“La donna gelata” di Annie Ernaux: una scala scesa con riluttanza?

La donna gelata è un romanzo scritto da Annie Ernaux nel 1981, al tempo della sua separazione dal signor Ernaux, che le aveva trasformato la vita (da donna libera che era) e il cognome (da Duchesne che era), al termine di un sodalizio durato 17 anni. Sono notizie che ho rinvenuto on line.

La donna gelata Annie Ernaux
La donna gelata Annie Ernaux

Il libro La donna gelata m’è stato regalato da mia figlia Anna, che normalmente sa di cosa io sia ghiotto e che, ogni volta, riesce a venire a conoscenza degli attuali miei interessi. L’Ernaux era fresca vincitrice del Premio Nobel per la Letteratura e io, un giorno, nel desinare, tra il primo e il secondo, avevo furbescamente espresso il desiderio di leggere una qualche sua opera. Fin qui tutto chiaro?!

Si legge al fine di scoprire che qualcosa di oscuro senz’altro c’è. Scrivendo di quel che è emerso leggendo, si svela una parte del mistero, che poi s’infittisce ancora un po’. Inevitabilmente. Non esiste verbo più icastico (si sa però che io ex-agero spesso, se non sempre) di ammuccià, che in meridione (dal Cilento in giù, ma non ad Amalfi) significa celare, dall’antico francese muchêr che vuol dire porre dietro a un mucchio. In arşân esiste la forma esatta francese, nel senso iniziale di ammucchiare: muchêr un sâc ‘d sôld – ammucchiare un sacco di soldi (che serviranno a nascondere, eventualmente, le colpe del parvenu).

Non capisco perché ieri dissi a mia figlia che sarebbe giusto che lei leggesse, mentre è in vacanza a Pixuntum, il libro di Annie, sua quasi omonima (io la chiamo a volte Annette), la quale, da una sua foto da ragazza, mi pare che un po’ le assomigli. Lei mi rispose ridendo, che no, non le somigliava affatto. Al che insistetti: sento che è un libro che devi leggere, che è stato scritto appositamente per te. Il che è vero fino a mezzogiorno (e non sono manco le sette di mattina), perché… e questa è una teoria religiosa… ogni opera artistica fu forse concepita, immacolatamente, per farti ri-conoscere, tramite chi si prese il disturbo di crearla. Riconosci te stesso studiando l’Altro.

Senza il tuo intervento medianico (più che mediatico), cara Annie (intesa come Ernaux), non conoscerei l’esistenza dei termini: “patois” (eh, so’ ignorante!), “uova bazzotte”, “colza”, “gnegnero”, “pampalughi” (ovvio che tuo complice è il traduttore Lorenzo Flabbi). Grazie a entrambi!

Le costellazioni familiari! Così brillanti! Così oscure! Così inevitabili! Così degne di attenzione!

“Come avrei potuto, vivendo accanto a lei, non essere persuasa della magnificenza della condizione femminile, o persino della superiorità delle donne sugli uomini?” – Annie, stai alludendo a tua madre, e ti capisco, anch’io avrei voluto essere nato femmina, in un caso come il tuo.

“Mia madre è la forza e la tempesta, ma anche la bellezza, la curiosità per il mondo, l’apripista sulla strada verso il futuro, che mi dice di non aver mai paura…” – di non essere altro che me stessa (così tronco-traduco-tradisco). A Pixuntum è detta ‘a fimminuna, colei che sa gestire la sua donnità in un mondo che pare creato dagli e per gli uomini, su cui, miracolosamente, ‘sta criatura finisce per prevalere. Un applauso alla vincitrice del torneo! Medaglia d’oro alle Olimpiadi di Stoccolma!

“… ed è a lei che devo assomigliare perché sono una bambina, e come lei anch’io un giorno avrò il seno, farò la permanente, indosserò calze di nylon.” – un punto perenne di riferimento (quando non di fuga)… che altro dire ancora?

È colei che replica, al marito che la tedia con le sue critiche (non capendo il valore della lettura): “lasciami in pace, devo sapere come va a finire!” – come se un libro possa rappresentare la conclusione di un mondo e forse lo è, accidentale e momentanea. Che ne pensa Adorno?

Quando poi acquisisci il know-how, la capacità di leggere, tu immagini che: “… non sto più leggendo, sono in America, ho diciott’anni, servitù nera a mia disposizione, e mi chiamo Rossella, le frasi iniziano a correre verso un finale che vorrei poter rimandare.” – come ti capisco! Quando scorrevo gli albi di Capitan Miki, solevo unirmi alla sbronza del Dottor Salasso e di Doppio Rhum; quando in seguito passai a quelli di Tex, divenni il quarto pard, al fianco di Tiger Jack…

“Fra le numerosi ragioni per voler crescere c’era anche quella di avere il diritto di leggere tutti i libri.”: questa turba mi colpì solo a una certa età. Quando passai alla lettura di libri, evitai con cura le finzioni, preferendo i saggi, gli scritti autobiografici (tipo questo tuo), le poesie, i diari etc.

