“Come funziona il cervello?” di Piero Benassi: un secolo di psichiatria
In data 20 settembre 2024, in un locale adiacente ai Chiostri della Chiesa di San Pietro, ho assistito alla presentazione del saggio Come funziona il cervello?, scritto da Piero Benassi, docente di psichiatria all’Università di Bologna, nonché Direttore dell’Ospedale Psichiatrico San Lazzaro di Reggio Emilia dal 1964 al 1993.

Insieme all’autore (fresco ragazzino di poco più di cent’anni) e a Elisa Pellacani, Direttrice della casa editrice Consulta Libri Progetti, c’erano tre esperti del settore: Stefano Mazzacurati, scrittore e medico psichiatra; Gian Mario Galeazzi, professore ordinario di Scienze biomediche metaboliche e neuroscienze presso l’Università di Modena e Reggio Emilia; e, infine, Marco Ruini, specialista in neurochirurgia e neurologia.
Protagonista del saggio Come funziona il cervello? di Benassi è quel messer messerino raffigurato in prima di copertina (il disegno è di Elisa Pellicani), e indicato nel titolo: il Cervello, questo parzialmente conosciuto, arcigno custode di chissà quanti e quali segreti. Colpisce, nel disegno di Elisa, quella molla grigio scura, che invita a una perenne ricarica; e quel colore arancio dell’eroe protagonista, che, a mo’ di metafora, allude a una maturità ancora tutta da scoprire; e quella ruota, di eguale (non) colore della molla, che agevolerà il suo muoversi da qui a là.
Benassi afferma di essersi limitato a scrivere un Bignami, un manuale sintetico sull’argomento. Mazzacurati afferma che si tratta invece di una specie di romanzo. Ieri sera ho concluso la lettura de Come funziona il cervello? e non so ancora decidermi a chi dare ragione. Forse a entrambi. Del Bignami ho qualche ricordo liceale. Non lo adoravo, a prescindere dalla materia trattata, perché induceva a studiare a memoria, più che a capire le questioni e limitava il diritto alla distrazione, al pensiero sotteso, alla divagazione.
Scrivendo, Benassi tende talvolta a distanziarsi dalla diritta via, riuscendo ogni volta, come diceva Totò, ad andare dove deve andare. Lo spazio, si sa, è curvo e il tragitto più breve fra due punti è una geodetica curva. Tale è il saggio Come funziona il cervello? di Benassi: pieno zeppo di anse, come lo è il fiume col bacino idrico più esteso del mondo, il Rio delle Amazzoni, che, dopo una miriade quasi infinita di diversioni e conversioni, conclude il suo viaggio sfociando nell’Atlantico.
Come funziona il cervello?, Piero, è davvero un romanzo, non difettando certo di riferimenti alla tua esistenza, di uomo, di ricercatore e di medico curante, nonché alle tue letture di autori che poco parrebbero avere a che fare con l’argomento trattato. Scusa se ti do del tu, ma ti sento mio coetaneo. Essendo il sottoscritto un curioso cronico e compulsivo, già lessi alcune opere sull’argomento, che però rimane per me un arcano, come lo è Il continente misterioso narrato da Emilio Salgari (mia recente lettura).
Certe tue descrizioni tassonomiche, e altre più libere ed espressive, consentono anche a chi non è esperto, di comprendere almeno un po’ il senso di ogni tuo ragionamento. Forse solo alcune descrizioni rimarranno a livello cosciente, ma sarà sempre ancorato alla memoria, quest’altra donzella fascinosa e dispettosa… e così liquida! A chi non capita di non ricordare del tutto (ma solo un tragico poco) un’immagine o un discorso udito chissà quando e chissà da chi. In tali casi il tentativo di riportare alla completa coscienza quanto è quasi del tutto seppellito nell’oblio, rischia, talvolta, di diventare un fastidioso pensiero da cui urge liberarsi.
