“Comma 22” di Joseph Heller: la cogente Gerarchia del Male
Comma 22 (Catch-22) di Joseph Heller è un romanzo complesso, faticoso da leggere, cogente, superaffollato di caratteri, caratteriali, illusi, di gente che aspira a ben altro.

Il lettore de Comma 22 aspira a riporlo al più presto sullo scaffale, come si fa col farmaco sfebbrante, che, svolta la sua funzione, cessa, al momento, d’essere necessario. Scritto nel ‘61, ispirò 9 anni dopo, l’omonimo film diretto da Mike Nichols. Quello che ignoro è se ispirò anche il M.A.S.H. di Robert Altman, girato nel medesimo anno, che fu certamente ispirato dall’omonimo libro scritto a due mani da Richard Hooker e Wilfred Charles Heinz, del ‘68. È invece accertato che la serie televisiva, anch’essa omonima Comma 22, sia stata ispirata, oltre che dal libro di Richard e dal film di Robert, dal romanzo di Joseph.
Nel suo epocale fumetto Sturmtruppen, Franco Fortunato Gilberto Augusto (Bonvicini, detto Bonvi) cita in un cartello il Comma 22, secondo cui: “Tutti quelli che desiderano di essere esonerati dal volo attivo non sono veramente pazzi.” – da cui si deduce che chi chiede d’essere esonerato dal volo attivo è idoneo a volare; la norma è indicata a pagina 54 e sparsa ovunque nell’opera e nella società in cui viviamo.
Nella società in cui viviamo ci viene impartita una verità: colui che può, può, colui che non può, deve. Il superiore (un caporale, un tenente, un colonnello, un generale, “il Ministero della guerra”) può intimare al sottoposto di partire all’istante in una missione presumibilmente suicida. Lo può ordinare in smart (intelligente, elegante, brillante, sveglio, rapido, bello, dolente, aspro, leggermente frizzante) working, standosene a casetta sua, seduto sul sofà. Il sottoposto è tenuto a ubbidire il prima possibile e, se necessario, a morire con rassegnato onore. Più alto è il numero dei militi, anche ignoti, purché deceduti, più aspramente inclìto è l’onore del comandante in capo. Un bel dì il comandante in capo sarà tenuto ad alzare il culo dal sofà per andare a ricevere la medaglia, sobbarcandosi, all’occorrenza, un viaggio non pericoloso quanto scomodo. Sarebbe bello e giusto che le medaglie al valore militare fossero assegnate in smart sending, inviate tramite corriere, il quale corriere dovrebbe avere l’accortezza di messaggiare il giorno prima, cosicché il premiato possa organizzare la ricezione. In assenza, anche non giustificata, di una pronta risposta da parte del premiato, il corriere dovrebbe riproporre all’infinito (nella sua derelitta e mediocre eternità) il tentativo d’informare il premiato, al fine di scongiurare disguidi.
Questa è la filosofia dedotta leggendo le prime 100 pagine del romanzo Comma 22, che consta di XLII capitoli, di cui oltre trenta dedicati a militari. Il militare principale è il capitano Yossarian, a cui è dedicato l’ultimo, XLII capitolo (temo molto per la sua sorte!). Il personaggio più simpatico e odioso è il maggiore Maggiore Maggiore Maggiori, a cui è dedicato il X capitolo. Come esemplificato nella premessa, l’arte è un viaggio aggrovigliato (travelling entanglement) di reciproche ispirazioni – stavo scordando “Il buon soldato Švejk” di Jaroslav Hašek – tanto che un autore che più serio non si può, come Jorge Luis Borges affermò, non senza reticenza, che ogni autore è ispirato dai suoi epigoni.
A pagina 15 (qualcosa era nell’aria) m’accorgo che nel testo sono reiterate un sacco e una sporta di reiterazioni (repliche a ordini ricevuti). Tipo: “Anche quelli che si trovano in altre corsie?” – che però e perciò tendono a perdere o a mutare un quid per strada, trasformandosi in: “Anche quelli che si trovano in altre corsie.” – oppure: “Quello è il tenente Dunbar?” – che diventa: “Quello è il tenente Dunbar.” – ovvero: “Questa è una bella cosa?” – per cui la necessaria replica è: “Sì, una bella cosa.” – con l’ipotizzabile variante: No, non è una bella cosa: Enten/Eller, tipo Søren Kierkegaard.
Un comando impartito a un sottoposto prevede un “Sissignore”. Una risposta a una richiesta di delucidazione da parte del comandante rivolta al sottoposto può essere un “Nossignore”. Il mondo non è complicato, è complicato il conato che lo determina.
