Painting Words #18: intervista a Pietro Ruffo, artista
La rubrica “Painting Words” vuole tracciare l’arte contemporanea con una serie di domande rivolte alle personalità più interessanti del panorama odierno. Nella prima puntata abbiamo incontrato Iena Cruz, nella seconda Lorenzo Babboni, nella terza Eugenio Sicomoro, nella quarta Gabriele Artusio, nella quinta Kimi, nella sesta Antonio Bonanno, nella settima Silvia Crocicchi, nell’ottava Giovanni Lopez, nella nona Alessandro Coppola, nella decima Maria Pappalardo, nell’undicesima Sergio Olivotti, nella dodicesima Bruna Iacopino, nella tredicesima Valentina Merzi, nella quattordicesima Erika Belfanti, nella quindicesima Irene Penazzi, nella sedicesima Valeria Gilardoni, nella diciassettesima Nicola Micali ed in questa diciottesima vi presentiamo Pietro Ruffo.

Pietro Ruffo, laureato in architettura all’Università degli Studi Roma Tre, ha vinto nel 2009 il premio Cairo, nel 2010 il Premio New York e ancora titolare di una borsa di ricerca presso l’Italian Academy for Advanced Studies alla Columbia University. Negli ultimi anni ha esposto presso importanti musei e istituzioni internazionali, tra cui Palazzo Esposizioni di Roma, Biennale di Venezia, Musei Vaticani, Città del Vaticano, Museu de Arte Contemporanea de la Universitad de Sau Paulo del Brasile, Cina, Messico, India.
La relazione con l’immagine è parte integrante del suo percorso di ricerca che nasce da una serie di considerazioni filosofiche, sociali ed etiche e si sviluppa attraverso una profonda dimensione concettuale dell’arte che deriva dalla sua formazione di architetto. Il disegno e l’intaglio sono per Ruffo strumenti di una ricerca che analizza dinamiche storiche e contemporanee, dando vita a installazioni che arrivano ad assumere dimensioni ambientali. Le opere si articolano in sovrapposizioni di paesaggi naturali e forme umane, mappe geografiche e costellazioni, geometrie e tracce di scrittura. Ne risulta un lavoro stratificato dalle molteplici letture visive e semantiche che indaga i grandi temi della storia universale, in particolare la libertà e la dignità del singolo individuo.
Nel 2019-2020 in occasione del centenario della borgata giardino Garbatella, insieme a 100 studenti del dipartimento di Architettura di Roma Tre, ha realizzato un lavoro sull’idea di ricostruire, conservare e trasmettere l’eredità culturale dei luoghi, segnando gli spazi urbani stratificati, modellati sull’intero spessore della cultura dei gruppi sociali.
Nel 2021 ha realizzato l’opera Migrante, per il parco dei Daini di Villa Borghese a Roma. Nel 2024 ha realizzato una grande installazione per la 60esima Biennale di Venezia.
S.T.: Comincerei con il citare una collaborazione inaspettata, ovvero quella con il cantante Jovanotti per la copertina dell’album “Il viaggio nel sole”. Come nasce questa sinergia e cosa rappresenta nel suo divenire questa trama. A chi o a cosa si intreccia? Quale filo conduttore guiderà l’immagine con la musica?
Pietro Ruffo: Lorenzo Cherubini è appassionato di viaggi e di storie di grandi esploratori, la sua idea è che tutti i disegni inseriti nell’album insieme alle canzoni, portassero gli ascoltatori a percorrere rotte ignote nel proprio inconscio per poi trovare una rotta, guidati dalla musica.
S.T.: Viaggiare e scoprire nuove mete che si affacciano al futuro e a ciò che è sconosciuto: come vivi questo pensiero o stile di vita?
Pietro Ruffo: Stranieri ovunque è stato il tema principale della 60esima Biennale di Venezia alla quale ho partecipato nel 2024 con un’opera all’interno del Padiglione Venezia, Sestante domestico, titolo della mostra, diventa uno strumento di ricerca interiore per sentire Casa ogni luogo di questo Pianeta.
S.T.: La carta è lo strumento della lettura, della creazione e della trasformazione già nel suo divenire. Qual è il tuo pensiero a riguardo e che valore ha la carta nella tua progettazione artistica?
Pietro Ruffo: Quello che più mi interessa è proprio la dicotomia fra un materiale fragile e al tempo stesso potentissimo, tutta la nostra storia, passa attraverso la carta. Un materiale che arrotolato piegato diventa addirittura strutturale, è questo quello che mi appassiona, io la carta la vivo, la intelo, la intaglio e così disegno indago e ricerco su questioni umane. La carta è il mio mezzo per pormi delle domande.
S.T.: Dall’architettura all’arte: in questa fase di cambiamento cos’hai trasportato dagli studi di architettura all’arte e cosa applichi maggiormente come tecnica?
Pietro Ruffo: La mia formazione di architetto ha sicuramente avuto un ruolo centrale nel mio rapporto con la cartografia. Sin dalle prime lezioni ne abbiamo scoperto le potenzialità e sono sempre stato affascinato dalla sua soggettività. Leggere una mappa è come leggere un brano di storia e da questa analisi che partono i miei progetti.
S.T.: Relazione tra arte, letteratura e comunicazione: come rappresenteresti questi tre elementi?
Pietro Ruffo: La mia ricerca artistica parte sempre da diverse letture. Spazio dai testi di divulgazione scientifica, a romanzi, a poesie, fino a manuali. Il rapporto che ho con lo studio si fonda su una grande istintualità, mentre leggo ricopro di disegni e schizzi i margini delle pagine, che saranno poi lo spunto per nuove opere e ricerche. Come ogni artista, penso per immagini, vedo ciò che leggo e cerco di restituire con le mie opere d’arte ciò su cui mi interrogo.

S.T.: “L’ultimo meraviglioso minuto” al Palazzo Esposizioni Roma, 50 opere per la tua personale centrata sul rapporto tra uomo e natura e sulla stratificazione del tempo, un tempo che assiste alla continua trasformazione del mondo. Il cambiamento come segno di rinascita e ricerca in equilibrio con l’ambiente circostante. La tua visione nei confronti del futuro e cosa ti auguri come cambiamento in questa relazione uomo ambiente?
Pietro Ruffo: La mostra a Palazzo Esposizioni vuole da un lato relativizzare l’impatto dell’uomo sulla ‘distruzione del pianeta’ e mettere l’accento sul fatto che stiamo mettendo a rischio la nostra possibilità di sopravviverci. L’orizzonte temporale preso in esame nella mostra vede l’Homo sapiens come un battito di ciglia rispetto ai tempi profondi dell’universo, un istante che ha dato forma alla bellezza delle creazioni umane, di cui sottolineo la meraviglia con uno slancio di ottimismo. Per rispondere alla domanda prendo in prestito le parole del curatore Sebastien Delot: “La capacità del pensiero umano risiede nel portare improvvisamente alla superficie della coscienza un sapere che apparentemente è precipitato in un fondo senza fine”.
S.T.: Progetti futuri?
Pietro Ruffo: Spero che il futuro abbia più fantasia di me e mi continui a stupire, come ha sempre fatto.
Written by Simona Trunzo
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