Lo scopo di ogni canna pensante (metafora di Pascal) è, come dici tu, “… cercare il nuovo, il diverso, il bello, cioè creare e quindi assecondare, tutti quegli istinti che danno significato e valore alla vita, immettendo energie nuove…” – … a chi, se non all’uomo nella sua totalità, psiche e corpo, fra loro correlati? Questo è il progetto che mi pare sotteso non solo alla tua opera e alla tua vita, ma all’esistenza di chiunque di noi, che ne siamo o no consapevoli.
Il primo capitolo de Come funziona il cervello? insegna che il cervello, come tutto quel che esiste, non è un magma unico, ma è un continente composto da confini di zone comunicanti fra loro.
Secondo Democrito, in fondo a ogni ente, esiste l’Atomo indivisibile, ma la sua è un’idea religiosa, nel senso indicato da Karl Popper, forse per sempre né infalsificabile né dimostrabile. Il corpo è composto da cellule, le quali sono un’ordinata accozzaglia di mitocondri, citoplasmi, etc… ognuno con la propria, paludosa, Zona Golgi e quant’altro: il tutto in relazione con sé. Ogni cellula è formata da atomi, ogni atomo da particelle di segno opposto, oppure neutre, ma in realtà anch’esse miste di quarks (con l’etimo joyciano!), la cui varietà di generi reca una sindrome di Stendhal!
Ancora nulla si sa di cosa siano composti le attualmente indivisibili particelle elementari, se non genericamente di materia e di energia, come tutto quanto esiste… Ma del tempo per la ricerca ce n’è finché si vuole e forse basterà aspettare qualche eone.
Tutti ‘sti pensieri, che già covavano in me, me li ha risvegliati la lettura del tuo saggio Come funziona il cervello?, amico Piero. Sappi che le tue pagine sono state fin troppo maltrattate dalla mia matita, che non ha mai smesso di sottolineare la maggior parte degli aspetti del tuo discorso. Non posso però indicare tutto, anzi, temo che i miei riporti saranno fin troppi. Né potrei tentare il Bignami del tuo pseudo-Bignami! Non ne sarei in grado… Alcune tue osservazioni che a prima vista possono parere banali, sono meritevoli di quell’Elogio della banalità (saggio di Salvatore Patriarca che continua a illuminare ogni mia lettura), poiché mi spingono a immaginare nuovi modi d’intendere la coscienza, nuovi mondi, nonché nuove opportunità di coscienza.
Un esempio è dato dal capitolo I neuroni specchio, che mi convince sempre di più del valore essenziale della lettura, che altro non è che lo specchio in cui uno si può rimirare, esistendo in quel tempo altrove, pur restando ancorato al suo sofà, munito di un paio di occhiali, qualora uno sia presbite, in grado però di vedere bel oltre la pagina scritta, grazie al cervello dell’autore. Le due teste (dello scrittore e del lettore) insieme rappresentano la metafora di un Giano Bifronte.
In alcuni capitoli non ho sottolineato alcunché, ma ciò significa che non ho rinvenuto nulla a cui aggiungere qualcosa da che è emerso dalla mia fronte. Quel che è sorto dalla tua bastava e abbondava…
A pagina 43 leggo: “Per sperimentare di giorno la varietà delle esperienze che il sogno ci concede di notte, dovremmo vivere sette vite…” – che senz’altro non basterebbero. Non so quanto rientri nella patologia neuropsichiatrica, ma a volte me la prendo con me stesso, con i miei limiti intellettuali, col mio non riuscire a ricordare e a mettere per iscritto l’intera estensione del sognato. Ci provò il mio amato Jack Kerouac, scrivendo il suo Libro dei sogni. So che anche Federico Fellini tentò di archiviarne alcuni in un suo scritto. Un giorno leggerò anche quella sua opera. Di fatto, ogni mattina, come dici tu, mi resta in mente l’ultima vicenda vissuta e poc’altro. Quello che sogno vivendo la mia comune esistenza a volte mi suggerisce delle immagini, dei pensieri che vorrei trascrivere. Non essendo sempre possibile tracciare su carta o al computer la mia interpretazione del mio pensiero, essendo magari per strada o insieme ad amici, capita talvolta che ogni cosa vada persa. Tentando di ridurre tale entropia, sfrutto talvolta la tecnologia portatile, così essenziale ormai, pur anch’essa caduca: non sempre il mio conato va a buon fine. In tali occasioni mi dico: andrà meglio la prossima volta, speròm!
