“Le origini del totalitarismo” di Hannah Arendt: l’allucinazione provocata dalla realtà
Le origini del totalitarismo di Hannah Arendt è uno di quei libri che, dopo averlo opportunamente acquistato, gli si dice, sapendo di mentire: sappi che prima o poi ti leggerò.

Sono arrivato finora a pagina 168 de Le origini del totalitarismo, ho finito al Prima Parte (L’antisemitismo), iniziata un paio di giorni fa, dopo appena LXXXII pagine introduttive (comprensive di due brevi, si fa per dire, incisivi saggi di due studiosi e di due tue sapide Prefazioni (l’ultima e la prima da te scritta) e con un po’ ‘d lansòun (di fiato greve).
Mi sento in dovere di dare la mia prima indicazione di lettura: ‘sto breve saggio Le origini del totalitarismo (che in un modo o nell’altro supera di poco le 800 pagine) va letto o in pieno inverno o verso la fine dell’autunno. Dopo di che, all’ora che volge allo sfinimento, coi termosifoni anch’essi ormai assopiti, si va a letto.
Essendo un cultore della femminile bellezza, cerco subito nel web alcune tue immagini. Sei bellina, in un modo tutto tuo, peccato che ho visto che fumi… ognuno ha i suoi difetti, i suoi perché… Dopo tutto non sei stata l’allieva amante di Martin Heidegger? Chi non sarebbe caduto in qualche fatale vizio a frequentare un tipetto simile? Hannah, tu ci hai lasciato allorché aveva la mia attuale età. E il tuo burden, l’hai recato tutto sulle sue muliebri e capaci spalle.
Ora sto estrapolando da me stesso (dal discorso che feci fissando l’omonimo Stefan dritto negli occhi): Il titolo inizialmente previsto dall’autrice era The Burden of Our Time: così uscì per la prima volta nel Regno Unito. Riusciremo mai a gettare nel pozzo quella greve imposizione? Leggendo te e lei il mio intento è uno solo: capire cosa ci sia di sbagliato nell’anima umana. Quale sia la colpa iniziale rintanata in essa. Non sono nemmeno certo che ve ne sia una. Forse è così perché dev’essere per forza così? È forse la sua disgraziata natura? – per correttezza, mi sento in dovere di ammettere che ho mutato (in peggio) l’ultimo quesito.
Nulla da dire sul saggio iniziale di Alberto Martinelli, se non che va assunto con la debita attenzione, e ogni tanto tornare indietro di qualche capoverso per vedere se si è davvero capito il concetto da lui espresso. In quello di Simona Forti, per nulla più lieve, ho incontrato “Gleichschaltung”: termine tedesco che indica sincronizzazione, in gran voga ai tempi di Adolf Hitler, e che Simona abbina al termine etica, che altro non vuol dire che consuetudine. Più un potere è forte, è anarchico, direbbe Pier Paolo Pasolini, più necessita di una coordinazione collettiva degli individui che diventano, appena son nati, parte della massa. Mentre dormo, sogno di leggere presto Massa e Potere di Elias Canetti.
Nella Prefazione (del “Giugno 1966”), scrivi: “Perché, come la ‘soluzione finale’ di Hitler significava in effetti rendere vincolante per l’élite del partito nazista il comandamento ‘Devi uccidere’, così la dichiarazione di Stalin prescriveva: ‘devi rendere falsa testimonianza’, quale norma di condotta per ogni membro del partito bolscevico.” – la recente lettura di Buio a mezzogiorno di Arthur Koestler m’ha aiutato a comprendere meglio l’insano concetto.
“Quando Stalin morì, i cassetti degli scrittori e degli artisti erano vuoti; oggi esiste tutta una letteratura che circola in manoscritti, e ogni via della pittura moderna viene tentata negli ateliers dei pittori e le loro opere vengono conosciute anche quando non sono esposte a una mostra.” – per cui i coevi gerarchi sovietici erano dei meri dilettanti della dittatura, non del tutto totalitari. Occorre “sottolineare il fatto che la differenza fra una letteratura clandestina e l’assenza di qualsiasi letteratura è uguale alla differenza fra uno e zero.” – fra bit acceso oppure spento, fra sì e no. Allora avevano luogo non “episodi isolati, o eccessi del regime provocati da circostanze straordinarie, bensì un’istituzione del terrore da attendersi a intervalli regolari, a meno che, ovviamente, la natura del regime non venisse mutata.”
