“La Valanga Azzurra” film di Giovanni Veronesi: lo sci come sport di massa

Venerdì 18 ottobre, alla Festa del Cinema di Roma verrà presentato “La Valanga Azzurra”, docu-film di Giovanni Veronesi che ripercorre la storia della Nazionale di sci degli anni ‘70.

La Valanga Azzurra film di Giovanni Veronesi
La Valanga Azzurra film di Giovanni Veronesi

Questo lungo excursus vuole ripercorrere le vicende che portarono alla creazione del celebre appellativo La Valanga Azzurra. Le righe che seguono vogliono ricordare quello che all’epoca fu un vero e proprio fenomeno pop, grazie al quale la pratica dello sci uscì dai recinti dello svago d’élite per diventare sport di massa.

23 marzo 1975, Domenica delle Palme, Ortisei. Fin dalle prime luci del mattino la Val Gardena è presa letteralmente d’assalto da migliaia di tifosi accorsi per assistere all’atto conclusivo della IX Coppa del Mondo di sci alpino, manifestazione inaugurata dalla Federazione Internazionale di sci nel 1966. Alle 10:00 sono già cinquantamila gli spettatori assiepati sul percorso e all’arrivo della pista Saslong. Una folla da stadio. Ma l’occasione è irrinunciabile.

Per la prima volta nella storia dello sci, tre atleti, l’italiano Gustavo Thoeni, lo svedese Ingemar Stenmark e l’austriaco Franz Klammer, si trovano appaiati al primo posto in classifica con gli stessi punti: 240. Tutto verrà deciso da uno slalom parallelo, una gara inedita per il “circo bianco”, una sorta di sfida all’Ok Corral sciistico dal sapore vagamente romantico, con due atleti che si sfidano sullo stesso tracciato a pochi metri di distanza l’uno dall’altro. La Rai ha previsto la diretta dell’evento sul Primo canale a partire dalle 09:50, e un intero Paese si è dato appuntamento davanti agli schermi della televisione per seguire la telecronaca di Guido Oddo e Alberto Nicolello.

La domanda che tutti si pongono è se Gustavo Thoeni, icona dello sci azzurro, riuscirà a respingere l’attacco dei due temibili rivali, in particolare quello di Ingemar Stenmark, astro nascente della nazionale svedese. Per l’atleta delle Fiamme Gialle sarebbe la quarta Coppa del Mondo, la quinta consecutiva conquistata da una Nazionale che ormai è per tutti la Valanga Azzurra, metafora mutuata da un geniale titolo della “Gazzetta dello Sport”.

Ma facciamo un passo indietro, perché, come in tutte le favole, anche quella della Valanga Azzurra inizia con il classico “C’era una volta”. Già: c’era una volta, perché mai come in questa storia c’entrano i bambini, magari quelli fra gli otto e i tredici anni, l’età compresa per poter partecipare al Trofeo Topolino, una manifestazione inaugurata nel 1958 dal giornalista e scrittore nonché grande appassionato di sci Rolly Marchi, manifestazione che, in pochi anni, diventa la gara di sci per ragazzini più importante al mondo, tanto da convincere la Mondadori a fondare lo Sci Club Topolino, evoluzione degli ormai vetusti sci club alpini (il primo nasce a Torino nel 1901, mentre la prima scuola di sci in Italia apre nel 1933, a Cortina d’Ampezzo).

Siamo alla fine degli anni Sessanta, quelli in cui lo sci non è ancora un fenomeno di massa ma lo sta per diventare. Il contatto con la natura, l’esigenza di evadere dal logorio e dallo stress della città, spingono a vedere la vacanza in montagna come fuga dalla quotidianità, e se lo sci diventa l’occasione per trascorrere delle ore respirando aria frizzante, le scuole di sci sono la palestra dove insegnare i rudimenti di uno sport che non è più solo privilegio delle classi abbienti ma ora anche alla portata di quella nuova media borghesia che gode degli effetti del “miracolo economico”.

