dà il senso dell’infinito: “L’oggi sembra ignaro di se stesso.”

e subito dopo un’altra: “Non c’è pietra che non possa ruzzolare, i vecchi lo ripetono da sempre.” – sai quante volte anche loro sono inciampati da quand’erano bimbetti?

“Donne che non sanno fare la guerra, che non hanno titolo di studio per capirla.” – tu ce l’hai, ma devi lottare per accettarla, e non so come finirà. Anzi, un po’ lo so, avendo letto tutto il tuo romanzo, cara. Questo non significa che l’abbia capito del tutto.

“Se non fossi quello che sono, fuggirei. Invece resto inchiodata al terreno, assieme alle altre.” questo mi piace di te, più ti senti diversa e più vorresti assomigliare ai tuoi simili, non per vergogna di quel che sei, ma perché senti che anche nell’Altro c’è una parte che t’appartiene, come tu appartieni a lui, o a lei. Chiamala, se vuoi, fratellanza, sorellanza, o come ti pare.

“… il sollievo, talvolta, è il dolore che si espande in membra atrofizzate, invade gli interstizi abbandonati dalla volontà.” – è il perdere momentaneamente una parte di se stessi al fine di sopravvivere, come si amputa un pezzo di carne infetta?

Per dare un’idea al lettore del tuo lettore, il tuo, il vostro romanzo è sulla linea di L’Agnese va a morire di Renata Viganò, anche se, naturalmente, i tuoi pensieri sono tuoi (sono vostri), e quelli di Agnese sono suoi e della sua autrice. In comune avete il terribile momento storico che vivete e il dovere che sentite di dover assolvere al fine di difendere la terra dei vostri avi, quella che ingiustamente si chiama patria.

Questo concetto poco m’appartiene, mentre amo quello di famiglia, magari allargata il più possibile. Sono idealista, come lo sei tu, ma ognuno di noi lo è a modo suo.

“Chi può sorridere davanti a tutta questa devastazione, se non chi vuole con tutta se stessa continuare a vederci la vita?” – la differenza tra noi due dipende in primo luogo dal periodo storico che abbiamo vissuto.

C’è chi dice (ma poi si pentirà d’averlo fatto): “Siete donne, non vi è richiesto di capire le esigenze della guerra.” – beata l’ignoranza, allora!

Tu, a quello, dici: “Il mio nome è Agata Primus.” – una pietra dura e primeva!

Lo sai, Agata, lo sai, Ilaria: ogni attimo del vostro dire è brillantemente dorato! La guerra è un tornare indietro della Storia: “Sembra che il conflitto abbia riavvolto le ere, riportando in superficie usi primordiali.” – ingiustamente detti bestiali, perché la più immonda bestia è l’uomo che uccide il suo pur lontano consanguineo. Neanche i lupi lo fanno. Quando il soccombente capisce d’essere stato sconfitto, avvicina la sua gola alle fauci dell’Altro, che non può che graziarlo. Quando impareremo un po’ di etica da quei virtuosi canidi?

“Se, se, se,…” – questa particella t’impone ogni volta di scegliere. La vita poi ti dona, a sua discrezione, la giusta dose di tempo per poterlo fare, che non è mai quella che tu giudichi sufficiente. Ma devi farlo. Forza, allora!

Atrocemente bello: “… la terra è nera e grassa, ribolle dei corpi in decomposizione sepolti ovunque.”sic transit gloria mortis.

Nel portare quei carichi, che a volte sono forieri di distruzioni incipienti, la tua compagna sente “i seni doloranti.” – quella parte del corpo che serve innanzi tutto a nutrire… pensa te!

Che tragica entropia è la guerra!

“Sul mio volto inizia a soffiare il vento d’altura che bisbiglia tra burroni e vette, spiana il pal e ringhia nelle forre con alito di abisso…” – stai scivolando nel pieno del Kaos! – “… ci stiamo avvicinando alla prima linea.”

Definizione di “cecchini”:Figli di Cecco: Francesco Giuseppe, imperatore d’Austria-Ungheria.” – buono a sapersi e a saperli scansare.

S’inserisce ogni tanto ne Fiore di roccia il racconto in terza persona (e in corsivo) di un misterioso individuo, che un (bel?) dì conoscerai di persona: “Non c’era alcun lupo. Era lui il lupo.” – lo sai (e non scherzo!) avevo in prima battuta scritto pupo?