Nella Prefazione alla prima edizione (dell’“Estate 1950”), Hannah, poni il quesito di cosa significhi quel “fenomeno così piccolo (e nella politica mondiale così insignificante) come la questione ebraica” – nonché “l’antisemitismo” – però taccio di tutti quegli “o” che devono essere colti uno a uno in loco (nelle pagine LXXX e LXXXI), a cui rimando il lettore del tuo lettore, Hannah cara. O leggi, o ignori, cara e caro solidale.
Amo le geniali banalità (dopo aver letto L’elogio della banalità di Salvatore Patriarca), per cui estrapolo questo tuo ragionamento: “… senza l’invenzione politica della borghesia, il ‘potere per il potere’, non si sarebbe mai scoperta l’estensione della forza umana…”: e pensare che quei parvenu vivevano in origine ai borghi estremi dei principali centri… ma che carrierona hanno fatto!
Segue una frase che non riesco bene a capire: “… senza il mondo fittizio dei movimenti totalitari, in cui sono venute in luce con ineguagliata chiarezza le incertezze essenziali del nostro tempo, noi saremmo stati spinti verso la rovina senza neppure renderci conto di quel che stava accadendo.” – un’unica domanda: quando ci sveglieremo dall’umano incubo?
Vedo ora che dedichi il tuo tomone Le origini del totalitarismo al tuo terzo marito, il filosofo Heinrich Blücher – chissà quanti soporifere questioni avete affrontato nel corso delle vostre cenette…
“La differenza fondamentale tra le forme totalitarie e quelle tiranniche tradizionali è che…” – banalizzo: il terrore è sospeso nell’aria che si respira, necessariamente, non uno dei tanti ingredienti, bensì il dominante, e privo di concorrenti…
“… ipotesi in apparenza scientificamente dimostrate o dimostrabili, che invero sono semplici opinioni correnti, destinate con l’assolutizzazione storica a trasformarsi in ideologie e a spiegare tutto, vale a dire più niente.” – molto simile, se ci si pensa, al credo quia absurdum, totalizzante frasetta attribuita a Tertulliano, chissà se poi è vero che l’abbia pronunciata lui…
Nel capitolo Gli ebrei e lo stato nazionale, mi colpisce soprattutto che “l’ebreo di corte Meyer Amschel Rothschild” – ‘sta figura algida (a me dà st’impressione) – “aveva piazzato i suoi cinque figli a Francoforte, Parigi, Londra, Napoli e Vienna.” – oggi avrebbe inviato qualche nipote a Pechino, New Delhi, Seul e Tokio… e a Mosca! Vien da pensare che abbia figliato e fatto figliare per tale scopo. In tal modo assunse il controllo dei principali versanti socio-politico-affaristici.
Hannah, ogni tua frase meriterebbe un (digrignante) complimento misto a (digrignante) commento. Sto lottando per evitarlo. Sei terribile, con la tua scrittura. Sai carpire come pochi l’attenzione del lettore. Sei espressiva. Sei chiara, sei documentata. E chi più ne ha, di elogi (sempre digrignanti), più ne metta!
“Gli ebrei erano chiaramente l’unico elemento intereuropeo in un’Europa di stati nazionali.” – una tribù fatta di tribù (dodici, oppure quattordici, se dobbiamo far fede a quanto ci assicura un pittoresco yankee). D’altro canto “I socialisti mantennero implicitamente intatto il concetto originario di ‘una nazione fra le nazioni’, tutte appartenenti alla famiglia dell’umanità, ma non trovarono mai il modo di renderlo politicamente operante in un mondo di stati sovrani.” – il che fa comprendere perché sorse l’idea di Cristo primo socialista.
Nel sottocapitolo L’antisemitismo di sinistra, leggo quante assurdità, nessuna gratuita, sono sorte davanti al fenomeno ebraico, tanto che uno non sa più da che parte stare, vero, Hannah?