Finché quel fatale giorno mio padre mi chiede (quasi in ginocchio) per l’ennesima volta che legga L’idiota di un certo Fëdor, e decido di accontentarlo. Quel libro cambia la mia vita. Scopro una banalità: Lev Nikolaevič Miškin c’est moi!

Tua madre era la contabile di famiglia, nonché la venditrice delle merci del negozio di famiglia, la pignola contabile, nonché la lettrice di romanzi! Tuo padre era il negoziante della merceria, nonché il cuoco di casa. Dovendo scegliere la persona da imitare, tu non avesti dubbi.

“Quanto a me, non avrei mai voluto una madre il cui volto non si fosse illuminato di piacere davanti a libri e riviste, che non si fosse concessa quei momenti di follia settimanale, lontana dai barattoli di marmellata e da…” – quello che non c’era scritto nelle varie confezioni, bensì nei suoi compagni di cellulosa. E pensare che lei, come mia madre, nacque come “contadina”…

“Attraverso di lei sapevo che la vita è fatta per tuffarcisi dentro, per godersela, e che nulla avrebbe potuto impedircelo.” – il che non t’impedì, essendo messa alle strette, di “augurarle la morte…”: ti capisco e ti perdono (anch’io ci sono passato per quelle strambe contumelie).

Il suo miracolo: “… so che c’è almeno un’ombra che non si è mai affacciata sulla mia infanzia: l’idea che le bambine siano creature tenere e deboli, inferiori ai maschi.”: l’ombra c’è e non si è mai affacciata! se non quando…

“In me si fa largo confusamente la convinzione che quasi tutti i guai delle donne siano causati dagli uomini. Ma non resto a pensare troppo, il mio modello è mia madre, e lei della vittima non ha proprio un bel nulla.”lo dovette pensare anche il figlio di zar Nicola II, che non ce la fece a diventare III. Life is a question mark, chiedo scusa: la vie est un point d’interrogation.

“Ingenuità di mia madre, credere che la cultura e un buon lavoro mi avrebbero protetta da tutto, incluso il potere degli uomini.” – e tu sei stata in grado di falsificare la sua teoria! Complimenti!

“… sento che è meglio nascondermi, incline a credere che questo mi avrebbe salvata, tenere nascosto ciò che era basso, i desideri, le cattiverie, un fondo nero e solido.”un trou sombre: gradisci la mia metafora?

“… e riprendo il mio lavoretto convinta di essere un mostro.” – e di nuovo giuro che ti capisco!

“… comincio davvero a credere che in me ci sia ‘qualcosa fuori posto’.” – o che il mondo lo sia, sfasato, rispetto a te (e a me).

Dopodiché ti convertisti a un’apparente normalità (nel mio caso a guidare un’auto, quando capii che era inevitabile farlo: fu per me una vera inversione a U!) e ti prese “L’esaltazione di sentirmi completa, di avere ‘tutto a posto’, finalmente.” – il tutto non esiste, essendo anch’esso, pur non finito, almeno illimitato. Panta rhei!

“… per molto tempo nessun uomo, eccetto mio padre, attribuirà la minima importanza a ciò che faccio.” – entrambi i tuoi genitori ti hanno donato l’esistenza e te l’hanno protetta! Lo stesso io penso a proposito dei miei.

E tua madre disse:Se vuoi andare vai. Una ragazza mica è fatta per star sempre attaccata alle gonnelle di mammà.” – o ai jeans di papà! Questo mi permise di uscire di famiglia, pur restando accanto ai miei. E a te?

“Per me quattro anni in cui ho avuto fame di tutto, di incontri, parole, libri, conoscenze.” – io specialmente di libri e di luoghi da visitare (concetti quasi equivalenti).

“Il mio riflesso allo specchio.” – e: “Vecchia uguale brutta uguale solitudine.” – repetita iuvant, quando sei solo e quando incontri il doppio a te analogo.

La saggezza è sempre duplice:Gli uomini sono tutti egoisti.” – ma anche: “Accettare l’altro nella sua alterità.” – inventare un salvifico accordo, prevedendo il necessario conflitto.

“Uniti, simili.” – non uguali, ma pressati l’uno all’altro.