Tra pagina 49 e 50 de Come funziona il cervello? affermi che la “privazione totale del sonno REM” – l’onirico – condurrebbe “ad una compromissione fisica esiziale, al collasso cardiocircolatorio e anche alla morte.” – per cui deduco che le Finzioni (termine borgesiano) sono essenziali per mantenere una vita sana. Il creare mentalmente mondi alternativi al quotidiano è uno scudo che serve a difendere il nostro esistente. Qualcosa che dici sul diverso vivere la giornata, attraverso le varie attività, m’induce a narrarti del mio caso psicologico. Scrivo soprattutto al buio, perché quando c’è la luce preferisco leggere, non tanto per evitare sprechi di energia elettrica, ma perché è diventata un’abitudine, una mia assurda normalità, come dire: un rito, una norma che mi sono auto-imposto. Scrivo in orari in cui la gente dorme e posso per fortuna leggere quando gli altri svolgono la loro comune attività quotidiana. Continuo a ingerire dosi massicce di scrittura altrui fino alle otto o alle nove di sera, per tutto l’anno, anche d’inverno, sfruttando, in quella più scura stagione, la luce artificiale. Alla sera non mi va di scrivere: è comprensibile, dopo aver letto tanto. La mia vita è per lo più questa, anche mi se capita anche di uscire con gli amici e di frequentare i miei familiari. Non so dirti quanto questo sia igienico, ma di fatto questa è la mia esistenza, a cui non saprei rinunciare. La solitudine mi fa ancor più apprezzare la vita in comune con gli altri. La frequentazione del mio prossimo non mi fa disdegnare il mio temporaneo solipsismo. Le due esperienze necessitano l’una dell’altra, conducendo di continuo l’una all’altra. Nell’alveo di ognuna mi sento realizzato.
A pagina 59 leggo: “L’ansia rappresenta un mezzo per cercare di conoscere come funziona il cervello.” – al che mi vien in mente il celebre detto, che riporto in italiano: non c’è tristo cavagno, cesta di vimini, che non venga buono una volta all’anno (durante la vendemmia, per esempio).
Il male di vivere, lo chiamava Cesare Pavese, non è mai piacevole, ma può recare dei benefici. Quanti autori depressi hanno donato al lettore la felicità interpretativa! Prima di iniziare a leggere il tuo saggio, ho assorbito gli effetti letterari e umani di Lessico famigliare di Natalia Ginzburg, ove l’autrice parla non solo di sé e della sua famiglia (accennando appena ad alcuni suoi fatali dolori), ma anche alla figura di quel grande autore torinese che morirà suicida nel 1950, la cui comune espressione verbale era un orribile: Me ne infischio! – ecco quello che occorre evitare! Dire di infischiarsene del proprio rapporto con la realtà, patendo e a volte morendo a causa della propria crudele menzogna. Assai probabilmente egli affermava d’infischiarsene, mentendo a se stesso…
“L’ansia, derivando dal tema angere (stringere – sofferenza), richiama la costrizione, l’affanno, l’apprensione…” – etc… Ed è in quell’etc che dovremo rinvenire la soluzione.