“Per gli scrittori liberali o radicali era diventata quasi una tradizione mettere in guardia contro gli ebrei, barbari che vivevano ancora in una forma patriarcale di governo e non riconoscevano alcuno stato.” – e in questo possono essere definiti anarchici! Invece no, è da intendersi non un unico stato, ma una mesca francesca di tutti gli stati. Che casino, bella mia!
Interessante è l’elogio (un po’ forzato) che fai di Céline, che pare avesse capito tutto degli ebrei, per quanto sia odioso, nel modo che solo un genio può essere (si legga attentamente pagina 69).
Apprezzo la frase di André Gide, secondo cui il suo collega, nell’esaminare “la ‘specilialité’ ebraica, è “riuscito a rappresentare non la realtà, ma l’allucinazione che la realtà provoca.” – tentando di inseguirne gli sfuggenti fotoni? Grande André: passerò parte della mia vita a cercarti!
A pagina 71 de Le origini del totalitarismo citi il libro di Stefan Zweigh – ed è interessante quanto lui dice e tu riporti. Va solo letto, cari. Zweig era ricco, borghese, ebreo, e sapeva quel che sapeva. E ignorava tutto il resto.
Börne scrisse e tu lo riporti: “Alcuni mi rinfacciano di essere ebreo, altri me lo perdonano, altri ancora mi lodano per questo, ma tutti ci pensano.” – e tu, Hannah, sai quello che va citato e il secretum locum in cui l’arguta lezione, che hai raccolto, va inserita. In ciò sei una grande maestra. Pensa a ‘sto verso di Judah Leib Gordon: “essere un uomo nella strada e un ebreo a casa” – come se fosse un orientamento etnico ed etico da celare il più possibile (e da utilizzare al bisogno).
Che dire di Benjamin Disraeli, che più nomen omen non poteva essere?! Lo descrivi con una minuzia così arguta e una simpatia così diffidente, che è un incanto leggerti… e non so esimermi dal riportare una frase della di lei moglie, che tu non risparmi al tuo lettore (e ora io ai miei): “Tu sai di avermi sposata per denaro, e io so che, se dovessi farlo ancora, lo faresti per amore.”: il tuo saggio diventa un romanzo da leggere sotto all’ombra dell’ombrellone! Ora definisci quel Benny: un “ciarlatano che trasformava noiose transazioni di affari in sogni di gusto orientale.” – e di cui “I politici si innamorarono…”.
Qualche decina di pagine dopo si conclude il capitolo Gli ebrei e la società, che è, se permetti, quello che più m’ha intrigato e quasi entusiasmato. Sei così micidialmente carina quando scrivi!
Ora tocca a L’affare Dreyfus, che invece mal digerisco, ché più complesso e abnorme non può essere, con quella mischiata de Il popolo e la plebe, che tanto caosino provocano, essendo provocati da chi sai tu (qualcosa sto masticando anch’io ormai). Un passo per tutti (pagina 157): “Non ci si chiede più: Dreyfus è colpevole o innocente? Ci si chiede: chi conquisterà la vittoria, i nemici dell’esercito o i loro amici?” – paroline tratte dal cattolico giornale “La croix”. Non è importante stabilire se, nel ‘74, fosse più abile nel trattare la palla Johan Cruijff o Franz Beckenbauer, ma attestare quale fu la particella vincente (la teutonica Germania Ovest) e, se con qualche aiutino arbitrale, esso fu quanto meno gradito, a prescindere (come direbbe Totò).
Temendo dei guai per “L’Esposizione” – “Il presidente Loubet graziò Dreyfus e liquidò l’intera faccenda.” – punto e a capo. Il mondo è un ricominciare dalla riga seguente, vero? Ergo, comincia ora la Parte seconda – L’imperialismo. Il capitolo quinto è: L’emancipazione politica della borghesia… e, per capire che sia, consiglio di vedere un film a caso di Luis Buñuel. Non c’è manco mezzo borghese che non sia un villan nato fuori dalle mura della città e opportunamente rifatto. Anche i più inclìti aristocratici lo sono, ma la loro metamorfosi data da più tempo. E il tempo, di buono e di ingiusto, ha che tende a confondere i dati. Ancora citi quella frase tratta dal citato libro postumo di Zweig (che, per poterlo meglio editare, egli pensò bene di suicidarsi insieme alla seconda moglie, Lotte Altmann).