Per una di quelle coincidenze che caratterizzano la storia dello sport, la scuola di sci di un paesino della Valmalenco, Caspoggio, in provincia di Sondrio, diventa la fucina per selezionare, gestire e allenare i futuri talenti in erba. Sotto la direzione prima di Bruno Angelini, poi di Mario Cotelli, i ragazzini di Caspoggio dominano le classifiche dello sci giovanile italiano al punto da attirare l’attenzione dell’allenatore della Nazionale, il francese Jean Vuarnet, alla ricerca di un giovane manager che lo possa aiutare a ristrutturare l’intera organizzazione federale. Vuarnet incontra Cotelli, rimane colpito dalle sue idee e gli propone il ruolo di vice allenatore della squadra A, ma il venticinquenne valtellinese, ormai prossimo a conseguire la laurea in Economia e Commercio, preferisce un’esperienza diversa, e chiede di guidare la squadra B, composta da giovani promettenti da far crescere all’ombra dei titolari. Vuarnet accetta, e da quel momento inizia l’avventura federale di Mario Cotelli, colui che cambierà il destino dello sci azzurro, portandolo a primeggiare per un decennio sui tracciati di tutto il mondo.

In quel periodo, a dominare sulle nevi sono i francesi, gli austriaci e gli svizzeri, che godono di un’assistenza privilegiata da parte delle industrie del settore, che forniscono agli atleti un supporto finanziario e tecnico di prima qualità. Gli Azzurri invece sono costretti a preparare gli sci da soli, sono privi di un adeguato supporto tecnico, sicché nessun atleta italiano è presente nei primi trenta posti di merito in slalom. Nonostante lo scetticismo di un ambiente che lo accoglie come un raccomandato, Mario Cotelli impone da subito un modello che rivoluziona le metodologie di allenamento, implementando nella vetusta organizzazione federale gli insegnamenti appresi nelle aule dell’Università Bocconi di Milano.

Siamo nell’estate del 1968, e insieme al suo vice Franco Vidi, Cotelli impone training più assidui e impegnativi, volti a preparare una tattica di gara più aggressiva, e i risultati non si fanno attendere. Il discesista Marcello Varallo è secondo nella discesa libera d’esordio nel gennaio 1969, e Carlo Demetz e Renzo Zandegiacomo risultano vincitori nello slalom speciale e nel gigante di Tarvisio, una settimana dopo. E mentre i primi successi fanno crescere l’interesse degli addetti ai lavori verso il gruppo di Mario Cotelli, le impegnative sedute di allenamento fanno crescere alcuni giovani destinati a diventare le future stelle della squadra maggiore: da Rolando Thoeni a Ilario Pegorari, da Ivano Besson ai cugini gardenesi Helmuth ed Eberhard Schmalzl, che affinano il loro stile su piste ripide e ghiacciate, per emulare sui loro tracciati preferiti i francesi, a quel tempo la squadra più forte del circuito sciistico. Ma è un timido ragazzino di poche parole, colui sul quale si ripongono le speranza di rinascita dello sci azzurro.

Figlio di un maestro della scuola sci di Bormio, Gustavo Thoeni trascorre le estati come addetto alla gestione dei piattelli sullo skilift del Nagler, sul ghiacciaio del Livrio, presso il passo dello Stelvio. Quando non ci sono clienti da assistere, si allena sulla difficile pista piena di gobbe e buche sotto la guida di Walter Schwiembacher, un maestro di sci dello stesso paese natale di Gustavo, Trafoi. Mario Cotelli lo adocchia durante le gare di Caspoggio, quando il giovanissimo Gustavo batte senza difficoltà tutti gli avversari sia nello slalom che nel gigante. La prima convocazione arriva nel gennaio del 1969, per lo slalom di Cortina. Thoeni ha diciotto anni, parte fra gli ultimi, ma si distingue entusiasmando i presenti con una rimonta che lo porta a sfiorare il podio. Due mesi dopo arriva la prima vittoria a Val d’Isère: è il 29 marzo 1969, e in quel giorno inizia una nuova èra per lo sci italiano. Gustavo Thoeni ha uno stile inimitabile, molto controllato e tecnico, ma capace di improvvisi cambi di ritmo che gli permettono in pochi metri di ridurre il raggio della curva e di innestare una marcia in più, specie su tracciati ricoperti da uno strato di neve morbida, che garantiscono una perfetta aderenza degli sci.