“… dobbiamo migliorare la conoscenza dei nostri problemi, allargando così gli spazi della nostra libertà.” Ogni argomento che affronti rappresenta una serie quasi infinita di novità che ogni volta si mischiano con qualche dato che già conosco. Ripeto: se alcuni capitoli non scatenano le mie reazioni scritte non significa che esse non ci siano state, ma che sono rimaste aeree. È come le due modalità della materia: onda che si muta in particella, qualora due enti si correlino, attestandosi l’uno con l’altro. Questo vale per ogni tipo di scrittura e lettura: due fenomeni antagonisti, ma che risultano l’uno mischiato all’altro, poiché coabitanti nella medesima situazione. Se due particelle s’incontrano, rimarranno entangled, co-esistenti per tutta la loro breve o estesa esistenza. Si tratta di un mistero irrisolto: il messaggio inerente all’esistenza di Sé viene comunicato all’istante, all’Altro Sé con una velocità superiore alla massima consentita: quella della luce. Due sommi geni, quali Albert Einstein e Niels Bohr, a lungo si confrontarono sull’indeterminatezza quantistica, che è l’origine di tutti i misteri, in una diatriba accanita (in merito all’opinione che Dio giochi o meno a dadi col Kósmos), senza mai uscirne, e restandone entangled per tutta la loro inclìta esistenza.
A volte (spesso) temo di scrivere troppo intorno a un libro e mi sento in colpa, ma poi finisco per prospettare un concorso della stessa: molta responsabilità spetta di diritto all’autore… Verso la fine della disamina tendo a ridurre l’estensione del mio commento, anche se questo mio scritto pare dimostrare il contrario. Il mio intento è di ex-agerare (uscendo dall’argine) senza esagerare. Non sempre il mio tentativo va a buon fine.
Il capitolo Il cervello e la musica comincia così: “Inizio con un ricordo personale di epoca infantile…” – quindi ha ragione il mio omonimo a metà (Stefano Mazzacurati): questo saggio è un romanzo. Lo è anche… Tutti i romanzi lo sono anche…
A pagina 123 de Come funziona il cervello? parli delle sostanze psichedeliche, alludendo a quella “espansione della coscienza” – di cui cianciava (e cantava) un esponente della beat generaion, Allen Ginsberg, quasi tuo coetaneo. Rammento due titoli di sue poesie: Acido lisergico e Gas esilarante, comprese nella celebre raccolta Jukebox all’idrogeno, opera fondamentale per la mia vita di lettore, che divorai con bramosia quando ancora leggevo poco. L’amico Onorio, che ha assistito insieme a me alla presentazione della tua opera, un giorno accennò a una spiegazione di ‘sto spinoso fenomeno. Forse lui non se lo ricorda: sta a me ricordare e nel caso raccontare le minuzie altrui, quando sono state significative per me: l’alcol e la droga aiutano (a volte distruggendo) l’artista, perché diminuiscono l’effetto dell’autocensura, annegando le inibizioni. Sai che scrisse Henry Miller nel suo Tropico del capricorno? O fu in uno dei romanzi della trilogia Crocifissione in rosa? Chissà! Scrisse che lui si ubriacava bevendo dell’acqua, dopo di che s’accingeva a scrivere. Henry era un mattacchione non sempre sincero. Come quando affermava che non voleva ridursi mai a effettuare alcuna correzione (nemmeno dei refusi?) di quanto andava scrivendo. In modo analogo giurava che egli volgeva il suo pensiero a Dio solo allorché era felice, non quando sentiva tristezza o nostalgia di quel che non era più! Mah!
La più assurda finzione ha sempre una sua funzione, vero? Basta cambiare la prima vocale… A me capita, leggendo un libro (anche il tuo), di sentirmi, sia pure in misura omeopatica, l’autore. Due viaggiatori in giro per il mondo finiscono per somigliarsi.
Ti consiglio o ti ricordo un’opera di Henri Michaux: Allucinogeni e conoscenza, in cui lo scrittore francese descrive le sue momentanee e fortemente volute esperienze con vari tipi di droga, a fini speculativi e letterari.
Quanto vai dicendo nel sottocapitolo Effetto placebo (che, grazie a te, scopro derivare da “Placebo Domini”) mi fa pensare alla celebre espressione marxiana, secondo cui la religione è l’oppio dei popoli. Forse concorderai che non è giusto fare di tutte le credenze un fascio e che occorre ogni volta eligere, scegliere, il fascio a cui legarsi. Religio deriva da eligo o da ligo, non si saprà forse mai da quale dei due etimi. Forse da entrambi?