Questa, vana, espressione scrisse: “età aurea della sicurezza” – da intendersi come la più aurea, la meno ottonesca. Io lo amo, ‘sto inquieto omonimo, ma fatico a sopportarne il borghese disprezzo (e l’assenza totale di pietà umana) nei confronti di quell’autentico e povero diavolo che, mentre trascinava i suoi straccetti da imbianchino fallito, sognava di sterminare ebrei e di diventare il Führer. Da tale mutua incomprensione hanno origine gran parte dei misfatti e genocidi.
“L’espansione come bene supremo…” – come la soluzione momentaneamente finale – “… Poiché non implicava né il temporaneo saccheggio del territorio conquistato né la definitiva assimilazione dei suoi abitanti, era un concetto assolutamente nuovo nella storia.” – era lavato con un micidiale ammorbidente. L’imperialismo degli ultimi due secoli somigliava ai vecchi come l’Homo sapiens a quello di Neanderthal: con cui abitualmente, almeno un po’, incrociò i propri geni. “La sua originalità (che sorprendeva perché i concetti radicalmente nuovi sono rarissimi in politica) era invero apparente…” – la cui novità essendo soprattutto di tipo “commerciale” – per cui “La borghesia si dedicò alla politica spinta dalla necessità economica…”
Commovente è l’espressione: “… l’umanità era una famiglia di popoli gareggianti fra loro…” – come lo è tuttora. I punti del certame agonistico sono segnati coi teschi dei morti nei paesi resi sempre più terzi e derelitti, grazie all’inclìto mondo occidentale, che un giorno, ne sono certo, pagherà tutto il fio delle sue vili mascalzonate.
“… il potere viene inteso come il motore…” – anarchico, ripeterebbe fino alla nausea Pier Paolo – “… di ogni azione politica…” – che ha come carburante la “paura opprimente diffusa dovunque”. Il Bene è il Potere che galleggia, come un escremento, sulle miserie umane.
“La necessità del processo di accumulazione del potere per la difesa dell’accumulazione del capitale determinò l’ideologia ‘progressiva’ del tardo XIX secolo preannunciando l’ascesa dell’imperialismo.” – e, se non si trova una pur lenta (ma non troppo!) soluzione la fine del nostro privilegio etnico (ma che parolina terribile!).
A pagina 203 de Le origini del totalitarismo fai un’analogia tra la nostra e la società “delle formiche e delle api” – e mi chiedo che penseresti se leggessi i libri scritti sull’argomento da Edward O. Wilson. Persino una società di imenotteri in cui le formiche di fuoco uccidono le proprie madri che non ce l’hanno fatta a diventare regina, mi pare meno bestiale, più umana (ma sento che dovrei mutare la parola) della nostra. La discendenza sarà solo di quella Miss “che si riconosce dai suoi feromoni, è la più feconda” – la più utile alla specie. Vedi: Edward O. Wilson – Le origini profonde delle società umane – Capitolo 6, Selezione di gruppo, pag. 82 (Raffaello Cortina Edizioni, 2020).
“… il pensiero razzista rimase così strettamente legato, nelle sue prime fasi, al generico sentimento nazionale da rendere piuttosto difficile una distinzione fra il genuino nazionalismo e il razzismo vero e proprio.”
Cos’è il patriottismo? Perché si dice la madre patria? Perché si crede che il territorio in cui si abita appartenga alla tua stirpe e non all’altrui! Il capitolo Le teorie razziali prima dell’imperialismo è denso di informazioni e di tentativi di spiegazioni, per nulla sintetizzabili. Solo questo mi viene da dire: lo si deve solo leggere, in un ambiente silenzioso (e rinfrescato!). Il medesimo ragionamento vale per Razza e burocrazia, che ancora di più m’ha inquietato. Non è un saggio da digerire nell’afa estiva. Essendo a fine luglio, mi sento come chi tenta di scalare l’Everest in pieno inverno.
