Vincitori e Finalisti del Contest letterario “Versi di Sardegna ‒ Quarta Edizione”

Si è conclusa il 5 ottobre 2025, a mezzanotte, la possibilità di partecipare al Contest letterario di poesia e racconto breve “Versi di Sardegna ‒ Quarta Edizione” promosso da Oubliette Magazine, dagli autori e dalle autrici dell’antologia e dalla casa editrice Tomarchio Editore.

Contest Versi di Sardegna Quarta Edizione
Contest Versi di Sardegna Quarta Edizione

La giuria del contest “Versi di Sardegna ‒ Quarta Edizione” (Alessia Mocci, Giovanna Fracassi, Franco Carta, Rosario Tomarchio, Simona Trunzo, Maria Carmela Dettori (in arte Maricà) e Luisella Pisottu) ha decretato i 14 finalisti dai quali sono stati selezionati due vincitori per ognuna delle categorie in gara.

Il premio per ciascuno dei vincitori consiste nell’invio di una copia dell’antologia “Versi di Sardegna ‒Quarta Edizione”, edita a giugno 2025 da Tomarchio Editore ed avente le raccolte di Alba SannaAnnalisa Atzeni;  Fabio Masala;  Franco Carta;  Italo Cappai;  Laura Dessì;  Luisella Pisottu;  Maria Antonietta Manca;  Maria CauMaria Luigia Unida;  Ottavio CongiuRaffaele Ciminelli;  Teresa Anna Coni e  Valerika Oliver (con Special Guest Marco Leonardi ed Aldo Turnu).

Oggi, vi presentiamo tutti i finalisti ed i quattro vincitori ex aequo del Contest “Versi di Sardegna ‒ Quarta Edizione” (due per ogni sezione).

Tutte le opere partecipanti al Contest letterario “Versi di Sardegna ‒ Quarta Edizione” possono essere lette cliccando QUI.

È attiva la selezione di poeti e poetesse per la quarta edizione dell’antologia “Conversazioni poetiche ‒ Quarta edizione”, in caso di interesse rivolgersi alla casa editrice (e-mail: tomarchioeditore@gmail.com).

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FINALISTI

Sez. A (poesia)

Antonio De Serio con “Scrivere”
Angela Maria Malatacca con “Linea Sud (verso la Calabria)”
Serena Lombardo con “La dea Ombra”
Antonio Dell’Isola con “Lacrime d’umanità”
Donatella Ronchi con “Rimpianti”
Alice Silvia Morelli con “Il desiderio di essere”
Federica Canepa con “Lo scialle”

Sez. B (racconto breve)

Peter Hubscher con “Lanzi e il manoscritto di Messer Matteo”
Serenella Menichetti con “Il processo”
Ignazio Salvatore Basile con “L’uomo che viaggiava con la morte in tasca”
Jean Bruschini con “L’inganno”
Alberto Diamanti con “I ragazzi della sezione E”
Amelia Belloni Sonzogni con “La strada”
Michela Giorgio con “L’ora delle streghe”

OPERE VINCITRICI “Versi di Sardegna ‒ Quarta Edizione”
Sezione A ‒ Poesia

Serena Lombardo con “La Dea Ombra”

Io sono l’Ombra,
figlia del crepuscolo languente,
generata prima che Chronos contasse i giorni.
Quando gli uomini
confidavano ai sassi il segreto del sangue,
io mormoravo ai venti boreali,
vestita di silenzio e profumata di bruma,
svelando le verità taciute nei secoli.
Sono la Dea del non detto,
del passo esitante sul ciglio dell’abisso,
del pensiero che si dissolve
come neve sul palmo caldo dell’anima.
La mia effige giace, consunta,
tra le radici del bosco vetusto,
coperta di muschio e d’oblio,
mentre gli Dei fulgidi brillano nei canti,
nutriti da libagioni e preghiere mielose,
come Apollo nei templi d’oro.
Io sono la madre del dubbio,
la voce che nasce quando il silenzio è troppo greve,
quando le Moire sospendono il filo della vita
e il destino attende, incerto.
Vedo i sogni che non osano germogliare,
le lacrime che non trovano fonte,
i desideri che fremono sotto la pelle.
Non invoco culto, né incenso, né altari.
Solo il poeta mi basta:
egli mi ode, mi accoglie,
e nei suoi versi mi fonde
al respiro segreto delle Figlie della Memoria
consegnandomi al fulgore dell’eternità.

 

Alice Silvia Morelli con “Il desiderio di essere”

Il desiderio di essere
Leggera vola l’anima, stamane,
tra brezze lievi e soglie lontane…
Non è presenza, non è abbandono,
ma un respiro sospeso… o forse un suono.

La vita… la tua, la mia,
la poesia…
scivola via come melodia,
resta o svanisce, sogna o diserta…
è un’onda che danza e poi si disperde.

Come rugiade che si offrono al primo chiarore,
in un oblio che sa d’amore…
Follia? Equilibrio?
Chi può saperlo
dove finisce il cedere,
dove il volere…

L’amore profondo è un punto d’ombra,
è luce che cade, è stella che sgombra.