Come spesso avviene nello sport, l’apparizione di un campione trascina tutto il movimento, accendendo improvvisamente l’interesse di aziende che vedono la possibilità di “sfruttare” un vincente per aumentare la loro visibilità. E un tipo avveduto come Mario Cotelli, in possesso di orizzonti più ampi di chiunque altro nell’ambiente, coglie al volo l’opportunità di rilanciare in grande stile tutto il movimento.

Nasce il Pool dei Fornitori dello Sci Azzurro, che contribuirà in maniera rilevante alla crescita dello sport alpino, sia attraverso il supporto finanziario, sia mediante un’accurata assistenza tecnica (gli scarponi di cuoio lasciano il passo a quelli di plastica, mentre nascono le prime tute elasticizzate che aumentano l’impatto aerodinamico). Aziende come la Colmar di Monza, la Ellesse di Perugia, la Silvy di Bolzano o la Nordica di Montebelluna, cavalcando i successi degli sciatori italiani e approfittando del mutato zeitgeist conseguente alla rivoluzione culturale del ’68, da laboratori artigianali si trasformano in industrie, diventando marchi di riferimento in quell’abbigliamento informale che contraddistingue il mutato di stile di vita degli italiani. Sono gli anni in cui si assiste a un grande sviluppo delle infrastrutture viarie, in particolare delle autostrade e dei trafori alpini. L’autostrada A5, che collega Torino con Aosta, viene terminata nel 1970, mentre il tunnel del Monte Bianco è completato nel 1965, e i piccoli centri sciistici, che si erano formati prima della guerra, anche sulla spinta dei successi della Nazionale di sci, acquistano un’improvvisa notorietà, permettendo a paesi montani come Corvara, Madonna di Campiglio, Ortisei, Sestriere, Bardonecchia, Livigno, Ponte di Legno, Claviere, Sauze d’Oulx, Cervinia, Courmayeur, Gressoney di assurgere al rango di ambite mete turistiche. Emblematico il caso di Courmayeur, in Valle D’Aosta, una località che ha sempre vissuto una quotidianità dignitosa ma modesta, e che improvvisamente, anche grazie al traforo del Monte Bianco, scopre in sé un patrimonio di risorse sciistiche che la fanno diventare una sorta di crocevia delle nevi d’Europa.

Se fino al 1968, a Courmayeur, l’indice delle presenze invernali si attesta intorno alle 15 mila unità, negli anni successivi il numero aumenta esponenzialmente superando le 300 mila, facendo della piccola cittadina montana una ricercata stazione invernale, con un’attrezzatura ricettiva e alberghiera di prim’ordine. E mentre nascono una serie di nuovi impianti di risalita (come la funivia della Valveny, la più lunga d’Europa, o le numerose seggiovie e sciovie che collegano più di 20 km di piste), tutto l’indotto ne trae benefici: dalla ristorazione, con i prodotti tipici della gastronomia valdostana, all’artigianato locale, che produce oggettistica in legno di pregevole fattura.

Nel frattempo, dietro a Gustavo Thoeni, altri piccoli talenti si affacciano all’orizzonte (in particolare, spicca quello di Teodorico Fabi, dominatore incontrastato in tutte le categorie giovanili, ma poi infatuato dall’automobilismo, con conseguente carriera in Formula Uno), promossi dalla squadra B a quella maggiore e, insieme a loro, anche Mario Cotelli compie il grande salto, esordendo all’età di ventisei anni come allenatore della squadra A, al posto del francese Bernard Favre. E mentre sono alle porte i Mondiali in Val Gardena (precedentemente, nel 1956, l’Italia ha ospitato la rassegna olimpica invernale a Cortina d’Ampezzo), Thoeni si aggiudica lo slalom di Madonna di Campiglio, diventando, vent’anni dopo Zeno Colò, l’ideale vessillo di una Nazionale tornata vincente. Purtroppo, in Val Gardena le speranze di medaglia della vigilia sono disattese da un deludente quarto posto nello slalom, e da un abbandono per caduta nel gigante. Ma Gustavo avrà ampiamente modo di rifarsi.