“I boeri” – ma che gente! – “Al pari degli ebrei, essi si ritenevano il popolo eletto, ma, a differenza di quelli, non per la divina redenzione dell’umanità, bensì per l’inerte dominio su un’altra specie condannata a un’altra inerte servitù.” – un popolo che non voleva studiare da popolo (di tipo agricolo o industriale): gli altri erano tenuti a farlo, umili servi del loro indolente popolo. Essi formavano il gruppo dei capi degli altri. E da questi erano staccati per diritto divino: “Questa era la volontà di Dio sulla terra: lo proclamava, e lo proclama ancor oggi, la chiesa riformata olandese in netto contrasto con gli odiati missionari di tutte le altre confessioni cristiane.”
Ragionamento succoso: “… il razzismo è sempre strettamente connesso al disprezzo per il lavoro, all’odio per la limitazione territoriale, allo sradicamento completo, a una fede limitante della propria ‘elezione’ divina.” – la differenza fra ‘sta gente e l’ape regina è che lei, nell’accoppiamento, si consuma a poco a poco. ‘Sta gente s’incrocia quando crede e va sfruttando l’altrui minorità: “… gli incentivi materiali come i motivi più elevati perdono la loro efficacia in una collettività dove nessuno si prefigge mete da raggiungere e ogni individuo è diventato un dio.”
Narri ne Le origini del totalitarismo di quando furono scoperti “i campi diamantiferi di Kiberley e le miniere d’oro del Witwatersrand…” – che emozione! Tanto che “Gli europei del posto fecero esclusivamente i sorveglianti e non fornirono neppure la manodopera specializzata e gli ingegneri, che dovettero costantemente venire importati dall’Europa.”
“L’unica sezione della popolazione sudafricana che non volle partecipare alle nuove attività furono i boeri. Essi odiavano tutti questi stranieri…” – l’odio costa energia e induce all’indolenza e alla fuga.
“… e si misero un’altra volta in viaggio verso l’interno selvaggio. Non capirono che questo nuovo afflusso di…”
“Oggi tutti i settori della popolazione…” – anche i cagnolini da salotto? – “… sono d’accordo sulla questione razziale.” – non ugualmente ma concordamente diversi rispetto all’Altro, il negletto negretto. Per rispetto per tutti, carnefici e vittime, sbando ora sul successivo: L’imperialismo continentale e i pan-movimenti.
Il Capitolo nono è Il tramonto dello stato nazionale e la fine dei diritti umani – allegria!
“I giorni che precedettero e quelli che seguirono la prima guerra mondiale sono separati fra loro non come…” – in che modo lo sono, su, dimmi! – “… ma come il momento che precede e quello che segue un’esplosione.” – a neverending bum!
“La prima esplosione sembra aver provocato una reazione a catena che non si è ancora arrestata.” – l’ultimo bum bum data tre secondi fa…
Ora “L’odio” venne adibito “a svolgere una parte centrale negli affari pubblici…” – e questo lo paragoni a “un dramma familiare di Strindberg” – autore che dovrò sviscerare, se ho ben capito…
C’è, ahimè, un “… odio vago di tutto e di tutti, senza un oggetto definito, senza poter addossare la colpa della situazione a qualcuno…” – e tutti risultavano innocenti, finalmente. Assolti, perché il fatto quasi non sussisteva! Il delitto “si rivolgeva in tutte le direzioni, a caso e imprevedibilmente, incapace si risparmiare qualcosa sotto il sole.”: tutti gli eventi sono unici ancorché indeterminati, ma c’è voluto un nuovo studio della meccanica degli atomi per capirlo. Anche “i gruppi allogeni” sono parte integrante del problema, e mica possono scappare perché allo-geni: pronti per la “fusione”, in cui si sarebbe consumata la prima parte della parola, allo-: poi tutti i -geni si sarebbero ricomposti… La scelta sarà uguale per tutti: “assimilati o liquidati”.
