“La Spendula” di Gabriele D’Annunzio: la traduzione in sardo della celebre poesia
Di seguito si potrà leggere, in esclusiva, la traduzione in sardo del poeta e scrittore Franco Carta della poesia intitolata “La Spendula” di Gabriele D’Annunzio dedicata alla splendida cascata di Villacidro (Sardegna). La poesia è stata inserita, assieme alla traduzione in sardo de “La pioggia sul pineto”, nel volume “Versi di Sardegna Terza Edizione” edito nel 2024 da Edizioni DrawUp, con prefazione di Manuela Orrù e postfazione di Franco Carta.

“Sa Spendula”
Carcos de ispinedos e d’erva ‘e ranas
innànti s’artziant sas perdas
comente istràna zenìa ‘e atlètas
appedradu pro more de majias.
Sutta frementi a su ‘entu sas murtas
selvàticas e a su leandru ballarianu,
birde plebbèa ‘e nànos; a zosso in su riu
andhant sas abbas de sa Spendula furiosas.
Sùbra, su chelu nuadu, matessi.
In su ghisadu de s’abba
un’argura de nuscos aspros
esalànt sas ervas ‘e su latte e sas multìzzas
In sa badde birde mamàle unu pastòre
comente fàunu ‘e brunzu, eréttu in sa codìna
pompiàt frimmu, imbojàdu in d’una peddhe.
Poesia originale in lingua italiana
“La Spendula”
Dense di celidonie e di spineti
le rocce mi si drizzano davanti
come uno strano popolo d’atleti
pietrificato per virtù d’incanti.
Sotto fremono al vento ampi mirteti
selvaggi e gli oleandri fluttuanti,
verde plebe di nani; giù pei greti
van l’acque della Spendula croscianti.
Sopra, il ciel grigio, eguale. A l’umidore
della pioggia un’acredine di effluvi
aspra esalano i timi e le mortelle.
Nella conca verdissima un pastore
come fauno di bronzo, erto ‘sul calcare,
guarda immobile, avvolto in una pelle.
***
In chiusura dell’articolo vi lasciamo alcune riflessioni del poeta e scrittore Franco Carta sulla traduzione della poesia “La Spendula” e sulla sua passione per Gabriele D’Annunzio.
A.M.: Gabriele d’Annunzio è un poeta che ha saputo rivoluzionare pur restando nella tradizione. Quando hai iniziato ad amare i versi del Vate?
Franco Carta: Lessi per la prima volta “Il piacere” durante l’ormai lontano quarto anno di liceo, la professoressa di lettere ci diede il compito di recensire un romanzo a “piacere” ed io trovai una vecchia copia appartenuta a mio padre del romanzo del Vate.
Fu amore dalla prima lettura, mi affascinò il culto per la bellezza esteso a tutti i campi della vita, le parole di Andrea Sperelli furono per me la miccia che accese l’interesse per questo autore così innovativo e originale: “Bisogna fare della propria vita come si fa un’opera d’arte. Bisogna che la vita d’un uomo d’intelletto sia opera di lui. La superiorità vera è tutta qui.”
Lessi e rilessi il romanzo almeno tre volte, poi nonostante quasi tutti mi sconsigliassero, decisi di approfondire la conoscenza delle sue opere e presi in prestito alla biblioteca “Alcyone” scoprendo un’altra meraviglia, a mio avviso è uno dei canzonieri fondamentali del ‘900 e nonostante quasi tutti gli intellettuali e quindi anche i docenti lo trascurassero, per l’infondata convinzione della sua vicinanza al fascismo, io iniziai a studiare ed amare sempre più il Vate.
La sua stessa vita, la possiamo considerare inestimabile al pari di una sua opera letteraria, talmente fu intensa. D’Annunzio utilizzò le sue doti di poeta e di scrittore per farsi conoscere nella società e creò il suo personaggio, oggi lo potremmo definire a tutti gli effetti un influencer. Pubblicò anche versi e novelle e si dedicò al piacere e alla conquista del successo. Con passione si diede agli amori, ai pettegolezzi e agli intrighi mondani, trasformando gli accadimenti giornalieri in racconti. Questa sua completa immersione di vita e arte fu la caratteristica che più mi affascinò leggendo le sue opere e la sua biografia, e questa passione non mi ancora abbandonato, rileggo spesso le sue opere, che siano liriche, romanzi o opere teatrali.