Nella primavera del 1970, Mario Cotelli diventa il Responsabile Tecnico di tutto il settore maschile dello sci alpino, supportato da Oreste Peccedi e Franco Vidi, rispettivamente allenatori della squadra A, e della squadra B. Cotelli e il suo staff modificano ulteriormente i sistemi di preparazione, pianificando l’allenamento fisico in funzione del gesto tecnico da compiere sullo sci, superando il concetto di polivalenza a favore delle specializzazioni. Questa impostazione privilegerà un’attitudine orientata sulle discipline tecniche e meno su quelle di velocità, prerogativa, queste, di svizzeri e austriaci. Nasce anche una sorta di nuova disciplina sportiva, che prende il nome di ginnastica pre-sciistica, coniugata per ottenere il massimo rendimento in gara, mentre si sviluppa una nuova cultura del training grazie ai maestri usciti dalla Scuola dello Sport del C.O.N.I. che, affiancati dai primi preparatori atletici (fra i quali spicca Karl Pichler), aumentano durata e intensità degli allenamenti. E i risultati daranno ragione a questa nuova metodologia. Arriva la prima Coppa del Mondo, al termine della stagione 1970/71. Se l’aggiudica Gustavo Thoeni, capace di vincere anche la classifica di specialità, nello slalom gigante. E con i successi sulle piste, anche il made in Italy nell’abbigliamento da sci fa tendenza, un settore, quello della moda sportiva, che vedrà le aziende italiane dominare per un ventennio, grazie al tipico ingegno artigianale italico.

La Spalding-Persenico, in seguito ceduta dai fratelli valtellinesi Persenico all’americana Questor, fornisce gran parte degli sci agli azzurri (iconici i “Formula Uno” utilizzati da Gustavo Thoeni), facendo concorrenza ai colossi stranieri Fischer e Rossignol. La Samas diventa famosa per le giacche a vento imbottite, la Ellesse introduce i pantaloni sormontati da ginocchiere, la Lefont idea il gilet a vento senza maniche. Nel settore delle calzature, l’azienda La Tecnica lancia i Moon Boot, un prototipo di doposci dall’aspetto inconsueto, sul modello delle calzature degli astronauti, che ha il pregio dell’impermeabilità e che, da quel momento, conoscerà un tale successo da trasformarsi da marchio in prodotto.

Intanto, sulla scia di Thoeni, emergono altri giovani talenti, e i vari Herbert Pank, Ilario Pegorari, Erwin Stricker, Diego Amplatz e Fausto Radici vanno a rafforzare una squadra che si appresta a diventare imbattibile. L’annata 1971/72 è quella che porta ai Giochi Olimpici Invernali di Sapporo, in Giappone. Nonostante le avverse condizioni climatiche, i Giochi Invernali si rivelano un successo, e il medagliere dell’Italia fa registrare due ori, due argenti e un bronzo. Protagonisti, i cugini Gustavo e Rolando Thoeni, capaci di conquistare tre medaglie (le altre due, un oro e un argento, arrivano dallo slittino e dal bob): un oro e un argento per Gustavo, nel gigante e nello slalom, e un bronzo per Rolando, sempre nello slalom.