“L’apolidicità è il fenomeno di massa più moderno, e gli apolidi sono il gruppo umano più caratteristico della storia contemporanea.” – Uomini e no, Uomini e non più, che bramano l’evoluzione: Uomini forse un giorno. Chissà se accadrà!
Emozionante la traduzione in francese: “apatrides” – senza materiale genetico conosciuto, replicanti da eliminare qualora siano in eccesso. Mi vien in mente il cartoon di Bruno Bozzetto: Vip. Mio fratello superuomo (1968). Quanto vale la mia esistenza? Come o più di quella degli omini gialli che paiono dei replicanti? Che ne pensa di questo Françoise Brunelle, il fotografo che va cercando ovunque copie quasi esatte di individui che appaiono quasi identici? Come gemelli quasi separati alla nascita? Quanti ne ho io? Quanti Stefano Raspini? Quanti Stefano Sturloni? Quanti Stefan Zweig? Quel quasi ci salva, e poi, sogghignando, ci frega.
“… a quel tempo la privazione in massa della cittadinanza era una cosa assolutamente nuova e imprevista. Essa presupponeva una struttura statale che, se non ancora completamente totalitaria, non tollerava alcuna opposizione e preferiva perdere dei cittadini piuttosto che albergare nel suo senso dei dissenzienti.”: rami seccamente fracichi.
“… quasi tutti i paesi del continente adottarono nel periodo fra le due guerre una legislazione formulata in modo da consentire l’espulsione dei cittadini sgraditi al momento opportuno.” – e vai!
“… sino a fare del campo di concentramento…” – che geniale idea! – “… la soluzione corrente della residenza delle ‘dispaced persons’.”
Splendida deduzione di John Hope Simpson: “tutti i profughi sono agli effetti pratici apolidi” – la pratica è quel che conta…
“Solo la perdita di una comunità politica lo esclude dalla umanità.”
Inizia ora la Parte terza – Il totalitarismo, il cui esergo di David Rousset spaventa. Di lui non so nulla, ma mi dà l’idea che sapeva che diceva: “Gli uomini normali non sanno che tutto è possibile.” – anche il quasi improbabile prima o poi accadrà, assicura la meccanica dei quanti.
La pagina 426 de Le origini del totalitarismo è foriera di brutte notizie (ergo non bruttissime). Colgo una frase citata da Anton Ciliga: “Se sei favorevole al governo sovietico come pretendi, provalo con le tue azioni; il governo ha bisogno della tua confessione.” – ancorché tu sia innocente, che poco cale a chi non aspetta che la tua richiesta di perdono… Una cosa simile la lessi in Vita e destino, romanzo del ‘59 di Vasilij Grossman.
“Invece i movimenti totalitari trovano un terreno fertile per il loro sviluppo dovunque ci sono delle masse che per una ragione e per l’altra si sentono spinte all’organizzazione politica, pur non essendo tenute unite da un interesse comune e mancando di una specifica coscienza classista, incline a proporsi obiettivi ben definiti, limitati e conseguibili.”
“La verità è che le masse si formarono dai frammenti di una società atomizzata, in cui la struttura competitiva e la concomitante solitudine dell’individuo eran state tenute a freno soltanto dall’appartenenza a una classe.” – il perfetto (concluso) “isolamento” perché ci si senta Uniti.
“Il terrore dittatoriale, che si distingue da quello totalitario in quanto minaccia soltanto gli autentici oppositori, e non gli innocui cittadini senza opinioni, aveva soffocato ogni parvenza di vita politica, aperta o clandestina, già prima della morte di Lenin.” – che fu una benedizione per Colui che gli succedette. Chi la causò (magari fu il Caso, chissà) fu provvidenziale per Chi venne dopo… Lenin aveva un difetto insopprimibile finché sarebbe stato in vita: ammetteva gli errori, cercando di porvi rimedio. Non era totalitarista… come invece lo sarà il Successore.
Himmler – il cui viso m’ha sempre conturbato – “definì le SS come il nuovo tipo umano che in nessuna circostanza avrebbe fatto ‘una cosa per se stessa’.” – era da fare, ché il Kósmos lo esigeva!
