“Dieci sedute di psicoterapia individuale breve” di Mauro Gozzi: eventi significativi

Dieci sedute di psicoterapia individuale breve del correggese Mauro Gozzi è un’opera che fa cogitare: che con-agita il lettore.

Dieci sedute di psicoterapia individuale breve di Mauro Gozzi
Dieci sedute di psicoterapia individuale breve di Mauro Gozzi

Forze del destino di Christopher Bollas mi portò a pensare che la vita psicologica non sia altro che un film a episodi, il cui regista convive dentro di me e il cui sceneggiatore agisce all’esterno. Christopher scrive che essendo il vero Sé soltanto un potenziale, esso si realizza solo attraverso l’esperienza. È forse una commedia che somiglia a un Living Theatre, con-vissuta da analista e da paziente, da autore e da lettore.

La scrittura (e tutta l’arte, del resto) si realizza esistendo (contando d’esistere).

Una pellicola recente da me visionata riguarda un viaggio in Germania (Norimberga, Dresda, Ratisbona), nel corso del quale uno psichiatra, passandomi accanto, deposita sul sedile del pullman una sua autobiografia (e non solo), un romanzo (e non solo), un groviglio d’aneddoti (e non solo). Trattasi d’un’opera letteraria (e non solo), che parla di vita (e solamente d’essa).

La prima dedica de Dieci sedute di psicoterapia individuale breve è per una donna, il cui nome deve restare segreto. Perché ciò accada si può indicare solo la parte residua del nome: Osanna. Per renderne più difficoltosa l’individuazione è corretto dire che ella è nata non troppo distante dalle gole d’Alcantara, ove l’acqua è gelida a Ferragosto. Il metodo dissimulatore dell’autore è invece diverso. Ognuno ha il suo.

La seconda dedica è rivolta, tanto per spoilerare, “A tutti i Grandi Maestri che hanno dato senso ai nostri giorni migliori”. Fra essi c’è anche del personale non ufficialmente docente. Se la Storia è maestra di vita, allievo nonché docente lo è ogni uomo. Ergo: anch’io.

Perché ogni capitolo corrisponde, necessariamente, a una seduta di psicoterapia individuale? Una possibile risposta può essere: non l’ho capito. Un’altra, più sapida, è che ogni lettura corrisponde a una partita a scacchi: uno Scacco all’errore, direbbero, in coro polifonico, Raffaele Catà e Davide Forcellini.

Lo scrittore si trasferisce, spettralmente, nel lettore e da psicoanalizzante diventa piscoanalizzato. Rifuggo qualsiasi autore che si neghi in tal senso. Leggendo, si compie un atto amoroso, dedicando una fetta del proprio tempo all’Altro. Je est un autre, mi scrisse un giorno Arthur Rimbaud. Un analogo fenomeno occorse a suo tempo all’autore e agli autori da lui letti (e citati). Nello schifoso mondo in cui viviamo, che induce a pensare a quanto sarebbe stato diversamente bello senza l’umana società, rimane un residuo spazio per l’amore, che è la passione che si prova nell’incontro con chi, in fondo, ci somiglia. Pier Vittorio Tondelli, per esempio.

A pagina 13 de Dieci sedute di psicoterapia individuale breve si parla del cimitero di Canolo, ove lo scrittore finalmente riposa. Sento che ci devo andare, spero con qualcuno che amo (anche solo un po’). Viene qui citata una sua opera inclita: “Rimini”. La pesco da uno scaffale di una delle cinque librerie casalinghe (senza contare quelle che sono in garage e in solaio), dopodiché m’imbatto nello spettro che mi consiglia di depositare immediatamente quel libro e di leggere, subito!, Pao Pao, che è assai più divertente. Obbedisco! Inizio a leggerlo all’istante. Per l’altro più esteso tomo, m’auguro, c’è tempo.

Lo spettro chiama il suo compeasano “Vicky”: il quale “nutriva un amore fisico, viscerale, per la lettura e per la scrittura-riscrittura…” – uno scritto compiuto e pubblicato è (in)faustamente deceduto, che Dio o Chi per Lui l’abbia in gloria, Amen. È la vita.