E forse è solo voler essere al mondo,
nell’andirivieni dell’infinito fondo…
tra dolcezza che scalda e amarezza che resta,
tra cielo che sfuma e terra in protesta.

Gioia che canta,
dolore che geme…
la parte che brilla o quella che teme.

Apparire o dissolversi in un sogno,
fiorire nel giorno o svanire nel sonno…

La vita non ha verità da offrire…
solo il dono fragile di esistere,
e noi quello di sentire.

Sezione B ‒Racconto breve

Jean Bruschini con “L’inganno”

Hans Müller aveva conosciuto la gloria sulle scene del teatro di Berlino, tra applausi e luci che trasformavano ogni respiro in eternità. Poi, le leggi razziali lo avevano esiliato, rendendolo invisibile agli occhi del mondo che lo amava. Ebreo, e quindi colpevole di esistere.

Negli anni Trenta, il nazismo di Hitler aveva imposto terrore e propaganda ovunque, dai teatri alle scuole. La supremazia della cosiddetta razza ariana doveva essere esaltata, mentre chi era diverso veniva emarginato, perseguitato e spesso condannato a morte. Per Hans, la vita era diventata una recita quotidiana in cui il nemico era ovunque e il pericolo invisibile.

Non poteva rinunciare all’arte. Si rifugiò tra le Alpi, dove il silenzio dei boschi cancellava il passato. Lì lasciò crescere la barba e tinse i capelli, che apparivano biondi alla luce del sole, sufficiente a trasformarlo in Franz Bauer, contadino e attore autodidatta, figura semplice pronta a ingannare chiunque.

Quando si presentò al Teatro Nazionale di Berlino, il direttore lo scrutò con uno sguardo che penetrava come lame. Fumava un sigaro, e ogni sbuffo di fumo si riversava sul volto di Hans come se lo interrogasse senza parole.

«Buongiorno, signor Bauer. Mi dica, da dove viene?»

«Da un piccolo villaggio della Baviera, alle pendici del Großer Krottenkopf, signore. Sono autodidatta,» rispose Hans, modulando un accento rustico, sicuro e tremante al tempo stesso.

Il direttore annuì, osservandolo attentamente mentre il fumo gli avvolgeva il viso.

«Un attore per hobby? E come ha imparato a recitare?»

«Ho sempre amato i libri e le storie. Recitavo per me stesso, poi per gli amici… qualche spettacolo nel villaggio. Mai una vera formazione, signore,» mentì Hans, piegando l’umiltà come un’arma.

«E quali autori predilige?»

«Goethe, Schiller… Brecht e Mann,» disse, scegliendo le parole come pietre da lanciare nel cuore del direttore.

Il direttore sbuffò di nuovo, e il fumo del sigaro formò un piccolo vortice tra loro. «Molto bene,» disse, con voce calma e glaciale. «Reciti una scena da uno dei suoi autori preferiti.»

Hans scelse Faust, la contrattazione dell’anima con il diavolo. Ogni parola era carica di memoria e dolore, ogni gesto un ricordo dei sogni infranti. Quando finì, il silenzio pesò sul direttore, mentre il fumo sembrava sospendere il tempo.

«Bravo! Un talento naturale!» esclamò il direttore, sbuffando fumo verso Hans come a testarne la reazione. «Vuole far parte della mia compagnia? Sarà protagonista nella mia nuova opera: L’amore vince tutto. Venga, le mostro ora l’attrice con cui dovrà lavorare… la nostra bella Ewa.»

Hans avvertì un gelo attraversargli la schiena. Il nome gli gelò le parole sulle labbra, e quando voltò lo sguardo, il cuore gli esplose nel petto.

La voce di Hans vacillò appena, ma riuscì a controllarsi:

«È… un onore conoscerla, signorina… Ewa?» disse, mascherando il tumulto che gli bruciava dentro.

Ewa lo guardò appena, un lampo di riconoscimento nei suoi occhi, rapidamente celato da freddezza calcolata. «Piacere di conoscerla, signor… Bauer. Spero che lavorare insieme sarà… fruttuoso,» disse, modulando la voce con cura. «Mi chiamo Ewa, Ewa Weber.»

Il direttore, il sigaro ormai ridotto a un mozzicone, notò la tensione tra loro e la interpretò come scintilla artistica.

«Benissimo! Vedo già un’intesa,» disse, con un sorriso calcolato. «Farete scintille insieme!»

Ewa, la donna che credeva morta, era davanti a lui, accompagnata da un ufficiale delle SS, suo attuale marito. Non era ebrea, e Hans l’aveva conosciuta prima che l’odio razziale cambiasse la loro vita. Un giorno era uscita per fare compere e non era più tornata. In pieno centro, un bombardamento aveva trasformato la città in macerie, e Hans aveva pensato che fosse stata uccisa. Ora era lì, fingendo di non conoscerlo, ma Hans capì subito che lo aveva riconosciuto. Il cuore gli batteva all’impazzata, la voce quasi inciampava, poi si riprese.