“… il regime staliniano riuscì a instaurare una società atomizzata quale non si era mai vista prima, e a creare intorno a ciascun individuo un’impotente solitudine quale neppure una catastrofe da sola avrebbe potuto causare.” – Stalin si sentiva, a tuo dire, Hannah, solidale solo al corrispettivo Capo germanico. E il sentimento era, dici, reciproco. Si vollero bene e si rispettarono fino al tradimento.
Altra frase che citi di Himmler: “Il mio onore si chiama fedeltà”. – a me stesso, inteso come un Tutto? Non si sentiva anche lui atomizzato? Lo slogan di Mussolini (forse il più famoso) era Credere, obbedire, combattere. Però tu non ti sogni neppure di definirlo totalitarista, ma solo (provincialmente?) “dittatoriale”.
A pagina 454 de Le origini del totalitarismo parli (anche) di Rimbaud: lui per me resta un mistero.
“La distruzione senza limiti, il caos e la rovina in quanto tali assumevano la dignità di valori supremi.” – che ti fanno entrare e uscire dall’inferno pigiando un tasto, o avvicinandoti all’uscio…
“Già Bakunin aveva confessato: ‘Non voglio essere io, voglio essere noi’”
“Non era affascinante la maestria di Stalin e Hitler nell’arte di mentire, ma la loro capacità di organizzare le masse in modo da tradurre le loro menzogne in realtà.”
“… la concezione politica della borghesia. Questa aveva compiuto la sua ascesi mercé la pressione sociale e, spesso, il ricatto economico ai danni delle istituzioni politiche…” – quanto dici mi fa venire in mente un film di Miklós Jancsó, Vizi privati, pubbliche virtù.
“Il dominio totale non consente libertà d’iniziativa in nessun settore della vita, non può ammettere una attività che non sia interamente prevedibile…” – per cui, nel caso, si può giungere a credere nella propria deità.
“… lo storico Walter Frank” fu scaricato, pur essendo “un antisemita convinto” – in quanto “era chiaro che egli suscitava diffidenza semplicemente perché non era un ciarlatano.”
“Soltanto la plebe e l’élite possono essere attratte dall’impeto del movimento totalitario.” – ed è con ‘sta frasetta antifrasticamente anodina che inizi il Capitolo undicesimo – Il movimento totalitario.
“… la propaganda è soltanto uno strumento…” – come la stonata cetra di Nerone – “… il terrore è invece la vera essenza del regime totalitario.” – sempre intonata a se stessa.
“… perché soltanto in un mondo interamente controllato il dittatore totalitario può realizzare le sue menzogne e far avverare le sue profezie.” – e chi non ci crede farà la fine di Giona, che poi a salvarlo non sarà mai obbligatorio per Colui Che Tutto Vuole.
“… le masse…” – queste fin troppo conosciute a metà – “… hanno a cuore, non una determinata causa o impresa, bensì la vittoria e il successo in qualunque causa e impresa.”

Citi spesso quei Protocolli dei savi anziani di Sion – che lessi come se fosse un libro, che questo so fare, e fui criticato da un anti-antisemita, che quell’Io Sono Colui Che Sono sia con lui. Come descrivi i vari livelli di simpatizzanti e di iscritti, mi fai venire in mente la Singolarità Nera, e l’Orizzonte degli Eventi, varcato il quale non si può più regredire. Il fatto che il popolo tedesco smise di esservi (del tutto almeno) attirato, conclusa la guerra, mi rende scettico sulla mia metafora. L’uomo ha ancora tanto imparare dal Kósmos e invece crede di esserne l’indiscusso leader…
“Al centro del movimento è il motore che lo fa marciare, il capo.” – che non è l’alveo della Nera Singolarità: la fine di Hitler lo testimonia. Anche la tua mera ipotesi, che lo stesso Stalin possa essere stato neutralizzato dai suoi, la dice lunga sulla pochezza umana, di cui noi si è, vanesiamente, orgogliosi. E vale anche “per la convinzione sincera e giustificata di questa cerchia che senza di lui tutto sarebbe irreparabilmente perduto.” – il Grande Capo non è mai utile, bensì essenziale!