Non so te, ma nella mia vita non mancano i riti, alcuni dei quali quasi demenziali, segreti, altri conosciuti solo dai miei cari, tanto da parermi ormai legittimi. Non sono del tutto normale né saggio, come lo è invece l’amico Gino Ruozzi, studioso di Ennio Flaiano e grande conoscitore della letteratura. Il citarlo, non sempre, ma per lo più a sproposito, fa parte del rito della scrittura. Se ti paio strano, prova a leggere i romanzi di Georges Perec, e poi mi dici.
Leggo, tra pagina 130 e 131: “La speranza, la fiducia e le aspettative positive del malato infatti stimolano la produzione di molecole – ormoni cerebrali – che risultano simili agli effetti ottenuti da alcuni psicofarmaci.”
Similmente, leggere dà sollievo a qualche ansia, pur creandone alcune nuove di zecca. “La memoria è fatta di oblio”, diceva Borges. Leggere (troppo) significa (troppo) dimenticare. Chi ha fatto suoi solo pochi libri, per sempre ne rammenterà i passi più salienti. Non si può aver tutto nella vita, basta però accontentarsi.
La “celebre frase di Charles Bukowski…” che citi e che non riporto perché inebrierei in maniera eccessiva il lettore del tuo lettore, e con cui concludi il capitolo Il cervello e le droghe, mi fa venire in mente i consigli per l’acquisto con cui si concludeva ogni puntata di Tutto il calcio minuto per minuto: qualsiasi sia stato l’esito della partita della squadra del tuo cuore, brinda o consolati con ‘sta nostra bevanda! Se ha invece pareggiato? Beh, anche in tal caso concediti un bicchierino!
La storia del tuo paziente Bergamaschi, che aveva estinto per pazzo amore la vita dei suoi familiari, è coinvolgente e sconvolgente. Egli decise di rimanere in vita, poiché diceva: “siamo nelle mani di Dio” – plurale maiestatico degno di un papa: nel frattempo Noi abbiamo deciso di agevolare il viaggio di chi Noi amiamo nella direzione che Noi abbiamo deciso sia la più retta e breve per raggiungere la felicità eterna che Noi gli auguriamo: così ho tentato di tradurre, per intuizione, il suo folle pensiero.
Il capitolo conclusivo inizia (mezzo ossimoro) con la frase: “Il cervello è un universo, uno spazio infinito…” – come il Kósmos, il suo viaggio è illimitatamente in espansione. È infinibile, non del tutto percorribile per le nostre estremità mentali e fisiche. Non riusciremo mai a concluderlo, in quanto più lo studiamo e più esso tende ad allungare il passo in direzione del Mistico Altrove.

“… per decine di anni il punto di vista neurobiologico e psicosociale dei disturbi mentali è stato messo in contrapposizione non solo nella letteratura scientifica e giuridica, ma anche nella percezione degli stessi pazienti psichiatrici, che spesso concettualizzano i loro problemi in termini essenzialmente biologici o essenzialmente psicosociali in quanto non riescono a trovare i termini per una loro migliore comprensione.” – e non sono gli unici a non riuscire in quell’intento. Anche fra chimici e fisici c’è contrapposizione. I fisici poi si suddividono fra teorici e sperimentali, guardandosi talvolta in cagnesco, come assicura Leon Lederman in La particella di Dio. I relativisti e i quantistici vedono il mondo con modalità antagonistiche. I quantistici sono classici, della scuola di Copenaghen, oppure cultori delle stringhe, oppure modellisti (tipo Lisa Randall), che si costruiscono modelli sempre diversi e sempre più adeguati alle nuove esigenze ontologiche. Uno scienziato emerito come Carlo Rovelli cerca da anni di conciliare, con la sua gravità quantistica a loop (per cui c’è chi lo chiama con disprezzo loopparolo), le tesi di Einstein con quelle di Bohr. Un intento analogo era quello di Shri Guru Nanak jj, il quale, nel XV secolo, provò a innestare alcune credenze islamiche con quelle induiste, fondando il movimento dei sikh, con una conseguente persecuzione subita da rappresentanti di quelle due religioni. Per lunghi anni, la tradizione sikh pretendeva che gli uomini girassero armati di coltello, al fine di difendere sé e le proprie famiglie. Lutero ignorava di essere un eretico, finché non fu perseguitato.