Hans sentì il peso del mondo su di sé: menzogna, paura, amore, intrecciati come fili di un arazzo troppo complesso da districare. Pensava alle strade di Berlino, alle sirene, ai soldati, alle leggi che avevano cancellato la sua esistenza. Il teatro era rifugio e insieme campo minato; ogni applauso poteva nascondere una trappola mortale.

Quando firmò il contratto, un uomo in uniforme comparve all’improvviso: il comandante delle SS, Ernest Schmitt. I suoi occhi erano gelidi.

«Lei è uno degli attori principali, vero?» chiese, scrutandolo da capo a piedi.

Hans deglutì e rispose con cautela: «Così dicono, signore. Sono nuovo… Franz Bauer, dalla Baviera.»

Schmitt fissava Hans con occhi gelidi, mentre l’altra mano sfiorava un registro consumato. Le pagine contenevano nomi, alcuni forse associati a famiglie ebree. Le dita del comandante sfogliarono lentamente le pagine, come se ogni foglio potesse decidere il destino di chi vi era annotato. Hans sentì il cuore fermarsi: la sua vita, fragile, pendeva da un filo pronto a spezzarsi.

Con calma calcolata, Hans estrasse dalla tasca interna della giacca la sua falsa identità. «Signore… è un cognome comune,» disse, cercando nella voce la sicurezza che il cuore non aveva.

Il comandante rise fragorosamente, riponendo il registro con gesto lento e calcolato. «La vita è una grande farsa, signori. Bisogna saper recitare,» disse, lasciandolo andare.

E così Hans Müller, ebreo perseguitato, continuò a camminare sul filo del destino, recitando come Franz Bauer, con Ewa accanto, sotto lo sguardo gelido del marito ufficiale delle SS. Ogni giorno sul palco era un atto di sopravvivenza, ogni scena un rischio, ogni applauso un respiro rubato al terrore.

Eppure, tra menzogne e paura, il loro amore sopravviveva, fragile e incandescente come la fiamma di una candela nel buio. E in quella recita senza fine, l’arte restava l’unica libertà rimasta.

 

Amelia Belloni Sonzogni con “La strada”

A scendere dalla silenziosa frazione in cui abito, non serve illuminazione, sul finire del giorno: un giorno incerto, tra pioggia e sole.

Il cielo, sempre più azzurro nel pomeriggio, si riempie ad ogni curva di nuvoloni neri: alcuni, fermi sulle alture, sono poggiati come berretti fuori stagione sulle chiome insofferenti dei lecci; altri, di passaggio sugli ulivi – che ancora non è il momento di brucare – si infilano nelle reti, avvolte sotto le chiome cangianti.

Scendo piano, curva dopo curva, abbasso il finestrino per annusare il sentore di umido, sentire il suono sincopato dell’acqua di torrente che mi accompagna per un tratto.

L’aria calda e ferma non promette nulla di buono: bene ho fatto a lasciare la bicicletta per l’auto, nonostante non ami guidare. La luce si alterna al buio incombente con sprazzi intensi di giallo, sparato dal sole al tramonto sul mare, di sbieco, verso i tetti delle case.

Mi aspetta una cena con due amiche d’infanzia: un anno a separarci, in scala, io la più vecchia, un numero che non riconosco ancora mio, ribadito dal compleanno recentissimo. È stato bello: auguri, pensieri, ricordi, espressioni diverse di affetto, anche inattese, gratificanti.

Le chiacchiere davanti alla pizza intrecciano i fili illogici dei ricordi che sbucano indistinti per una, precisi per l’altra, assenti per l’altra ancora. A turno.

Eravamo così piccole! Ci siamo viste crescere, un anno dopo l’altro, io la meno costante, nonostante la mia indole; inquieta, nonostante le apparenze; distratta da una miopia che a lungo gli occhiali non hanno corretto.

Del mare poco distante si sente appena il fruscio sommesso sulla battigia. Lo andiamo a vedere, una passeggiata che è un rito. Torniamo verso le nostre case e mi sembra di vivere in una pagina della storia che ho scritto, ambientata qui, dedicata a questo nostro luogo.

Ciao, alla prossima. A presto.

Risalgo in auto e ripercorro il tragitto nel buio della sera inoltrata.

Vado piano: l’attenzione è alta perché di notte la miopia è un intralcio; tengo i fari bassi sulla strada, intenta a guardare che dai cigli non sbuchi qualche animale selvatico.

Vado sicura, però, e tranquilla: una sensazione di fiducia, di pienezza, di padronanza di me e delle mie capacità mi avvolge nitida come poche volte mi è capitato.

Guarda – mi dico – dove sono ora, dove voglio essere ora, dove vorrò andare domani quando guarderò (spero) il sole sul mare. Disegnerà una strada come quella della notte di luna lucente che mi era sembrata giusta. Vedi – mi dico – non ho sbagliato strada.

***

I vincitori del volume “Versi di Sardegna ‒ Quarta Edizione” saranno contattati via e-mail per l’invio del premio.

Complimenti ai vincitori, finalisti e partecipanti del Contest “Versi di Sardegna ‒ Quarta Edizione”.

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