Poi “Uno dei due si alza, spegne la fiamma sotto la pentola.” – anche se non serve specificare di chi si tratti: “Io. Eccola cominciata la differenza.” – nel mio caso, beh, mi conviene lasciar perdere…

La provvisoria conclusione:A pranzo e a cena sono sola davanti alle pentole.”

A pagina 139 de La donna gelata leggo un’affermazione del signor Ernaux che equivale a un colpo simultaneo alle chiappe e ai testicoli. Non la riporto per non lordare di liquami lo schermo del computer.

“Capavo i fagiolini…” – e io non l’ho mai fatto (manco conoscevo il verbo)!

“Da quel momento so con certezza che è possibile desiderare una cosa e il suo contrario”: odi et amo…

“Piccoli borghesi crescono, seguendo la via del conformismo.” – preparata con cura da quelli grandi, che poi bisognerà pur compensare.

Qualcosa si appanna nella vostra vita, a pagina 152 de La donna gelata ed è l’inizio della fine.

“Odio Annecy” – essendo “sprofondata in questo ristretto universo femminile, sopraffatta da incombenze minuscole.” – che restano tali anche dopo averle affrontate: non le senti tue.

“Le parole casa, cibo, educazione, lavoro non hanno più lo stesso significato per lui e per me.” – la duplicità coniugale: un destino che incombe in ogni rapporto a due, in ogni rapporto umano! Quando sei solo sei tutto tuo” diceva Leonardo, un celibe che la sapeva lunga, se si è in due, qualcosa di te e dell’Altro dev’essere amputato. Questo devi capire, Anna, della storia di Annie.

Se poi nasce un figlio: che benedetta disgrazia! E che atroce miracolo!

Annette, leggi con attenzione le pagine 161 e 162 de La donna gelata e quelle che vengono subito dopo.

Annie, tu passi dalla lettura dei capolavori di Sartre e Camus a Cresco mio figlio – che gentilmente ti elargisce il tuo maritino (era forse in allegato all’inseminazione).

Vorrei chiedere al traduttore Lorenzo, se si tratta qui di un refuso (sarebbe l’unico): “Nient’alto, o quasi, nei nostri discorsi.” – in ogni caso la frase è prodigiosamente espressiva.

“… di figli. Il mestiere più bello del mondo.” – quello dei genitori: i figli so’ piezzi ‘e core, ma anche, inevitabilmente, piezzi ‘e m… Tutti quanti: anche io, anche tu, Annie. Anche tu, Annette!

“… ero ‘anche’ una vera madre, come un tempo una vera donna.” – io non so: vorrei tanto essere e basta, ma come si fa? Accontentiamoci d’esistere…

Monsieur Ernaux inizialmente passava l’aspirapolvere, poi smise all’improvviso: “Non aveva lavato, né lucidato, né passato l’aspiramerda…” – ecco la frase che ti ha forse fatto guadagnare quel premio scandinavo, grazie al quale ora ti sto ora leggendo!

Ton petit garçon, per continuarla a dirla in arşân: al pēr gustòuş cme un s-ciàf a l’orba: piacevole come una sberla appioppata nel cuor della notte, mentre finalmente stai pisolando, al termine di una giornata faticosa. La faccia di Monsieur Ernaux che rinvengo in rete non me lo fa amare più di tanto. Mi piacerebbe conoscerlo di persona. Senza te accanto però, ché sarei fatalmente distratto.

Annie Ernaux citazioni
Annie Ernaux citazioni

“Nient’altro che ordine e bellezza.”kósmos ed entropia: lui dirige il primo, tu ti occupi della seconda.

“Dall’inizio del matrimonio ho la sensazione di rincorrere un’uguaglianza che mi sfugge sempre.” – e allora pigliala in ridere: ti stai facendo il fiato!

“… è questo il matrimonio, scegliere tra la depressione dell’uno e dell’altra, deprimerci entrambi è uno spreco.” – ed è il prodromo dell’eventuale separazione, tranquilla.

“Non riesco a credere alla realtà di ciò che scrivo.” – è una sorta di fede, da combattere, riga dopo riga. Ti propongo una soluzione: essere coscientemente ignorante di ogni cosa finché si campa. Poi si vedrà.

“Il Picio andava alla materna, pannolini e passeggino ormai soltanto un brutto ricordo.” – io avrei scritto aulente.

“Tutta la mia storia di donna è la storia di una scala scesa con riluttanza.” – disegnata da Escher, j’imagine!

A pagina 188 (a quindici righe dalla conclusione de La donna gelata) scrivi: “Una donna gelata.” – la quale non è affatto una freddura, lo giuro, né un “calembour” – altro termine che imparo grazie a te, ma dame.

 

Written by Stefano Pioli

 

Bibliografia

Annie Ernaux, La donna gelata, L’Orma editore, 2020

 

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