Questa sua aspirazione alla vita come opera d’arte lo spinse ad ideare qualcosa che rendesse immortale tutta la sua vita, letteraria, politica militare, mondana. Nacque così l’idea di trasformare la sua ultima dimora a Gardone Riviera nel “Vittoriale degli italiani” che egli trasformò insieme all’architetto Maroni in uno dei più affascinanti e preziosi musei a cielo aperto di tutto il mondo.
Ma questa aspirazione non va confusa o circoscritta alla sua vanità, il Vate era un uomo generosissimo e all’ingresso del Vittoriale c’è uno dei suoi motti più famosi “Io ho quello che ho donato“ ed infatti il Vittoriale è degli italiani con tutto ciò che contiene e che conterrà come da sua disposizione testamentaria.
A.M.: Perché è stato necessario tradurre nella tua variante linguistica sarda alcune poesie di D’Annunzio?

Franco Carta: Posso considerarlo l’incontro tra due grandi amori. La mia passione per la poesia è nata nell’infanzia trascorsa a Orgosolo dai tre fino ai nove anni in casa di mia nonna (mannai in orgolese), una donna con la dote delle rime che sfoggiava in ogni momento parlando in sardo, la mia prima poesia la scrissi a 17 anni in sardo ed era dedicata a mia nonna.
Da allora ho continuato a scrivere in tre lingue: sardo logudorese (della mia infanzia), sardo campidanese o meglio casteddaiu (cagliaritano) e italiano. A volte mi è capitato di miscelare nelle mie liriche parole delle due varianti linguistiche sarde, in un caso addirittura pubblicai una poesia in logudorese inserendo distrattamente una parola campidanese.
Il risultato finale però non mi dispiacque e pensai di aver ibridato la mia poesia e così pensai di assumere come pseudonimo Poeta ibrido che riassumeva la possibilità di esprimere l’amore per questa terra con tutte le lingue che mi appartengono.
Ho cercato sempre di dimostrare quanto fosse errato il tentativo di mettere in contrasto italiano e sardo per far dimenticare ai figli la lingua dei propri genitori. Abbiamo due lingue che dobbiamo parlare e scrivere in quanto alcune espressioni in sardo non possono essere tradotte in italiano e allo stesso modo certe parole italiane non possono essere tradotte in sardo senza perdere in entrambi i casi la forza comunicativa.
L’amore per le tradizioni e la lingua sarda erano destinate ad incontrarsi prima o poi con l’amore per il Vate. L’occasione si manifestò nel 2022 quando incontrai Giordano Bruno Guerri alla fiera internazionale del libro di Torino dove presentavo la mia silloge “Verso la luce tra identità e radici” che contiene poesie in italiano e in sardo, gliene regalai una copia e gli parlai della mia passione per il Vate.
Poi quasi per gioco gli chiesi:
«Mi piacerebbe tradurre in sardo “La pioggia nel pineto”, cosa ne pensa?»
Lui si dimostrò entusiasta del progetto e mi diede il suo biglietto da visita per tenerci in contatto. Sei mesi dopo gli inviai la traduzione in logudorese de “La pioggia nel pineto” e lui mi rispose:
“Caro Carta,
la ringrazio per la curiosa e interessante traduzione, che giro subito agli Archivi perché rimanga a testimonianza dell’amore per d’Annunzio.
Con i più cordiali saluti, Giordano Bruno Guerri”
Il 7 luglio di quest’anno infine ci siamo incontrati e gli ho donato una copia di “Versi di Sardegna Terza Edizione” che contiene le mie traduzioni di “La pioggia nel pineto” e “La Spendula” e Guerri mi ha comunicato che vuole realizzare un video al vittoriale con le mie traduzioni lette da un attore.
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