Roccia mia, hai così tanta “paura”:Che la mente non regga…” – e che “il nero contamini ogni altro colore.” Alberto Burri, Pablo Picasso e Jackson Pollock hanno dipinto tanta violenza quanto l’hanno vissuta. Anche tu Agata, anche tu, Ilaria, grazie a lei. Anch’io, grazie a voi due!

“Il capitano Colman si ostina nell’abitudine che più detesto, ma che ormai me lo rende familiare.” – ama star voltato di schiena a chi sta parlando. Ma cambierà, anche lui, vedrai, ma si girerà, di lì a poco, su tua espressa richiesta.

Tu sei una che non lascia mai sospeso un discorso. Anche quando getti la tua ennesima pietra: “La forza pare essere la nostra condanna.” – e con questo il discorso si fa oscuramente chiaro. Fra voi due si sta stabilendo un rapporto, che non riuscirò a definire.

Ci sono tanti personaggi di cui vorrei parlare, per esempio quella “Viola” – ma la voglio lasciare integra per chi la conoscerà di persona. Tu dici: “Provo pena per lei, provo pena per ogni cucciolo di speranza che morirà di fame.”

Sai sempre sorprendere quell’uomo – “Il comandante” – ora gli stai sparando un’insolente verità che anche lui non può che accettare: “Orgoglio e ignoranza uccidono, più degli austriaci e più delle valanghe.”

Dopo di ciò t’imbatti in quell’Altro Lui, che sottoponi al tuo fuoco e al tuo amore. E di cui non voglio più parlare, per non disturbare la vostra salvifica passione, se non riportando il suo nome: “Ismar”.

“Non ci sono confini che attraversano questa casa, se non quelli stabiliti dalla paura.” – ed è quello che accade in tutto il globo terracqueo, solo che si potesse far qualcosa per superarla!

Ilaria Tuti citazioni
Ilaria Tuti citazioni

A pagina 217 de Fiore di roccia ti esce la più sacra delle banalità: “Altri. Siamo sempre ‘altri’ per qualcun altro. C’è sempre un sud e un nord, un est e un ovest. Non hanno forse anche gli altri una madre e un padre che li aspettano? Non hanno anche loro diritto di vivere?” – e di possedere quel minimo che gli permette di esistere? È un discorso che deve valere ovunque, non trovi?

“E così l’ho intravisto, smarrito quanto me, famelico di giorni futuri, questo nemico così simile a un uomo.”certo che, Agata-Ilaria, tu sì che sai dire le tue cose…

“Il dialetto di Timau arriva immutato dal Medioevo eppure è vivo, è strumento di incontro, è qualcosa che a un certo punto della Storia ha unito le nostre genti.”: fra cui ci sei tu, ilare Agata, c’è Ismar, ci sono io… se mi accettate nel club… anche nel mio dialetto c’è qualche elemento germanico: per esempio trinchêr: Prosit, ordunque!

Scusate, amici, ma sono un po’ stanco e… ed è l’ultimo bicchierino che dà la balla!

“Il coraggio è sempre stato il concime di questa terra.”al rûd padî, lo stallatico lasciato a stagionare.

In guerra a volte succedono dei misfatti orrendi, e anche dei mezzi miracoli, come l’incontro fra nemici, come quello descritto da Mario Rigoni Stern in Il sergente nella neve.

A pagina 268 scrivi di “un episodio di fraternizzazione tra linee nemiche opposte, in quota, sulla vetta Chapot.” – ove a volte manca un po’ l’ossigeno e si comincia a sragionare, a vedere lo Yeti, per esempio, oppure a pensare che l’antagonista è un fratello con cui puoi condividere una parte di quel che sei e di quel che hai.

E su questo pensiero, anziché sull’eroismo di quell’uomo, che vorrei chiudere il mio discorso, specie dopo aver letto quella terribile tua asserzione che chiude il capitolo 44: l’ammiro, e non riesco a calpestarla, e perciò mi duole tanto!

Riesco però a riportare quella che conclude il capitolo 46: “Dico sì, mentre i primi passi petali cadono. Il fiore è stato reciso.”

Nella vita occorre scegliere, come diceva Søren Kierkegaard: Enten-Eller.

Tu, agatesca Ilaria, lo fai scrivendo. Anch’io. Nel mio piccolo e nel tuo grande, siamo la prova che anche l’antagonismo è benedetto, purché non conduca alla morte, bensì al rispetto reciproco. Al prossimo tuo dono, cara!

 

Written by Stefano Pioli

 

Bibliografia

Ilaria Tuti, Fiore di roccia, Longanesi, 2020

 

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