Sempre Gustavo vince la sua seconda Coppa del Mondo davanti al francese Duvillard e la sera, alla Domenica Sportiva, tutta l’Italia applaude il suo eroe e la squadra tricolore. È l’Italia che alla domenica si ferma davanti alla tv per seguire la discesa libera o le due manche degli slalom, con le telecronache in bianco e nero di Alfredo Pigna e Guido Oddo, familiarizzando e appassionandosi con uno sport che comincia a far concorrenza a calcio e ciclismo sulle prime pagine dei quotidiani sportivi. Anche il mondo dello spettacolo si adegua alla nuova tendenza, e accanto agli esilaranti sketches televisivi di un improbabile Aldo Fabrizi imbacuccato da provetto sciatore, anche una delle maschere dell’Italia di quegli anni, il maldestro ragionier Fantozzi, scopre la passione per la neve, arrivando a millantare una fantomatica appartenenza alla squadra nazionale di sci per far colpo sui colleghi impegnati a trascorrere una settimana bianca a Courmayeur (“Fantozzi”, 1975). Le vacanze sulla neve si apprestano a diventare un topos cinematografico, in una rilettura contemporanea dell’omonimo film di Camillo Mastrocinque del 1959, con Alberto Sordi nei panni dell’impiegato Alberto Morelli, sullo sfondo di un’elitaria Cortina d’Ampezzo. E dopo Paolo Villaggio, nel decennio successivo ci penseranno i fratelli Vanzina a rivisitare in chiave pariolina il cliché, nell’èra dei cinepanettoni.

La stagione 1972/73 porta un ennesimo rinnovamento nello staff della Nazionale di sci: Mario Cotelli, sempre più deus ex machina del movimento, viene promosso a Direttore tecnico, con supervisione di tutto il settore gare, mentre Oreste Peccedi diventa allenatore degli slalomisti, e Luciano Panatti dei discesisti. Viene dedicata ulteriore attenzione ai settori giovanili locali che, per la prima volta nella storia della Federazione di sci, rientrano nell’orbita della direzione tecnica nazionale, implementando in tal modo un modello organizzativo all’avanguardia nel mondo sportivo, con programmi e metodi di lavoro che, dalla base ai vertici, vengono condivisi e uniformati su tutto il territorio nazionale. E mentre il Team Azzurro si appresta a recitare la parte del leone nelle gare di Coppa del Mondo, un ragazzino piemontese della Val di Susa si distingue nella squadra B. Si Chiama Pierino Gros, ha diciotto anni e l’aria strafottente del simpatico guascone. Nel dicembre del 1972, in Val d’Isère, parte col numero 45 e compie un autentico miracolo vincendo lo slalom. Sarà la rivelazione dell’annata sciistica, che vedrà l’esordio nella squadra femminile della diciassettenne Claudia Giordani, figlia del giornalista Aldo Giordani, destinata a diventare l’atleta di spicco dello sci rosa.

Siamo nel 1973: il potere d’acquisto della lira crolla mandando in crisi l’economia, e il terrorismo degli “anni di piombo” conosce una delle sue stagioni più tormentate. In qualche modo, il bianco della neve cercò di contrastare l’oscurità di quel grigio, e sulle nevi, Gustavo Thoeni vince la sua terza Coppa del Mondo consecutiva, impreziosita dalla conquista del trofeo del Kandahar (combinata di discesa e slalom speciale) vent’anni dopo il trionfo di Zeno Colò, e lo sci diventa allora lo sport su cui il Belpaese proietta le speranze di rinascita. Mario Cotelli ne approfitta, e nonostante la sfavorevole congiuntura e il disinteresse della Federazione, il Direttore tecnico riesce nell’ardua impresa di convincere alcuni importanti gruppi industriali a investire nello sci, dando il là a un’operazione di marketing applicato allo sport che coinvolge la Lancia, la divisione statunitense dell’Alitalia, la Cariplo e la Parmalat, che decidono di abbinare i loro marchi all’immagine vincente della squadra italiana di sci, anticipando analoghe iniziative che verranno adottate in altri sport e contesti, e forzando l’immobilismo di una burocrazia poco avvezza a certe avventure.