L’uomo è fatto così. Che ci vogliamo fare? Dar la colpa al suo cervello forse non basta…
Ti porgo un consiglio da psicopatico: leggi i nove volumi di Invincible, immenso fumetto ideato da Robert Kirkman (io sono appena all’inizio del settimo tomo). Ne rimarrai forse sconvolto quanto è capitato a me. Ma perché il cervello umano sbanda così tragicamente?! Ma che immane e universale Kaos!
A pagina 159 de Come funziona il cervello?, in fondo, scrivi: “In pratica è l’oblio che difende le aree del cervello dall’inflazione di informazioni, perché se ci ricordassimo di ogni cosa, ci troveremmo paradossalmente nella stessa condizione di chi non ricorda nulla.” – a tal proposito, ricordi il borgesiano racconto di Ireneo Funes? Oppure la storia reale di quel Solomon Shershevsky, che era affetto da una grave forma d’ipertimesia? Non poter dimenticare può diventare più doloroso che non rammentare l’essenziale. Ricordare, rammentare e rimembrare, coi loro tre etimi, rappresentano la complessa realtà della nostra memoria, fatta di cuore, mente e membra.
“… il vero scopo della memoria è riuscire a utilizzare il passato per guidare in modo intelligente il processo decisionale.” – l’enten-eller, l’aut aut di Søren Kierkegaard…
Bella e tragica è la frase di Cesare Pavese, che non riporto, perché è giusta lasciarla lì, nell’alveo della tua (anche se ormai anche mia) pagina 160.
Quanto dici della differenza che normalmente esiste fra il cervello della donna e quello dell’uomo, mi vien da pensare che ogni poeta e scrittore, ogni artista, ogni filosofo sia almeno un po’ femminile: diversamente come potrebbe partorire una storia verosimile? La maieutica non l’ha creata l’uomo, l’ha solo ricevuta in dono da Chissà Chi o Chissà Che… vero, amico Socrate?
“È quindi necessario seguire queste varie strade o canali di conoscenza: ciascuno può offrire un contributo a una conoscenza più ampia.” – grazie della stima, caro.
“Siamo dominati da un dualismo fra anima e corpo…” – e chi ha imposto ‘sto dogma era uno come te e me: fallibilissimo. I testimoni di Geova (di cui non sono un seguace) credono che i due enti non siano separati. Anch’io, credo… non so… non so nemmeno se so… chi saprà mai se so?
Un mio amico, tale Silvano G., autoproclamatosi Sopracciò, per celia ma forse un po’ lo pensa davvero, al termine di una sua omelia/predica, dice spesso: Ho forse esagerato? So d’averlo fatto. Uscire dall’argine è la funzione di ogni corso d’acqua e noi uomini, al 60%, siamo composti da liquidi…
Due minime aggiunte: il tuo empatico modo di rapportarti coi pazienti mi ricorda quanto va narrando nel saggio-romanzo Forze del destino il noto psicoanalista Christopher Bollas. Inoltre, i tuoi continui riferimenti a opere letterarie è senz’altro ex-agerato: bravissimo! Son proprio contento! Ho concluso la mia reazione su Come funziona il cervello? prima del levar del sole! E qualora in parte avessi mentito, avrei ecceduto di non più di mezz’oretta!
Written by Stefano Pioli
Bibliografia
Piero Benassi, Come funziona il cervello?, Consulta Libri Progetti, 2024