“Eterno Visionario” film di Michele Placido: Luigi Pirandello fra vita e teatro
“Eterno Visionario” è il film di Michele Placido sull’ultima parte della vita di Luigi Pirandello, chiamato “Il Maestro”.
“Eterno Visionario” è uscito nelle sale il 7 novembre, ha incassato oltre 20 milioni, un budget significativo considerando che la pellicola non è prettamente un prodotto commerciale, ma alternativo e letterario.
Il film si inserisce tra le produzioni intense e sentimentali, che puntano a esplorare temi profondi e sfaccettature dell’animo umano, sulla scia di Parthenope di Sorrentino e Enea di Castellitto. È uno di quei film che penetra nell’anima, scuote profondamente lo spettatore, immergendolo nei dolori più reconditi per poi trascinarlo via in un turbinio di disperazione e accettazione.
Placido compie una scelta complessa e coraggiosa, decidendo di ritrarre gli ultimi anni di vita di Pirandello, interpretato magistralmente da Fabrizio Bentivoglio. È un periodo denso di contrasti e sfide per l’autore siciliano: affronta il declino della malattia della moglie; l’amore platonico con Marta Abba; l’ostilità dei figli perché padre assente e sui generis.
Il film si apre con il viaggio di Pirandello verso Stoccolma per ricevere il Nobel per la letteratura, ma questo diventa un pretesto per un viaggio più profondo nell’introspezione del Maestro, che rivive frammenti della propria esistenza.
Placido non si limita a esplorare Pirandello come autore, ma pone l’accento sul suo lato da drammaturgo, rivelando quanto il teatro fosse il vero fulcro della sua vita. È da lì che l’arte di Pirandello prende forma, poiché il teatro non è solo un mestiere, ma la sua dimensione esistenziale: la sua riflessione sull’umanità nasce dalla finzione scenica, dove si mescolano vita e pensiero, sogno e realtà.
Il rapporto con la moglie, interpretata dalla suprema Valeria Tedeschi, è una relazione d’amore e ‒ forse ‒ vergogna, da cui Pirandello cerca invano di proteggere i figli, in particolare Lietta, interpretata da una giovane ma sublime Aurora Giovinazzo. Lei è l’anello debole dell’intera famiglia, quella che crolla e cerca rifugio in un gesto estremo da cui viene salvata. Ma Lietta non sarà mai più la stessa, e fuggirà oltreoceano una volta trovata un’occasione amorosa.
Antonietta Portulano invece, la consorte del maestro, vagherà nell’oscurità della sua mente, mettendo in imbarazzo spesso la sua famiglia. Troverà riparo all’interno di un istituto psichiatrico, che diventerà la sua casa. Non tornerà mai più indietro, lasciando completamente il marito in preda alle sue ambizioni più forti.
Così il Maestro, in piena solitudine matrimoniale, potrà finalmente ammettere a se stesso il suo profondo e platonico amore per Marta Abba. Lei è un’attrice che fa un’audizione per uno dei suoi spettacoli teatrali.
Lui, non appena termina la sua parte, arriva da lei e la venera, dicendole che è quella che stava sempre aspettando. La sua venerazione però non è solo professionale, ma è personale e totalizzante.
Pirandello non riesce a scindere l’arte dalla vita vera, perché la vita vera è l’arte stessa. Quindi si innamora di lei, perdutamente e intensamente, e le dichiara non solo il suo amore ma anche l’impossibilità dello stesso perché gli anni di differenza fra i due contano più del sentimento.
Realizza un sacrificio pari a quello di Abramo, uccide il suo medesimo ardore per lei: per proteggerla, per evitare che lei debba piangere le sue rughe o il suo corpo freddo, un giorno. Ma non smettono mai di amarsi. Il loro rapporto è un legame che va oltre la mera fisicità, ma avviene negli antri della loro mente, fuoriesce solo attraverso sguardi intensi e mani che accarezzano le altre, in abbracci continui, in un infinito sostegno e stima reciproca.
Nel tratteggiare il ritratto di Pirandello, Placido esplora anche il difficile rapporto con i figli, in particolare con Stefano, l’unico a inseguire costantemente la figura paterna, bramando riconoscimento non solo come figlio, ma come artista e drammaturgo.
Tuttavia, Pirandello, consumato dall’arte, non riesce a essere un padre presente: è distante, assente agli eventi cruciali della vita familiare, come l’inaugurazione della prima mostra del figlio Fausto e la nascita e crescita dei nipoti.
I figli provano per lui un rancore profondo. Un rancore però che viene mescolato alla profonda stima che hanno per la sua genialità. Vivono lo spietato dualismo dell’artista e della persona e non riescono a duplicare l’amore, ma solo a dimezzarlo, arrivando a provare odio, talvolta.
Nel viaggio verso Stoccolma, infatti il Maestro non invita la sua famiglia, ma ammette di non desiderare nessun altro se non Marta, l’unica a cui sente di dovere il successo e la propria riscoperta come uomo e drammaturgo. È grazie a lei che Pirandello riesce a vedere di nuovo colori nella propria vita, dopo l’ombra della malattia della moglie e il logorio del matrimonio.
“Eterno Visionario” è un’opera che spinge a riflettere sul dualismo tra vita e arte, su quanto un grande artista possa essere distante come persona e su come, per Pirandello, il teatro fosse essenziale, non solo per il suo lavoro ma per il suo essere stesso. Placido riesce a catturare questa complessità, restituendo allo spettatore un Pirandello vulnerabile e potente, in costante bilico tra la realtà e la messa in scena della propria esistenza.
Written by Ilenia Sicignano