Per lo sci azzurro, la stagione 1973/74 è quella della definitiva consacrazione. La Guerra del Kippur e il conseguente aumento incontrollato del prezzo del petrolio costringe il governo a decretare la cosiddetta Austerity, con alcune misure di emergenza che prevedono, fra l’altro, la chiusura anticipata dei cinema e il divieto di circolazione dei mezzi privati nei giorni festivi. Iniziano le domeniche a piedi degli italiani, e lo spettacolo dello sci trasmesso in televisione diventa l’occasione per evadere dalla grigia realtà. E se Herbert Plank stupisce tutti vincendo, da debuttante diciannovenne, la discesa libera di Val d’Isère, è l’enfant terrible Pierino Gros, con una serie impressionante di vittorie e piazzamenti, a diventare il protagonista dell’inverno magico del 1974, quello de La Valanga Azzurra, film di Giovanni Veronesi.

7 gennaio, Berchtesgaden, Baviera, Germania Ovest. Classifica finale dello slalom gigante valevole per la Coppa del Mondo: 1° Piero Gros, 2° Gustavo Thoeni, 3° Erwin Stricker, 4° Helmut Schmalzl, 5° Tino Pietrogiovanna. È il momento più alto nella storia dello sci azzurro. Cinque atleti nei primi cinque posti, un pokerissimo senza precedenti che porta l’inviato della Gazzetta dello Sport, Massimo Di Marco, a coniare per la squadra di sci l’appellativo di La Valanga Azzurra, un’espressione che accompagnerà Thoeni e compagni diventando un marchio vincente. E dopo Berchtesgaden, Morzine, Adelboden (con quattro azzurri nei primi cinque nei due slalom gigante) sono altrettante tappe vincenti per atleti che, come tante palle di neve, si fanno valanga, travolgendo tutti gli avversari al termine di discese inarrestabili. La stagione termina con il trionfo in Coppa del Mondo di Pierino Gros, che succede a Gustavo Thoeni e diventa il più giovane sciatore a riuscire nell’impresa. Ma Gustavo Thoeni non ci sta, e l’anno successivo si riprende la scena in un’annata entusiasmante caratterizzata dall’esplosione di un giovane talento svedese, Ingemar Stenmark, destinato a diventare l’atleta più vincente della storia dello sci. In quella stagione anche un altro sciatore si mette in evidenza: è l’austriaco Franz Klammer, capace di vincere otto discese libere sulle nove programmate dal calendario. E, come in un thriller hitchcockiano, i tre si ritrovano appaiati in testa alla classifica con gli stessi punti, 240, alla vigilia dell’ultima prova, ovvero quello che sarà ricordato come lo slalom parallelo più famoso della storia dello sci.

23 marzo 1975, Ortisei. Ricordate? La nostra storia è partita da qui, con cinquantamila spettatori in spasmodica attesa assiepati lungo il tracciato e all’arrivo della pista Saslong, e milioni di italiani a trepidare davanti agli schermi televisivi. I tre sciatori, terminati in testa alla classifica ex aequo, si sfidano in una prova inconsueta che, in una combinazione di sport e spettacolo, riesce a intercettare le linee di curiosità del grande pubblico. Klammer è il primo a cedere, battuto dal nostro Helmuth Schmalzl, E mentre Gustavo Thoeni si sbarazza facilmente dei suoi avversari, nei quarti di finale Ingemar Stenmark dovrà sudare le proverbiali sette camicie contro il polacco Jean Bachleda che, dopo aver accumulato un rassicurante vantaggio per un grave errore del rivale nella prima manche, inopinatamente cade nella seconda, consentendo allo svedese l’approdo in semifinale. Arrivati a questo punto, né lo svizzero Walter Tresch, né il nostro Fausto Radici, possono impedire ai due duellanti di presentarsi all’appuntamento con la storia.

Il Belpaese vive momenti di grande emozione. Le strade sono deserte, e intorno alle 13:00 gli italiani sintonizzano i televisori sul Primo canale per seguire la telecronaca di Guido Oddo e Alberto Nicolello, con la sensazione che qualcosa di storico stia per accadere.