“C’era un urologo per la sua urina, un linfologo per la sua linfa, un endocrinologo per le sue endocrine, uno psicologo per la sua psiche, un dermatologo per la s…” – e così continui per un po’, secondo la tua usta, Joseph, secondo quanto ci preparasti quella mattina, pomeriggio, sera, notte, chiuso a chiave nella stanza, influenzato oppure no dalle due teorie dell’incompletezza di Kurt Godel o dal paradosso di Bertrand Russell, secondo cui l’insieme di tutti gli insiemi che non appartengono a se stessi appartiene a se stesso se e solo se non appartiene a se stesso. Più chiaro di così! Nemmeno il Comma 22 è. O solo il Comma 22 è! – “Ma Yossarian sapeva di avere ragione, e lo spiegò a Clevinger, perché, da quando si ricordava, non aveva mai avuto torto.” – poteva aver errato in un tempo anteriore a ogni sua rimembranza.
A sentire Raffaele Catà e Davide Forcellini, co-autori di Scacco all’errore, ogni errore ha il preciso compito di renderti consapevole d’essere matto (mia assurda interpretazione). Il più assurdo cancro, La guerra si sostanzia utilizzando: “il grilletto o la leva o l’interruttore o comunque diavolo si chiami quello che azionano coloro che intendono uccidere della gente che nemmeno conoscono.” – ed ecco rivalutata la figura del killer ad personam: colui che non ignora la sua vittima. Siamo messi così!
Chiunque legga il capitolo dedicato al maggiore Maggiore Maggiore Maggiori s’innamorerà di lui e pregusterà il giorno della sua morte. Addirittura! Sì! La correlazione fra lui e Yossarian è che sono gemelli antitetici separati alla nascita. L’uno tende a brillare salendo, l’altro a celarsi scendendo. Mi sento più affine al secondo. Il primo crede d’essere cosmico, ed è entropico. Il secondo sa d’essere entropico e non aspira a diventare cosmico. Si dà malato, entrando (un casino di volte) in un ospedale, fingendo sintomi reali di malessere esistenziale. Ed è poi dimesso, ché tutto ha fine, ogni commedia prevede il calare di un sipario. Che gli attori poi escano, a capo chino, subissati da applausi o da fischi, è tutt’un’altra Storia. Non confido (quasi per nulla) nel giudizio universale, ma nel caso occorrerà, m’adeguerò. Se Dio esiste m’auguro che m’offra da bere (Assenzio, Se Può). Per gli eroi è da vari eoni memorizzato il discorso di commiato: “Si vede che era il loro turno di lasciarci la pelle.” – dopodiché sarà loro riservato l’onore di andare a scorgere l’erba dal di sotto.
“… il colonnello vuole quaranta missioni…” – una volta erano “trenta”, poi “trentacinque” – ma potrebbero crescere “immediatamente fino a settanta, ottanta, cento, o magari anche duecento, trecento, o sei mila!”: tipo l’età pensionabile. Un tempo qualcuno ci andava da trentenne. Ora si è forze attive in andropausa o in menopausa, a seconda del sesso. Cogenti sono le statistiche delle cose cogenti. I numeri c’hanno sommerso: agh! La guerra ama trasformarci in cinici eroi o in cinici terroristi, oppure in cinici quaquaraquà. Non si può evitare? Combattiamola! Esiste, tremolante, la figura del cinico imboscato. Questa è la vita. Scordavo un dato importante: gran parte della storia è malvissuta a Pianosa, sghignazzante e frignante atollo livornese, a poche bracciate dall’Isola d’Elba.
Il personaggio più odioso di tutti? Il caporale Whitcomb! Il perché è indicato nel capitolo XX. Il XX è il numero che identifica il secolo che è stato definito Terribile. Ma vuoi che spoilerizzi qualcosa sul XXI Il generale Dreedle? Ok, superiore Joseph! Scrivi: “Gli ufficiali e i soldati semplici sotto di lui esistevano ai suoi occhi solo come quantità militari.”: questo siamo noi per Quel Signore Che Regge Il Timone Dell’Eterna Nave? Come vorrei tuffarmi in una Diversa Pur Fragile Irrealtà!
“Oooooooooooooh” di pagina 267, diventa “Oooooooooooooooooooooooh” a pagina 268, in atroce replica per altre cinque volte. Parafrasando un celebre film: Non ci resta che gemere! – i tre gementi attori sono “Yossarian”, “Nately” e “Dunbar”. A Dunbar scappa anche un semplice “Oh”.
Consiglio di saltare emotivamente ma non intellettualmente il capitolo XXII Milo il sindaco – dove un suadente e atroce topo (ma non vorrei offendere i roditori) spiega a Yossarian e a Orr come funziona (e anche no) la finanza.
Divora pagina 305 de Comma 22, mio futuro compagno: capirai come gli ideali fanno presto a mutarsi in merci!