Forse che immaginavo, quando avevo due anni, che i miei genitori (nonché io e coloro che sarebbero stati i miei discendenti) non fossimo tutti quanti destinati a una vita ludicamente eterna?

Lo stesso vale per ogni attività umana. La scrittura (parlo da prevenuto) più di qualsiasi altra azione umana. Il concetto è deprecabile, essendo religioso e atrocemente stupido. E posso solo crederci.

La principale differenza fra l’io-me e Vicky è che il primo non è più affetto da “ciclotimia”. La spiegazione è semplice: egli è morto giovane, io-me (ancora) no. Si potrà mai, nel caso, tornare a esserlo? Intanto tu pensa a te stesso, lettore del lettore di Mauro. E scrivine un po’, se ti va. Da parte sua l’io-me non vede l’ora di diventare il tuo spettro.

A pagina 22 de Dieci sedute di psicoterapia individuale breve, my personal ghost, aleggi su un cadavere e ti chiedi che sarebbe successo se… La domanda ha un senso solo se crediamo nella teoria dei multiversi di Hugh Everett III. Cesare Pavese è morto perché gli è venuto meno il fiato. Inoltre, alla morte uno, in genere, ci giunge da vivo. Del resto, piangere fa tre e ridere fa tre. Ogni volta che leggo un suo scritto, egli mi s’in-Cunea nell’anima. E finisce che m’emoziono troppo. Essendo contrario agli eccitanti (già mi do da fare da solo), limito la sua lettura a quando urge soffrire. Ho in casa quattro libri suoi che non ho ancora letto: quale sarà il prossimo, mio collinare spettro? Non rispondi!

Riesci a dirmelo, almeno tu, mio correggese spirito? In teoria (e in pratica) ora sei my literary pusher. Non, di certo, l’unico. Ma, al momento, sei il più incisivo.

Reiteri di frequente tutti quegli encomi (della cui sincerità non dubito): “… l’uomo più colto e la donna più acuta che io ho mai conosciuto…”: stai parlando di “psichiatra S.” e di “neurologa C.”. Anch’io credo di aver individuato il lettore più acuto con cui sono venuto a contatto. E se mi sbagliassi? E se fosse il suo solidale che risiede a Bologna? Ma perché tutte ‘ste gare a chi ce l’ha più esteso (il cervello e quant’altro)?! Forse perché tu ami i voti, quanto io li aborro?! Forse perché tu hai avuto una vita agonistica, e io no?! Anche se fin verso i quattordici anni anch’io giocavo tutto il giorno a pallone. In senso per lo più onanistico. Solo talvolta in competizione con altri, essendo saltuario membro (anarchico) di una squadretta rionale, capitanata da un certo Emilio.

Bene: a pagina 31, citi un “racconto della Bachmann” – autrice che conosco, avendo dato retta a un consiglio ricevuto da un amico libraio: Giovanni (Spadaccini), autore a sua volta di Compro libri anche in grande quantità, che ti consiglio. Di Ingeborg, in casa, ho, ancora vergine, Il trentesimo anno. Che faccio? Lo fecondo?

“… E comunque sono sempre loro, le donne, che decidono quando si inizia e quando si finisce…” – gran bella teoria, scientifica e falsificabile. Nel film in questione assisto ad alcuni battibecchi fra i due coniugi. Né lui risulta vincitore, né lei sconfitta. Lui fa più… come dicono ad Amalfi, più parata. Lei è più trattenuta. Nel loro intimo, essi conoscono di certo una diversa verità. Ogni partita coniugale si conclude allorché l’arbitro decide di sospendere il match per impraticabilità di campo, o per nebbia. O perché una delle due squadre è rimasta con meno di dieci giocatori. Il tempo dell’incontro familiare ha una durata quantisticamente indeterminata: per cui finisce quando deve finire. Come un qualsiasi micetto di Erwin Schrödinger.

Per motivi che non ti sto qui a specificare, t’informo che le pensioni di reversibilità sono intestate in numero maggiore a delle vedove. Amen.