Quando i due atleti sono sui blocchi di partenza, sul pubblico cala una sorta di attesa ansiosa. Thoeni parte bene e sopravanza il rivale nelle prime porte; la sua sciata è fluida, guadagna metri, ma verso metà tracciato Stenmark recupera e diminuisce lo svantaggio. Siamo alle porte finali, Thoeni mantiene ancora un leggero margine sullo svedese, e mentre le urla del pubblico sembrano avere il potere di spingere l’atleta azzurro, Stenmark decide di tentare il tutto per tutto, ma gli va male ed esce dalla pista, mentre lui, Gustavo, con la consueta imperturbabile classe, consente agli sci di continuare la loro corsa fin sotto il traguardo. È un trionfo storico, con il quale l’Italia cala un clamoroso pokerissimo, con cinque Coppe del Mondo consecutive. Ma è anche il momento in cui l’ideale Divinità della neve dice basta e, in un simbolico passaggio di testimone, Thoeni consegna a Stenmark lo scettro. E lo svedese saprà farne buon uso, aggiudicandosi le successive tre edizioni della Coppa del Mondo. Ci saranno ancora improvvisi bagliori accecanti, da parte della nostra Nazionale, come la medaglia d’oro di Pierino Gros alle Olimpiadi di Innsbruck, con l’argento appannaggio del solito Gustavo Thoeni. Ma la Valanga Azzurra ha ormai terminato la sua travolgente discesa, e allora anche la nostra storia può finire qui.

Ma prima di salutarci, consentitemi di ricordare personaggi e atleti che hanno permesso a un ragazzino di inorgoglirsi, come tutti gli italiani, per i successi ottenuti da quella Nazionale sulle piste di tutto il mondo nel favoloso decennio 1969/1979, con 6 medaglie olimpiche, 5 Coppe del Mondo generali e 6 di specialità, impreziosite da 48 vittorie, 59 secondi posti e 60 terzi piazze. A cominciare da colui grazie al quale tutto questo è potuto accadere: Mario Cotelli, prima allenatore poi Direttore Tecnico dal 1972 al 1978 (che ha raccontato tutto questo nel libro “L’Epopea della Nazionale di Sci”, ed. New Press). Re Gustavo Thoeni, persona tranquilla e taciturna, capace di esprimere sulle nevi un talento innato diventando un asso da antologia. Pierino Gros, il simpatico guascone dello sci; il talentuoso Rolando Thoeni, spesso fermato dagli infortuni; Helmuth Schmalzl, scultore e pittore, l’intellettuale del gruppo; Erwin Stricker, l’anarchico con il foulard svolazzante, sempre all’attacco, sempre a un passo dall’uscire di pista ma poi sempre miracolosamente in salvo. E Herbert Plank, il principe della discesa libera, e tutti gli altri, da Marcello Varallo a Paolo De Chiesa, da Franco Bieler a Diego Amplatz, da Stefano Anzi a Tino Pietrogiovanna. E i più sfortunati, come Fausto Radici, che gareggiava senza un occhio, e che in seguito sarebbe stato rapito dalle sue ossessioni, terminando tragicamente la sua esistenza. Come Bruno Confortola, vittima di una valanga, e Ilario Pegorari e Bruno Noeckler, scomparsi in un pauroso incidente in Nuova Zelanda. E come Leonardo David, il predestinato, colui che doveva raccogliere il testimone di Gustavo Thoeni, e che invece andò in coma a seguito di una caduta durante una discesa libera a Lake Placid, non riuscendo più a riaversi e morendo dopo sei anni all’età di 25 anni.

Era la Valanga Azzurra. Ricordo di un’epopea che rimarrà custodita per sempre nella memoria condivisa di una nazione.

 

Written by Maurizio Fierro

 

Bibliografia

Mario Cotelli, L’epopea della Nazionale di sci 1969-1978. La Valanga Azzurra, New Press, 2016

 

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