“Anche Yossarian pensava che Milo fosse uno sciocco, ma egli sapeva pure che Milo era un genio.” – è da ‘sti geni che è nata ‘sta tumorale società. Leggi pagina 307 e mi dirai quale personaggio ti rigira nella mente. Al confronto, zio Paperone è un cassintegrato. Ti ricordi di quel cretese che diceva che tutti i cretesi erano bugiardi? Milo dice: “Mento solo quando è indispensabile.” – da intendere: cannibalizzo solo allorché mi sale dallo stomaco quel certo languorino.
Amo il XXV Il cappellano, che così inizia: “Già da parecchio tempo il cappellano aveva cominciato a chiedersi che senso avessero le cose.” – poveretto! È perseguitato dal proprio candore, dalla propria innocenza, e da chi non è né candido né innocente. Egli “Non era mai senza pena, mai senza speranza.” – vorrei somigliarti! Forse in un’altra vita! XXVI Arly mi dice poco o nulla: sorry! Alla domanda se quel pazzo deve andare in guerra, la risposta è: “E chi altri dovrebbe andarci?”. La tua, amato Joseph, è un’opera ossimorica! Leggi qua: “… l’impenetrabile maschera di Orr, piena di emozioni contraddittorie…”: un mesone è un misto di saltellanti e antitetici quark: up, down, strange, charm, etc: in un Kaos “di giochi di parole, arguzie, maldicenze, proverbi, aneddoti, epigrammi, apoftegmi, calembour e altri bon mots.” – un a-tomo indivisibile sarebbe la felicità umana ma è la stolta illusione. Il provare un sentimento, buono o cattivo, significa esser vivo e morto, virtuoso e furfante.
“La caduta all’ospedale aveva avuto uno strano effetto su Dunbaro gli aveva fatto vedere la luce o gli aveva sconvolto il cervello.” – tipo Saulo di Tarso, poi statisticato e venerato come San Paolo.
È divenuto così ingestibile che il XX capitolo, a lui intitolato, presto inizia a parlare di tutt’altro. Il porsi problemi insolubili, l’incavolarsi inutilmente non reca piacere al prossimo, e nemmeno a sé. Qualche decina di pagina dopo, Yossarian comincia a enumerare i morti di cui è a conoscenza. Gran bell’hobby, davvero. A me capita talvolta di pensare a una celebrità della mia giovinezza e faccio fatica a non correre su linea per scoprire se (per caso e per necessità) è ancora tra noi. L’unico essere la cui sorte non mi tange è il gatto di Schrodinger. Perché la morte c’emoziona più della vita?

Poi, quel che succede al tenero e da me beneamato “cappellano Shipman” nel capitolo XXXVI, mi fa venir in mente Il processo di Franz Kafka e Vita e destino di Vasilij S. Grossman.
Espello poi il tutto, dopo averlo ingoiato. Questo accade ogni volta all’aulente oggetto letterario.
Pagina 487 cita 12 volte “il Comma 22”, che è s’è ormai trasfigurato in un mantra fideistico, il quale autorizza ogni possibile misfatto per poi negare ogni innocenza. Se ci credi sei nel giusto, diversamente meriti la condanna. A pagina 499 col lapis scrivo: orrido. Ogni umano, vittima o carnefice, assume una macabra sembianza. A domani…
… per le ultime, comatose 40 pagine. L’intero XI Comma 22 m’induce a collegarmi al per nulla distopico 1984 di George Orwell. Uno dei capitoli più schifosi che abbia letto in vita mia, ma essenziale per capire il tuo romanzo, Joseph; ogni riga di XLI Snowden mi fa sighȇr. In arşân sighȇr significa strillare: una sega che sîga mentre sega, qualcosa che cigola fortemente e non si vede l’ora che sia concluso il lavoro perché si è consci di recare fastidio. È stata anche la tua sensazione, ammettilo, Joseph. È nella sofferenza, nella fatica dolorosa, che si viene a capo delle cose: “L’uomo è materia, questo era il segreto di Snowden” – non volevo rivelarlo, ma chi scrive è bravo a mentire ma non lo è a tacere.
XLII è intestato a te, fraterno Yassorian. In esso dimostri l’estremo coraggio d’avere una folle paura: ti ammiro. Non so se avrei condiviso la tua scelta, mio vile eroe, mio ardito fuggitivo. La fine che fece Orr, per quanto orrida, richiedeva un fine proposito, non dissimile da quello di quel Conte o di quel Papillon. A poche righe dal tuo commiato, spari: “Non desideri vivere senza dubbi e timori…” – Fra Enten ed Eller la risposta più saggia è pur sempre la tua (che forse t’ha suggerito quel saggio greco, il cui insegnamento spesso reiteri): “Non lo so”. Negli anni ‘60 sei diventato un’epica icona dell’antimilitarismo. Il romanzo della tua vita è fitto, esaustivo, disastroso. Mi sono adeguato. Che altra scelta avevo?
Written by Stefano Pioli
Bibliografia
Joseph Heller, Comma 22, Bompiani, 1980