“… lì vedevamo film meravigliosi in bianco e nero…” – sì: per gran parte della nostra infanzia, la televisione a colori era un remoto sogno yankee, per cui quegli acromatici momenti erano davvero magici!

Le diverse descrizioni di tuo padre e di tuo zio sono acute. E mi fanno temere per il futuro.

Quel che diciamo del “maiale”, i navahos di Tex lo riferiscono al bisonte. Il mondo è un’unica e smisurata prateria.

Questa è una fila di pensieri volanti, così come il tuo romanzo. Un happening… e nulla più. Né di meno.

A pagina 89 colgo un’affermazione riguardante il “tifo”, il “nervo vago” e “tutto il parenchima celebrale grigio” – di cui consiglio la lettura a un amico caro, anch’egli attore in ‘sto filmato. Da tale indisposizione psicofisica io fui tristemente affetto in età scolare. Mio padre, che m’amava e che era juventino, cominciò a tifare per il mio Milan dopo che ebbi sbattuto a terra la radio, rompendola, a seguito d’una sconfitta dell’amata squadra di Nereo Rocco. Papà era un estimatore di Gianni Rivera, più ancora che di Luis Del Sol. Con gli anni scoprii che nel calcio, e nella politica, in genere vince chi è protetto dai soldi, dall’ipocrisia e dalla fortuna, e non sempre il migliore: per cui divenni agnostico.

Ma ora, purtroppo, sono giunto all’Epilogo, e all’Oggi.

“Mia moglie direbbe del transfuga: ‘È un uomo’…” – Silverio Scognamiglio disse una volta della sua amata: che ci vuoi fare, è una donna!

Persona era la maschera di legno portata in scena dagli attori, coi tratti del viso esageratamente espressivi. Tua moglie e Silverio sono persone. Anche tu. Anch’io. Persona e suono sono lemmi consanguinei.

Per finire, ti propongo un rebus di mia invenzione, che è adatto a un terapeuta par tuo (può rispondere anche “R.”).

(7, 9): un signor G, un estroso malato di mente (o un ardito artista, che è quasi la stessa cosa), a due passi da un cartello che invita a non suonare la trombetta (essendo nei pressi di un ospedale), sta agitando le bacchette su una batteria in modo assai più vorticoso di quanto soleva fare Charlie (Watts). Né del resto gli esce l’ernia per fare ciò.

Dai, indovina!

La soluzione dà il senso al tuo libro, alla mia reazione e a tutto quanto serve per andare avanti, ex aegerando, uscendo dall’argine, luogo molto amato da un solo apparentemente atarassico comune amico chiamato Gino Ruozzi.

Una chiave di lettura, la Postfazione di Marcello Baboni e Un giro d’orizzonte di Marco Fregni m’illuminano sulla tua opera. Ero nel buio più completo, però stavo ugualmente bene così.

Leggere non è mai indispensabile. Essenziale è compiere la cogente scelta. In tal modo la particella Totò, aggrovigliata alla particella Peppino, riesce ad andare dove deve andare. A collassare la propria onda, insomma.

Nel tuo provvidenziale aiuto da casa colgo la frase: “Il vostro ruolo è certamente invidiabile rispetto al mio, insolito per me.” – a cui rispondo dicendo che, innanzi tutto, non mi devi dare del voi. A leggerti sono io, in primis. Del secundus nulla so. Né di tutti gli altri.

Se vuoi, un giorno, ci mettiamo a parlare di Christopher, anzi, lascio a te (e a R.) la parola, riservandomi il ruolo d’udente-paziente. Ogni tanto salterò su, tentando il necessario transfert.

Un goal in transfert vale doppio. Non solo ti ringrazio della pazienza da te dimostrata, sia nel film che nel presente sceneggiato. Ma ti chiedo un bis, se possibile. Bene! Bravo! Bis!

 

Written by Stefano Pioli

 

Bibliografia

Mauro Gozzi, Dieci sedute di psicoterapia individuale breve, Centro Culturale Lucio Lombardo Radice, 2017

 

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