“… nell’ambito di questa struttura organizzativa l’errore può essere soltanto una frode: l’incarnazione del capo da parte di un impostore.” – di uno che simulava d’essere il Figlio Legittimo e Unigenito della Storia. Il quale può anche “fingere allo stesso tempo l’onesta, innocente rispettabilità del più ingenuo simpatizzante.”
“… le società segrete hanno sempre seguito il principio ‘è escluso chiunque non sia espressamente incluso’.” – quest’ultimo solo ha il diritto di esistere, credendo di essere: il resto è un quasi nulla (mai del tutto azzerabile!). Una ridicola soddisfazione spetta ai non ancora epurati: “… ai non esclusi davano una conferma dell’inclusione.” – che è il termine più orrendo che ci sia, essendo complementare al suo opposto: esclusione.
“La moltiplicazione degli uffici era estremamente utile per il continuo spostamento del potere.”
“Il dittatore totalitario è come un conquistatore straniero che non viene da alcun luogo, e i suoi saccheggi non giovano a nessuno.”: Stalin veniva dalla Georgia, Hitler dall’Austria, da due località della provincia.
“L’assenza di struttura dello stato totalitario, la sua noncuranza degli interessi materiali, la sua indifferenza per le considerazioni di opportunità e la mera sete di potere hanno contribuito più di qualsiasi altro fattore a rendere pressoché imprevedibile la politica contemporanea.”
“Il concetto di ‘nemico oggettivo’, la cui identità varia secondo le circostanze (di modo che, appena liquidata una categoria, si può dichiarar guerra a un’altra), corrisponde esattamente alla situazione di fatto ripetutamente sottolineata dai dittatori totalitari.”
Il resto è soggettivo, ergo colpevole: “Contro queste possibilità ‘oggettive’, anche se del tutto improbabili, stavano soltanto dei fattori ‘soggettivi’, come la lealtà degli accusati, la loro stanchezza, la loro incapacità di…”
“Nei paesi totalitari le prigioni e i Lager sono organizzati come veri e propri antri dell’oblio…”
“L’azione della polizia segreta… riesce miracolosamente a far sì che la vittima non sia mai esistita.”
“… la cui unica ‘libertà’ consisterebbe nel ‘preservare la specie’. Tale fine viene perseguito sia con l’indottrinamento ideologico delle formazioni d’élite, sia col terrore assoluto dei Lager…”
La vittima non c’è più: “La sua morte non faceva che suggellare il fatto che egli non era realmente esistito.” – ai tempi di Stalin l’epurato veniva cancellato dalle foto di gruppo, con trucco tecnico, come per testimoniare il potere demoniaco della Storia letta dall’Unico Vincitore. Una volta che erano sparite tutte le foto del Mai Esistito ecco realizzato il nuovo reale.
“Visti attraverso le lenti dell’ideologia, i campi hanno quasi il difetto di aver troppo senso, di attuare la dottrina con troppa coerenza.”
“L’ideologia totalitaria non mira alla trasformazione delle condizioni esterne dell’esistenza umana né al riassetto rivoluzionario dell’ordinamento sociale, bensì alla trasformazione della natura umana che, così com’è, si oppone al processo totalitario. I Lager sono i laboratori dove si sperimenta tale trasformazione, e la loro infamia riguarda tutti gli uomini, non soltanto gli internati e i guardiani.”
L’ultimo capitolo de Le origini del totalitarismo, Ideologia e terrore, è una novità.
“Le leggi circoscrivono ogni nuovo movimento, la potenzialità di qualcosa d’interamente nuovo e imprevedibile.”
“Il regime totalitario…” – ‘sto fantastico giochino! – “… distrugge il presupposto di ogni libertà, la possibilità di movimenti, che non esiste senza spazio.”
“… perché il suo movimento di pensiero non deriva dall’esperienza, ma si genera da sé, e poggia su un unico punto tratto dalla realtà esperimentata e trasformato in una premessa assiomatica, rimanendo nel suo sviluppo completamente immune da qualsiasi esperienza ulteriore.”
Written by Stefano Pioli
Bibliografia
Hannah Arendt, Le origini del totalitarismo, Einaudi, 2020